venerdì 18 ottobre 2013

Geologi, assetto del territorio e politica


Tremonti voleva computare nella massa del debito dei Paesi Europei il decommissioning delle centrali nucleari. Poteva non avere torto. Ma se all'Italia facessero computare i costi per rimettere a posto questo sgangherato territorio di quanto aumenterebbe il debito? Al convegno di Longarone sul Vajont e alla giornata dedicata ai 90 anni della Geologia a Firenze sono state fatte alcune osservazioni sul ruolo del geologo. Un ruolo perfettamente sconosciuto ai più. Ricordo che fino alle apparizioni televisive di Mario Tozzi, nessuno sapeva cosa fosse un geologo e molti credevano che il geologo fosse quello che andava “nelle caverne” (con rispetto parlando per gli speleologi, dal mio punto di vista e taccio dei modi in cui pronunciavano questo secondo termine nelle maniere più varie e pittoresche...). Anzi, qualcuno non riusciva neanche a capire il termine “geologo”. Poi, anche quando andavo a fare trekking, finalmente qualcuno osservava che avevo “il martello di Tozzi” (il glorioso Estwing”).

Secondo me è necessario far capire che quelle dei geologi, nelle loro varie collocazioni (accademia, libera professione dipendenti pubblici e, perchè no, quelli che scrivono di geologia) non sono le classiche rivendicazioni corporativistiche di chi cerca di spacciare per interesse generale del Paese il proprio porco comodo, ma che una corretta gestione del territorio è proprio un importante interesse generale del Paese.
In altre parole, i geologi vogliono contare di più per mettersi a servizio del Paese, nella assoluta certezza che non tenendo di conto le Scienze della Terra e le loro istanze, l'Italia rischi parecchio. 
La questione è se il Paese vuole i geologi o no.
Il Vajont è stato un tipo esempio di come si possa oltraggiare il territorio, ma in quante altre occasioni, sia pure meno luttuose, danni e vittime sono almeno in parte da addebitarsi ad errori nella programmazione territoriale?

Ma perchè succede questo?
Diciamo che non c'è in questo momento uno scambio sereno di conoscenze fra il Geologo e la committenza, pubblica o privata che sia. Tutt'altro... anzi, spesso c'è un vero ostracismo... con il geologo che, chiamato solo per ultimo e per obbligo, dovrebbe limitarsi a ratificare quanto già fatto da altri.
Volete un esempio? Un comune importante ha deciso di riguardare il suo assetto urbanistico: ha demandato la cosa a due urbanisti che hanno avuto due anni di tempo e solo alla fine si è passati attraverso il giudizio di un geologo. Non è un caso infrequente: quante volte il geologo interviene “a cose fatte” e cioè viene chiamato per ultimo a dare una approvazione “formale” ad un progetto? Ovvio che in questo caso il professionista non può essere visto in altro modo se non come “l'ennesimo balzello dovuto” e/o come chi mette “lacci e lacciuoli”. Occorre far capire che se invece il geologo venisse chiamato prima sarebbe stato molto più logico e si sarebbe potuto sicuramente fare di meglio.
Come esperienza personale ricordo come tempo fa un conoscente che lavora in una fabbrica mi chiese lumi perchè il comune dov'è posta l'azienda è stato classificato sismico. Voleva trovare delle pezze d'appoggio per dimostrare di non essere in zona sismica. 

Eppure oggi più che mai il territorio italiano è a rischio anche perchè è cambiato lo “stile” delle alluvioni: negli ultimi anni più che piene epocali dei grandi corsi d'acqua (Pò, Arno, Tevere ad esempio) sono i piccoli bacini a destare preoccupazione e noi di piccoli bacini ne abbiamo tanti, per di più disposti intorno a mari dall'alta temperatura e dal forte tasso di evaporazione (la classica situazione favorevole alle bombe d'acqua).
Da più parti si chiede che le risorse finanziarie per gli interventi funzionali alla protezione del territorio possano essere trovate in deroga al patto di stabilità. Ma purtroppo sono ancora di più le parti che continuano in un assurdo ostracismo nei confronti dei geologi e nel rifiuto di un corretto uso del territorio.

Un altro campo in cui si dovrebbe considerare di più il ruolo del geologo è la Protezione Civile: oggi questo è un organismo essenziale immediatamente prima, durante e nell'immediato dopo di un evento calamitoso; diciamo che l'attività “di fondo” consiste nel monitoraggio per prevedere eventi calamitosi, mentre la parte “dormiente” si sveglia dall'emanazione di un allarme in poi, fino a “emergenza conclusa”. .Quindi i suoi unici compiti in “tempo di pace” sembrano essere il monitoraggio delle emergenze, al limite, lo studio dell'organizzazione.
Nelle emergenze siamo molto bravi, è difficile, anche dopo gli errori del passato anche recente, che un'alluvione colga impreparata la Protezione Civile.  
È ovvio che se le alluvioni sono prevedibili, i terremoti non lo sono e questo richiama il concetto di una Protezione Civile che non si limita alla previsione (quando possibile) e alla gestione delle emergenze, ma, facendo un notevole passo avanti, si potrebbe arrivare ad una Protezione civile che si occupi di prevenzione, utile contro tutte le calamità naturali. In quest'ottica soprattutto Urbanistica, Ingegneria e Geologia dovrebbero camminare a braccetto.

A questo proposito riterrei estremamente utile ripristinare il “Servizio Geologico d'Italia” (inserendoci dentro anche l'INGV), anziché tenere nel calderone dell'ISPRA una serie di multiformi competenze (nessuna polemica con il presidente dell'ISPRA, De Bernardinisi a cui ho espresso personalmente anche di recente la mia solidarietà per la condanna nel processo dell'Aquila)
Ora, lasciamo perdere il mitico USGS, il servizio geologico degli USA, ma a vedere i vari servizi geologici dei vari “states” viene invidia. Qualche giorno fa ho parlato con un ricercatore del servizio geologico spagnolo... sono dei marziani in confronto a noi

Nella classe dirigente e soprattutto in quella politica manca una coscienza della prevenzione e della salvaguardia nei temi ambientali. Molti dedicano all'assetto del territorio una scarsa attenzione e succede che che quando vi si dedicano lo fanno per cercare di alleggerire i vincoli imposti da una legislatura che è lungi dall'essere perfetta (anzi, spesso le maglie sono molto larghe) e piena di disposizioni legislative di vario livello non sempre in armonia fra loro.
Alle volte ho fatto notare come spesso alla base del problema non ci sia irresponsabilità nella classe politica, ma ignoranza: un irresponsabile sa che sta rischiando perchè fa una cosa sbagliata ma la fa lo stesso; invece spesso molti ignorano di essere lì a fare un errore.

Anche il Consiglio superiore dei Lavori Pubblici lascia un po' perplessi, soprattutto se si vede che a fronte di 110 membri votanti, fra ingegneri (oltre 60), consulenti e fiduciari, ci sia un solo geologo (che per di più ci ha messo 2 anni per avere l'ammissione).
In più nel CSLLPP una buona parte dei membri sono politicizzati (strano....) e questo comporta il fatto che c'è chi si fa il tifo a favore o contro i provvedimenti a seconda del partito di appartenenza del ministro in carica, alla faccia dell'”organismo tecnico”.
Con questo non si contesta il fatto che ci possano essere opinioni differenti su un progetto: nessuno potrà mai essere completamente obbiettivo, stando le differenti visioni che ci possono essere su sviluppo, opere da approvare e modo di affrontarle, ma che queste debbano dipendere più dalla fede politica che da un convincimento tecnico è semplicemente demenziale, in un consesso di quel tipo. Quindi ci vogliono dei commissari politicamente super partes da un punto di vista politico, al di là di legittime differenze di opinione, per esempio, fra chi vuole nei centri urbani piste ciclabili e chi vuole parcheggi per autovetture; forse sarebbe utile anche una riduzione del numero dei membri ma maggiore rappresentatività delle varie categorie tecniche.

Non ci si può stupire se molto spesso le modellizzazioni geologiche siano scadenti, quando non assenti, in molti piani territoriali e in molti progetti di opere più o meno grandi, nonostante i geologi siano convinti della mecessità di rispettare il contesto fisico in cui insistono queste opere.

In un'ottica del genere è normale che il Geologo sia per forza un rompiscatole che mette paletti (non solo per fare delle fondazioni più consone...), è uno che ti dice “alt! Così non è possibile” e, appunto, passa per un costo e per uno di quei lacci e lacciuoli burocratici che ostacolano il cittadino. Ma lo fa perchè fa il suo lavoro in un quadro di approccio sbagliato da parte della committenza.
Mi domando se non sarà anche che i geologi stessi (tutte le categorie) sbaglino qualcosa?
Insomma, occorre che i geologi si facciano sentire. L'Appello di Firenze, illustrato durante il convegno “Il Risorgimento e la GeologiaItaliana” nel novembre del 2011 mi sembra sia caduto nel dimenticatoio

Un primo problema, basilare, è che se si fa la domanda “chi è e cosa fa un Geologo” non so in quanti siano in grado di rispondere.
È evidente che, tanto per incominciare, occorra nelle Scienze della Terra un coordinamento fra le varie anime della geologia (accademici, liberi professionisti e geologi nella Pubblica Amministrazione). Non solo per una maggiore comunicazione e per un periodico scambio di opinioni, ma per poter interloquire meglio con chi deve decidere dell'assetto territoriale.

Quindi occorrerebbe che la categoria sia più comunicativa. Forse così qualcuno comincerebbe a chiamare il geologo “prima” e non come succede troppo spesso “dopo”, per curare sintomi ormai gravi o per esprimere un giudizio su un progetto già stabilito.

Altrimenti non ci si potrà stupire se, mancando conoscenze di base del territorio, un qualsiasi problema dovuto ad una serie di errori, consapevoli o inconsapevoli che siano, diventi “un evento eccezionale non previsto né prevedibile” come qualcuno (anche dei geologi, purtroppo) ha detto del Vajont.


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Se il geologo fosse chiamato ad esprimersi nell'ambito dello studio di fattibilità di ogni opera, prima di decidere se e come fare, di trovare il budget e di avviare i lavori, non sarebbe un "rompiscatole". Indicherebbe semplicemente che l'opera, piccola o grande che sia, pubblica o privata, andrebbe realizzata in modo diverso o su differenti terreni.
Purtroppo in Italia le colpe degli amministratori pubblici si sommano a quelle dei singoli ed al retaggio storico antiscientifico che pervade la nostra cultura.
Uno degli aspetti che rendono la prevenzione economicamente convincente è quello di considerare gli effetti economici locali e nazionali di ogni tragedia. La necessità della business continuity per rimanere sul mercato impone adeguati livelli di resistenza alle calamità prevedibili su base statistica.
Una volta colpite, le aziende finiscono inesorabilmente "fuori mercato".
La ripetizione di un terremoto come quello di Monza del 26 novembre 1396, pur essendo di magnitudo inferiore a 6, provocherebbe danni economici permanenti enormi ad un territorio impreparato determinando l'uscita di scena non solo delle imprese colpite, ma anche di larghissima parte di quelle la cui attività dipende da esse perché fornitrici o clienti fino alla distribuzione colpita dalla caduta dei redditi familiari. Persino le banche soffrirebbero per via dell'impossibilità dei debitori di far fronte ai propri oneri. Certo, la Brianza è un caso limite per il livello di industrializzazione e di interdipendenza delle attività economiche, ma anche il recente terremoto in Emilia del 2012 dovrebbe far aprire gli occhi.
Più in piccolo, ogni fenomeno naturale violento a cui si giunge impreparati finisce per produrre danni economici locali, regionali o nazionali ben più gravi e permanenti della distruzione dei soli edifici.

Anonimo ha detto...

Condivido in pieno l'analisi di "Anonimo".
Aggiungo inoltre che un primo impulso ad una cambio di mentalità sarebbe vincolare qualsiasi opera al parere di geologi: prima di redigere il progetto, bisogna sapere sopra cosa lo si realizza. E se davvero si tratta di un contesto geologicamente pericoloso, nemmeno si deve partire col progetto.
Si risparmierebbero soldi prima, e soprattutto dopo.

Da parte loro invece, mi piacerebbe vedere geologi e personaggi "di spicco" un po' più calati nella parte di chi li dovrebbe ascoltare. Cose ovvie per gli addetti ai lavori o con un minimo di conoscenze in materia, per l'italiano medio non lo sono, o possono risultare sminutive alle orecchie di chi ha subito catastrofi. E gli sciacalli sono sempre pronti a montare un caso su una parola non adatta detta in buona fede (vedasi il caso Gabrielli).

Simone