lunedì 21 gennaio 2013

La zonazione sismica in Italia, una storia di rincorsa dietro gli eventi naturali


Il 30 luglio 1627 un terremoto devastante, a cui è collegato uno tsunami, ha interessato il Gargano. È a questo evento che risale, secondo molti Autori, un primo abbozzo di normativa sismica: nel Regno delle Due Sicilie venne raccomandato di costruire le nuove costruzioni utilizzando il “baraccato alla beneventana”, un sistema che consisteva in una intelaiatura in legno circondata da una muratura leggera. Questo atto fu redatto osservando che questa struttura si era rilevata particolarmente resistente alle sollecitazioni sismiche, a causa della minore rigidezza rispetto al “tutto in pietra”.
Questo è stato il primo step della storia della normativa antisismica del nostro Paese, normativa che come sappiamo purtroppo si è evoluta sempre rincorrendo gli eventi e che oggi risulta essere piuttosto inadeguata, se si guarda a nazioni come il Giappone.


Il terremoto del 1908 a Messina e dintorni portò il Governo di allora alla emanazione nel 1909 del R.D.193, che disponeva il divieto di edificazione su siti paludosi, franosi, molto acclivi o comunque instabili. La cosa significativa è che oggi questi concetti che appaiono ovvi a chi si occupa del problema, ancora faticano a farsi strada non solo nella Opinione Pubblica ma soprattutto in chi governa del territorio.

Nel RD 193 mancava una classificazione sismica del territorio nazionale, che venne alla luce solo 20 anni dopo, con il RDL 431 del 13 marzo 1927. In questo caso l'influenza della tragedia di Avezzano del 1915 è stata annacquata dalle vicissitudini belliche della Grande Guerra e della instabilità politica successiva. Il RDL 431 definiva due categorie, in funzione del grado di sismicità e della costituzione geologica, ma era assolutamente inadeguato in quanto teneva conto essenzialmente solo dei forti terremoti avvenuti negli ultimi anni: ovvero Sicilia, Calabria, Abruzzo e poco altro. Tutto il resto del Paese era esente dall’obbligo di applicazione della normativa antisismica, con il risultato che ogni nuovo evento costringeva ad aggiornare la situazione e così la lista era in continuo aggiornamento: man mano che si verificavano forti terremoti si aggiungevano nuovi comuni o si riclassificavano quelli già inclusi. Anche se tra il 1915 e il 1968 si sono verificati solo due eventi di una certa importanza, nel 1930 e nel 1962, entrambi in Irpinia,

La prima normativa sismica nazionale vera e propria arrivò con la legge n.64 del 2 febbraio 1974, non casualmente  sei anni dopo il terremoto del Belice del 1968 e due anni dopo la crisi sismica di Ancona del 1972. Veniva stabilito il quadro di riferimento per la classificazione sismica di tutto il territorio nazionale e per la redazione delle norme tecniche, che furono successivamente definite da appositi decreti ministeriali.

La terribile “doppietta” di Friuli 1976 e Irpinia/Basilicata 1980 ha determinato la concessione di finanziamenti al CNR per condurre studi, di concerto con le Università ed altri enti di ricerca, sulla sismicità del territorio nazionale. La comunità scientifica italiana si dimostrò all’altezza della situazione, lavorando in tempi talmente rapidi da consentire al Ministero dei Lavori Pubblici l'approvazione della prima vera classificazione sismica italiana basata su criteri scientifici e tecnologici già nel 1984. Questa prevede la classificazione di tutto il territorio nazionale in tre categorie sismiche.

Purtroppo il terremoto di San Giuliano di Puglia del 1° ottobre 2002 rivelò pesanti inadeguatezze della classificazione degli anni '80, in quanto quel comune non era fra quelli classificati come sismici.
La tragedia della scuola di San Giuliano ebbe un impatto mediatico ed emotivo straordinario (e non poteva essere altrimenti!) e quindi l'Opinione Pubblica chiedeva a gran voce un adeguamento. La comunità scientifica fu mobilitata, questa volta dal Dipartimento della Protezione Civile che aveva nel frattempo assunto competenze in materia, per aggiornare la classificazione sismica con le più moderne conoscenze tecniche e scientifiche.

Anche questa volta tutti lavorarono a tempo di record e la nuova mappa della sismicità dell’Italia fu emanata con l’ordinanza n. 3274 del 20 marzo 2003 (che, guarda caso, inseriva in zone ad alto rischio sismico proprio le aree colpite tra Emilia e Lombardia dal terremoto del 2012). Le zone con consistente rischio sismico sono enormemente più grandi rispetto alle classificazioni precedenti.

Nella nuova mappa si ragiona in termini quantitativi e probabilistici: tutto il territorio nazionale è classificato come sismico in 4 zone a pericolosità sismica decrescente; la discriminante per la classificazione è la definizione di una accelerazione massima del suolo con probabilità di accadimento del 10% in 50 anni.
Parallelamente veniva riscritta ed accompagnata alla nuova zonazione sismica, la normativa tecnica sulle costruzioni e sulle indagini geotecniche che poneva vincoli molto più stringenti rispetto alle precedenti normative sulla resistenza degli edifici ai terremoti.

La politica di decentramento amministrativo ha di fatto rallentato l'iter della vicenda: nei successivi tre anni le Regioni fornirono indicazioni per un ulteriore aggiornamento e miglioramento fino alla versione attualmente in vigore con l’ordinanza n. 3519 del 28 aprile 2006. Si può facilmente notare che - ad esempio - secondo questa carta il territorio della città dell'Aquila avrebbe dovuto essere inserita nella zona a massimo rischio sismico.

Fin dall’inizio le nuove norme tecniche per le costruzioni non ebbero tuttavia vita facile. Evidentemente la concertazione fra Ministero dei Lavori Pubblici e Dipartimento della Protezione Civile non funzionava così bene; ma appunto è stato il decentramento amministrativo, con l’allargamento della trattativa alle Regioni, a complicare decisamente le cose.
Voglio sopratutto far notare come spesso le Regioni hanno portato avanti le istanze di  amministrazioni comunali che spesso si opponevano per i più vari (e bassi) motivi alla inclusione dei loro territori in zona sismica, cercando sempre (e purtroppo talvolta ottenendo) una declassazione rispetto a quanto ipotizzato dalla comunità scientifica. Quindi l'ordinanza 3274 ha avuto una storia contrastante e contrastata fra modifiche, proroghe, rinvii e marce indietro a colpi di ordinanze del Dipartimento della Protezione Civile e di decreti del Ministero del Lavori Pubblici, dal sapore molto politico ma di dubbio valore dal punto di vista scientifico ).

Ma siccome la Natura fa il suo corso, proprio mentre veniva addirittura sciaguratamente ipotizzata l'intenzione di semplificare le norme per la costruzione in zone sismiche e continuava il balletto della classificazione e delle proroghe, il 6 Aprile 2009 arrivò la tragedia abruzzese.
La conclusione della storia a questo punto è ovvia. Nemmeno venti giorni dopo arriva il decreto-legge 39 del 28 aprile 2009, poi convertito nella legge n.77 del 24 giugno 2009, che pone fine alle discussioni e alle proroghe. Tutto era pronto già da marzo 2003 e si sono sprecati sei anni per futili motivi politici.
Poi sta a chi costruisce e chi controlla fare le cose perbene e questa è un'altra storia.... 

Da ultimo noto che sì, finalmente abbiamo qualcosa di serio (ma pur sempre soggetto ai capricci della politica) sulla prevenzione dei danni da terremoti, ma restano sempre in campo altre problematiche geologiche: frane, alluvioni, vulcani. Sulle quali ancora siamo in alto mare e, in molti casi, disattendendo, persino con atti pubblici come i Piani Regolatori, quello che era stato scritto nel Regio Decreto 103, 110 anni fa.....


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