mercoledì 12 giugno 2013

Il carburante della Tettonica a Placche: 2 - movimenti del mantello e grandi catene montuose

In un post precedente avevo osservato come le Scienze della Terra siano un po' indietro rispetto alle Scienze della Vita non tanto per quanto riguarda il “meccanismo – guida”, rispettivamente la “Tettonica a placche” e l'”Evoluzione delle specie” ma per quanto riguarda i motori che fanno funzionare questi processi. Dovevo scrivere questo secondo  post (ed un terzo, almeno) subito dopo ma non mi è stato possibile. Riprendo quindi la questione dopo oltre un paio di mesi. Un articolo di Claudio Faccenna e altri autori, apparso su "Tectonics" inizia a gettare una luce sui rapporti fra quello che succede nel Mantello terrestre e quello che succede nelle parti più superficiali. In particolare si sofferma su quelle catene montuose, come le Ande e l'Himalaya, in cui le deformazioni interessano estesamente entrambe le zolle, per cui vi troviamo ampi spessori crustali e plateau posti ad altezze elevate (il Tibet per l'Himalaya ed il grande “Altiplano” della catena andina). Di fatto sono anche le aree in cui troviamo le popolazioni umane che vivono a quota più alta.
Vediamo quindi come oggi in parte si stiano svelando i rapporti fra crosta e mantello terrestre e come il mantello guida i movimenti delle placche di cui è formata la parte più esterna del globo terrestre, cioè qual'è il "carburante" della Tettonica a Placche

Quando si forma una catena montuosa vuol dire che ci sono state delle forze che sono riuscite a vincere l'attrito delle rocce di quella zona. Ma qual'è l'origine di queste forze che riescono a deformare la crosta e formare le catene montuose?
Faccenna, Becker, Conrad e Husson (2013) in "Mountain Building and Mantle Dynamics", articolo  pubblicato sulla rivista "Tectonics" innanzitutto dividono le catene montuose in due tipi:
- quelle come nell'area mediterranea (ma non solo) che formano catene di altezza non eccezionale, e nelle quali davanti alla catena troviamo aree in estensione dove spesso sono presenti rocce che poco tempo prima (geologicamente parlando) erano abbastanza in profondità e in cui la parte deformata appartiene sopratutto alla zolla che subduce
- quelle formate da spesse sezioni crustali formate da entrambe le zolle in gioco e altezze imponenti. Il caso classico sono le Ande Settentrionali e la catena Himalayana, zone dove la compressione è ancora in atto, come dimostrano anche gli eventi sismici.

Il lavoro si focalizza su questo secondo tipo di catene

Quali sono le forze in gioco che consentono la formazione di catene montuose così imponenti e, mel caso asiatico attuale, fanno sì che ancora oggi, 50 milioni di anni dopo la prima collisione, fanno sì che l'India continui ad intrudersi nella massa asiatica? Fondamentalmente gli Autori ne elencano 4:
1. TIRO DA PARTE DELLA ZONA IN SUBDUZIONE (“SLAB-PULL”): lo slab, la zona di una placca ormai scesa nel Mantello, “trascina” la parte ancora in superficie della zolla. Questo meccanismo sarebbe quindi un effetto della gravità e della forza di questa massa che sta scendendo sempre più in basso nel mantello. Se in alcuni casi specifici questa può essere una spiegazione valida (per esempio per le catene mediterranee, in particolare l'Appennino Settentrionale, l'Arco Calabro – Peloritano e quello delle Sandwich Meridionali, davanti alle coste antartiche) pare difficilmente applicabile per l'Himalaya dove questo slab è molto fratturato, quindi difficilmente può esercitare sforzi tali da provocare simili sforzi. Inoltre nei casi precedentemente indicati c'è un effetto molto particolare, il “roll-back” dell'arco: la zona di convergenza viene spinta sempre più verso l'interno della zolla che subduce, anche molto velocemente e sopra la parte della zolla che sta scendendo giù si forma un esteso bacino marginale (altra cosa che non esiste nell'Himalaya). 
Vediamo nella carta qui accanto, tratta da Gvirtzman e Nur (2001) "Residual topography, lithospheric structure and sunken slabs in the Central Mediterranean", pubblicato su Earth and Planetary Science Letters l'effetto di questo fenomeno in Italia: la migrazione dell'arco magmatico dalla Sardegna alle Eolie che ha causato l'apertura del Tirreno Meridionale

2. TRASCINAMENTO DA CORRENTI CONVETTIVE DEL MANTELLO: la placca è trascinata da una corrente convettiva del mantello. È l'ipotesi fondamentale su cui si basava già Arthur Holmes negli anni '30 per ipotizzare le ragioni della deriva dei continenti e che era diventata paradigma negli anni '60, come fece notare John T. Wilson, quando scrisse che “non vi sono dubbi sul fatto che il sistema montuosi circum - pacifico e quello alpino - himalayano siano costruiti sopra i fianchi di celle convettive che scendono nel mantello profondo". Il modello è quello della pentola sul fuoco con l'acqua che in alcune parti risale per il calore e in altre riscende perchè arrivando in superficie è diventata più fredda, con il calore terrestre proveniente dal nucleo che fa da fornello. Queste correnti arrivano in superficie lungo le dorsali oceaniche e si immergono nell'interno del pianeta nelle zone di convergenza fra zolle

3. SPINTA DA PARTE DELLA DORSALE MEDIO – OCEANICA: siccome il diametro della Terra rimane costante il continuo formarsi di nuova crosta oceanica lungo le dorsali medio – oceaniche impone che altrettanta crosta debba in qualche modo scomparire. E questo succede nelle zone di subduzione. Di fatto si vede bene in moltissimi casi la "coppia" formata da una dorsale dove si produce la nuova crosta e una zona di subduzione dove vecchia crosta scompare affondando nel mantello

4. SPINTA DA PARTE DI UN PUNTO CALDO: i tre fattori precedenti possono agire sempre. Ma ce n'è un quarto che agisce solo per tempi limitati ma può essere molto importante: la presenza di una zona di risalita di magma dal profondo che forma una serie di espandimenti basaltici (il termine inglese “flood basalts” è assolutamente eloquente!”). In sostanza, la presenza di questo materiale anomalmente caldo e quindi poco viscoso permette alla litosfera sovrastante velocità maggiori. Ad esempio proprio per il caso della deriva dell'India al passaggio Cretaceo – Terziario era attiva la serie dei Trappi del Deccan in cui in meno di 1 milione di anni sono stati messi in posto circa 1 milione di km cubi di magma. Questo può dare conto della velocità estremamente elevata che sembra aver avuto l'India proprio in quel momento.

LA STRUTTURA TERMICA DEL MANTELLO. Per capire le temperature del mantello si usa la tomografia sismica, cioè si cerca di capire la velocità delle onde sismiche al suo interno, in quanto ad elevate velocità corrisponde un mantello più freddo rispetto a zone a minore velocità, dove il mantello è più caldo. Vediamo 3 immagini presentate in Mountain Building and Mantle Dynamics".

Nella prima si può vedere con una certa facilità che a profondità inferiori a 600 km il mantello superiore sia generalmente più freddo sotto le masse continentali più antiche (i cosiddetti “scudi precambriani, zone in cui non ci sono grossi eventi tettonici negli ultimi 600 milioni di anni) e lungo la crosta pacifica delle Americhe. Le zone più calde sono lungo le dorsali oceaniche e tra Africa Orientale e Mar Rosso. C'è una certa relazione fra quello che si vede sulla superficie e quello che c'è a questa profondità. 
A profondità intermedie (600 – 1500 km) si vede ancora qualche riferimento: ci sono due zone molto più fredde delle altre, una in corrispondenza della costa pacifica americana (con un minimo evidente sotto l'altiplano boliviano) e un'altra che borda l'Asia dal Mediterraneo alla Kamchatka, passando per l'estremità orientale dell'Indonesia, dove vi è un evidentissimo minimo. Queste due aree corrispondono dunque alle due principali zone di convergenza di zolle attuali; i valori più alti si incontrano sotto le dorsali oceaniche e, curiosamente, sotto la costa nordoccidentale atlantica dell'Africa.

Qui sopra vediamo cosa succede nel mantello inferiore: si evidenziano due macchie molto calde, una sotto il Pacifico Meridionale e l'altra sotto l'Africa e l'Oceano Indiano Occidentale, circondate da aree a velocità minore. Si individuano così 4 spicchi alternati, uno caldo e uno freddo, come da figura qui sotto:



COSA SI SA DEI MOVIMENTI DEL MANTELLO. Ed eccoci alla questione più importante e cioè come si muove il mantello terrestre.
Nel Mantello superiore tutto sommato le velocità coincidono con quelle delle placche, anche se si vede una forte risalita di materiale sotto l'Africa Orientale. La cosa interessantissima è che sotto l'Atlantico Meridionale in superficie c'è un flusso piuttosto debole verso est (maggiore ovviamente a oriente della dorsale medio – atlantica) mentre in profondità il flusso si inverte e diventa molto forte verso ovest. Ma non solo, ci sono dei flussi convergenti verso appunto l'Africa e il Pacifico Meridionale, che come abbiamo visto qualche riga sopra, sono le zone più calde a quella profondità.

MOVIMENTI DEL MANTELLO E CATENE MONTUOSE. Questo quadro conferma la presenza di due grandi celle di convezione nel mantello a grande scala, con la risalita di materiale più caldo sotto Africa e Pacifico Meridionale e la discesa di materiale più freddo sotto le due maggiori catene montuose odierne.
Pertanto la formazione di catene complesse, con radici profonde ed elevate altitudini in cui la deformazione riguarda entrambe le zolle, come Himalaya e Ande, è il frutto di uno scontro di zolle guidato soprattutto dal trascinamento di una delle due zolle da parte di una corrente convettiva.

Nel prossimo post della serie cercherò di spiegare come mai dopo aver resistito per centinaia di milioni di anni alla fratturazione, il Gondwana si è rotto praticamente all'improvviso nel Cretaceo.






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