giovedì 4 aprile 2013

Non solo dovete togliere i sussidi alla produzione di combustibili fissili, ma dovete addirittura tassare i carburanti. Parola del Fondo Monetario Internazionale!


L'ultima presa di posizione contro l'uso dei combustibili fossili viene, apparentemente in maniera sorprendente, dal Fondo Monetario Internazionale. Ma facendo attenzione, il FMI è preoccupato per le ricadute sulla economia mondiale dei cambiamenti climatici (o, meglio, per la parte, massiccia, del fenomeno da addebitare a cause antropiche) e vuole proprio focalizzare l'attenzione sui costi indiretti oggi non quantificati dell'uso dei combustibili fossili. Il problema fondamentale è che se si ragiona sull'ottica economica dell'”oggi” si continua così. Quindi devono essere gli Stati a cercare un ragionamento sul “domani” intervenendo anche con la leva fiscale nei confronti dell'uso dei combustibili fossili.

La media di febbraio della quantità di CO2 in atmosfera all'Osservatorio del Mauna Kea è stata di 396 parti per milione, un livello semplicemente pazzesco: solo nel 1950 eravamo a 310 e nel 2000 a 370. Dal 1950 quindi il CO2 atmosferico è aumentato di quasi il 30%. 
La necessità di fare qualcosa pare ragionevolmente ovvia. Eppure la maggior parte dei cittadini statunitensi continua a non pensare che l'umanità con l'uso dei combustibili fossili stia modificando il clima. Altri ritengono che il Global Warming sia una cosa positiva, pere sempio parecchi cittadini dell'Alaska. La famosa battuta che “se una volta c'erano le palme in Alaska vuol dire che non sarebbe un problema il loro ritorno”, in special modo fatta da persone secondo le quali la Terra ha poche migliaia di anni fa paura per l'ignoranza bestiale. 
A casa nostra non è che si stia meglio, con una classe politica ed economica dalla mentalità radicata negli anni '60. 
Oggi un inaspettato contributo a favore di politiche più rispettose dell'ambiente viene nientepopodimenochè dal Fondo Monetario Internazionale, il quale raccomanda a tutte le Nazioni, dagli USA a quelle più povere una diversa politica della tassazione in campo energetico.

La vicenda dei gas-shales in USA ha, fra le tante negatività di cui mi sono occupato più volte, un risvolto positivo: l'uso a scopi energetici di gas metano che in termini di emissioni di gas – serra è sicuramente meglio del carbone, il cui consumo sta diminuendo (e che comunque le aziende minerarie USA cercano di esportare, per esempio verso la Cina). Resta il fatto che sarebbe meglio non consumare manco quello, ma vabbè... è evidente che pensare di smettere improvvisamente di usare i combustibili fossili è utopistico.
Un'altro aspetto da cui non si può prescindere è che il settore energetico è quello che muove più denaro, non solo in Italia dove l'ENI è la più grossa azienda nazionale e quindi ha un potere enorme. Circa un anno fa scrissi per “Human Evolution”, la rivista dell'International Institute of Humankind Studies, un articolo sui legami fra lobby del petrolio ed antievoluzionismo in USA (ma anche a casa nostra, vedi la Moratti...) che ho riassunto in questo post.

Oggi interviene sulla vicenda il Fondo Monetario Internazionale, una istituzione mica da poco. Dirigenti e tecnici del FMI hanno studiato le ricadute economiche devastanti del massiccio e talvolta sconsiderato ricorso ai combustibili fossili, componente antropica preponderante fra le cause del riscaldamento globale in atto. Per questo afferma che gli stati debbano “essere più aggressivi nello sviluppare nuove tasse sull'energia ma soprattutto politiche di prezzo (per il consumatore finale, NdR) che tengano conto di quanto realmente costa l'utilizzo dei combustibili fossili, comprese le loro esternalità”.
In altre parole si chiede di quantificare il costo reale per la collettività mondiale dell'uso troppo massiccio dei combustibili fossili in termini di inquinamento, salute e cambiamenti climatici (innalzamento delle temperature e conseguenze su piovosità, numero e qualità dei cosiddetti “eventi estremi”, possibili migrazioni dai territori in progressivo inaridimento). L'aumento dei costi dei combustibili fossili avrebbe anche un riflesso sui “consumi inutili” (ahi, quanti ce ne sono...).

Non solo, ma il FMI fa notare che a causa dei prezzi che non tengono conto degli effetti collaterali, molte risorse vengono sottratte per rispondere ad emergenze ambientali ad un uso del denaro che sarebbe più consono (salute, istruzione, pubblico trasporto e – pensando al caso italico – pensioni) e che sempre più risorse verranno sottratte in futuro a causa dell'aumento nella frequenza dei fenomeni estremi. Vogliamo un esempio pratico? I costi per la collettività delle alluvioni del novembre 2012, innescate da una temperatura anomalmente alta delle acque del Mediterraneo. O, per gli USA, i problemi ed i costi del recente uragano Sandy.

Pertanto viene raccomandato di tenere conto di questi fattori anche e soprattutto nei nuovi programmi di investimento.

Il FMI quantifica per gli USA la necessità di una tassa di 1.40 $ al gallone di gas, che tradotta in Euro e unità di misura europee – o, meglio, internazionali! – vale poco meno di 30 centesimi al litro e che costerebbe 1.400 $ a testa ad ogni cittadino statunitense. Oggi mentre scrivo il costo al consumatore del gas è circa 3.50$ al gallone: applicando quella tassa ora come ora significherebbe aumentarne il prezzo del 40%!. Non è davvero poco, è da un punto di vista elettorale drammatico, ma rende una percezione discreta del problema.

Per dire queste cose scendono in campo i pezzi da novanta dell'organizzazione, come David Lipton che nel Fondo non è un personaggio qualunque, ma ne è il primo vicedirettore generale: ebbene, Lipton sostiene che è l'ora di togliere sussidi a chi produce combustibili fossili (ci sono tante nazioni che invece lo fanno, compresi gli USA). Anche oggi in Gran Bretagna si discute sulla defiscalizzazione degli utili conseguiti con lo sfruttamento dei gas-shales (in pratica si vuole sussidiare il fracking).

In Europa si deve segnalare una sensibilità piuttosto variabile al problema: i Paesi Scandinavi e la Germania stanno facendo parecchio. Addirittura ci sono delle città come Goteborg che fanno dell'efficienza energetica la politica fondamentale.
Si deve notare come, sostanzialmente, dove ci sono politiche volte alla riduzione degli sprechi e all'uso di sistemi che meno influenzano negativamente l'ambiente, la “green economy” ha permesso la creazione di nuovi posti di lavoro


In Italia invece, siamo più “americani” e spreconi.
Per esempio si protesta per il prezzo della benzina troppo elevato. Ebbene. Sarebbe molto simpatico invece che si usasse meno benzina e si ricorresse maggiormente al trasporto pubblico (almeno chi può, ci sono delle condizioni in cui il ricorsa al mezzo privato è necessario).... Faccio l'esempio di città come Firenze, dove muoversi in auto è difficilissimo, eppure “tutti” lo fanno impiegando ore nel traffico urbano a velocità inferiori a quelle possibili.... in bicicletta! Un massiccio ricorso al mezzo pubblico (fatto salvo ovviamente casi in cui non è possibile e sono parecchi) non solo migliorerebbe l'ambiente ma anche la bilancia commerciale e le nostre tasche.
Sarebbe l'ora di finirla di fare 2 kilometri in auto per recarsi al lavoro, magari in una bella giornata, e poi la sera andare in palestra per fare esercizio fisico....

Ma soprattutto nel nostro Paese c'è l'equazione costi ambientali = prezzi più alti

Secondo il FMI un'equazione come questa è profondamente sbagliata perchè appunto non si tiene conto dei danni ambientali.
E infatti noto come in Italia si continui a con la politica del “volete il lavoro o volete l'ambiente?” (emblematico al riguardo il caso – Taranto).
Invece non si tiene conto che una politica di questo genere, “vecchia” e ancorata al periodo del boom economico non ci porterà da nessuna parte.
Purtroppo in Italia il termine Green Economy è inteso solo come “pannelli solari”, ma è anche altro, per esempio diminuzione dei rifiuti industriali anche, cito 2 esempi a caso, attraverso il loro riciclaggio oppure con la massiccia sostituzione di documenti cartacei con quelli informatici (si evita non solo il consumo di carta, ma pure il trasporto della stessa e lo smaltimento finale).

Come ho detto nell'introduzione, il problema è difficile perchè un cittadino e un'azienda vedono i costi “di oggi”: il cittadino ovviamente ha il problema di “arrivare alla fine del mese” e l'azienda altrettanto ovviamente deve “perseguire l'utile economico”. 
Ovviamente un aumento nella tassazione dei prodotti energetici non va certo in questa direzione. Però quello che oggi ti costa 10 in futuro creerà costi per 50 o 100 sarà un problema sia per il cittadino che per l'azienda, che si troveranno alle prese con uno Stato che dovrà spendere di più per rimediare ai danni che, ad esempio, in assistenza sociale per i cittadini o contributi per ricerca e sviluppo per le aziende.

Alla Politica spetta il compito di governare questi processi pensando soprattutto al futuro, specialmente di chi non è ancora nato e che vivrà in un mondo molto difficile. Già oggi le proiezioni sulla speranza di vita danno per certi Paesi una diminuzione futura rispetto ai valori di oggi. È molto grave e bisogna correre ai ripari.
Ma, aggiungo, una politica del genere è assolutamente impopolare e da noi si ragiona nell'ottica delle prossime elezioni, locali nazionali od europee che siano, quindi nell'ottica al massimo dei 12 mesi. 
Difficile andare in quella direzione....

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