Non tutti sanno che dal petrolio, oltre ai carburanti, si ricavano plastiche, fertilizzanti e persino l'idrogeno (con procedementi non proprio “environmentally friendly”...).
La corsa del petrolio, diventato il vero protagonista degli scambi commerciali nel XX secolo, iniziò alla fine del XIX secolo. Al principio furono gli Stati Uniti, poi arrivarono gli “scatoloni di sabbia”, i paesi arabi. Negli anni '60 i produttori di petrolio erano essenzialmente USA, URSS, Venezuela e Paesi arabi. E l'OPEC dominava la scena mondiale. Poi è arrivata la Nigeria, che aderì all'organizzazione nel 1971. Il primo colpo al monopolio OPEC delle esportazioni arrivò con il petrolio del Mare del Nord. Fra i 15 principali paesi esportatori di petrolio vediamo diversi stati arabi, Russia, Kazakistan, Norvegia, Venezuela, Angola e Nigeria. Russia (paese non OPEC) e Arabia Saudita ne estraggono più di tutti gli altri stati messi insieme.
Il consumo di idrocarburi sta aumentando ogni anno nonostante che la domanda nei paesi occidentali aumenti debolmente, per un rallentamento della crescita economica, per l'aumento dell'efficenza energetica dei dispositivi e per un ricorso ad energie alternative nel campo della produzione di energia: paesi emergenti come Cina e India compensano ampiamente quanto sta avvenendo in occidente
E' difficile parlare dell'argomento senza fare considerazioni politiche, ma ci provo. Annoto soltanto che il petrolio è uno dei principali motivi per dispute anche accese, fino alle guerre. Due esempi molto recenti sono il conflitto in Georgia, ben descritto dal mitico Ole Nielsen nel suo Olelog e l'annosa diatriba USA – Venezuela, dove Chavez, al di là di essere un personaggio discutibile e capace di attirare contemporaneamente molte critiche ma anche molte simpatie (entrambe molto “a priori” a seconda dello schieramento politico di chi si esprime...), sta cercando di affrancarsi dal dominio delle multinazionali USA.
Se alcuni paesi esportatori sono molto ricchi, altri nonostante tutto si dibattono nella povertà, a dimostrazione che non basta al giorno d'oggi avere in una nazione le materie prime per poter essere ricchi, ma che è necessario migliorare la distribuzione della ricchezza in tutta la popolazione. In alcuni casi (come Venezuela e Nigeria) convivono standard di vita bassissimi e un debito internazionale enorme: c'è chiaramente qualcosa che non va...
L'aumento del prezzo del barile che si è registrato negli ultimi anni (adesso, complice la crisi finanziaria, ilquesto valore si è ridotto nel solo mese di ottobre di un terzo) ha cominciato a rendere conveniente lo sfruttamento di giacimenti posti in mare a profondità notevoli e, soprattutto, sta consentendo a nuove nazioni di affacciarsi (o a programmare di farlo) nel mercato mondiale dei produttori di petrolio, perchè titolari di giacimenti posti in mare aperto a notevoli profondità.
Non so se è un caso, ma nell'ultimo mese sono stato letteralmente inondato di articoli in cui si parla di questi “nuovi” stati produttori di petrolio (o che stanno per avviarne la produzione) e che, soprattutto, stanno pensando a un nuovo modello nella distribuzione delle ricche royalties sull'oro nero. Al centro dell'attenzione sono i paesi rivieraschi dell'Oceano Atlantico.
Un grande entusiasmo sta pervadendo il Ghana, che grazie alla scopera di ottimi giacimenti spera di diventare una “tigre africana”. Il presidente del piccolo stato, John Kufour, ha dichiarato, forse ottimisticamente, che il boom energetico non ha prodotto un incremento del livello di sviluppo economico e sociale dei paesi produttori. In Ghana c'è l'occasione di fare qualcosa di più.
Nella sponda americana dell'oceano Cuba sta pensando in grande. Dovrebbe cominciare la produzione in nuovi giacimenti nel 2009 (vi è coinvolta la spagnola Repsol) e le stime parlano di riserve pari a quelle degli Usa e del Messico, con il problema che sono a profondità maggiore. Attualmente lo stato caraibico ne produce molto poco e ricevequello che le serve dal Venezuela in cambio di medici di cui il paese sudamericano ha una grave carenza. Ma punta a diventare uno dei massimi esportatori: con le riserve stimate potrebbe collocarsi fra i primi 20 al mondo. Un bel colpo per l'asfittica economia locale. E' poi di questi ultimissimi giorni l'accordo fra Cuba e Brasile, per cui la compagnia di stato carioca, la Petrobras, avrà i diritti per lo sfruttamento di un gicimento molto importante, situato a meno di 200 Km dalla costa della Florida.
E proprio il Brasile sta programmando l'ingresso nel club dei perforratori a grande profondità. Le prime prospezioni sono molto, molto promettenti, anche se cominciate solo nel 2007: specialmente quello a largo della costa meridionale potrebbe essere il più grande giacimento scoperto al mondo negli ultimi 30 anni. A dimostrazione del potenziale, l'Arabia Saudita a gennaio 2008 ha chiesto allo stato carioca di aderire all'OPEC, ottenendo un cortese rifiuto.
I brasiliani hanno già costruito delle piattaforme offshore però si parla di ritardi nell'inizio della produzione dovuti soprattutto all'adeguamento della legislazione: il governo vuole fermamente evitare un “saccheggio” estero delle risorse e, soprattutto, vuole investire i proventi per ridurre la povertà endemica di una grossa fetta della sua popolazione e per migliorarne l'istruzione.
Fuori dall'area atlantica, è iniziata la produzione di petrolio della Cambogia. Lo stato del sud-est asiatico sta cercando accordi per lo sfruttamento dei giacimenti con la vicina Thailandia. Attualmente sono almno10 le compagnie petrolifere impegnate, ma i cambogiani vorrebbero poterne fare un buon uso interno, e stanno costruendo pure una raffineria. Resta il fatto che finchè non riusciranno a creare una compagnia petrolifera nazionale, sarà dura....
Le esportazioni di petrolio potrebbero raddoppiare il PIL locale, tra i più bassi del mondo. Ma anche qui bisogna vedere se il governo sarà in grado o no di far si che questa ricchezza venga adeaguatamente distribuita. In teoria le intenzioni sono buone, ma non tutte le ONG sono convinte che potrà avvenire.
Il morale della favola è che le riserve accertate di petrolio stanno realmente aumentando, ma che sarà molto costoso estrarlo: infatti nei primi anni 90, con il petrolio a meno di 20 dollari al barile, si bloccò lo sfruttamento di molti giacimenti in cui il costo di estrazione era molto alto. Quindi non è che il prezzo possa diminuire in maniera drastica e i motivi economici si sommano a quelli, gravissimi, ambientali: nessuno pensi di poter continuare a buciare combustibili fossili ai ritmi attuali
Resta comunque l'occasione per alcune nazioni piuttosto povere di provare a migliorare la vita delle popolazioni grazie al petrolio. L'importante è che non si commettano gli errori grazie ai quali paesi ricchissimi di risorse sono in realtà poverissimi.
La corsa del petrolio, diventato il vero protagonista degli scambi commerciali nel XX secolo, iniziò alla fine del XIX secolo. Al principio furono gli Stati Uniti, poi arrivarono gli “scatoloni di sabbia”, i paesi arabi. Negli anni '60 i produttori di petrolio erano essenzialmente USA, URSS, Venezuela e Paesi arabi. E l'OPEC dominava la scena mondiale. Poi è arrivata la Nigeria, che aderì all'organizzazione nel 1971. Il primo colpo al monopolio OPEC delle esportazioni arrivò con il petrolio del Mare del Nord. Fra i 15 principali paesi esportatori di petrolio vediamo diversi stati arabi, Russia, Kazakistan, Norvegia, Venezuela, Angola e Nigeria. Russia (paese non OPEC) e Arabia Saudita ne estraggono più di tutti gli altri stati messi insieme.
Il consumo di idrocarburi sta aumentando ogni anno nonostante che la domanda nei paesi occidentali aumenti debolmente, per un rallentamento della crescita economica, per l'aumento dell'efficenza energetica dei dispositivi e per un ricorso ad energie alternative nel campo della produzione di energia: paesi emergenti come Cina e India compensano ampiamente quanto sta avvenendo in occidente
E' difficile parlare dell'argomento senza fare considerazioni politiche, ma ci provo. Annoto soltanto che il petrolio è uno dei principali motivi per dispute anche accese, fino alle guerre. Due esempi molto recenti sono il conflitto in Georgia, ben descritto dal mitico Ole Nielsen nel suo Olelog e l'annosa diatriba USA – Venezuela, dove Chavez, al di là di essere un personaggio discutibile e capace di attirare contemporaneamente molte critiche ma anche molte simpatie (entrambe molto “a priori” a seconda dello schieramento politico di chi si esprime...), sta cercando di affrancarsi dal dominio delle multinazionali USA.
Se alcuni paesi esportatori sono molto ricchi, altri nonostante tutto si dibattono nella povertà, a dimostrazione che non basta al giorno d'oggi avere in una nazione le materie prime per poter essere ricchi, ma che è necessario migliorare la distribuzione della ricchezza in tutta la popolazione. In alcuni casi (come Venezuela e Nigeria) convivono standard di vita bassissimi e un debito internazionale enorme: c'è chiaramente qualcosa che non va...
L'aumento del prezzo del barile che si è registrato negli ultimi anni (adesso, complice la crisi finanziaria, ilquesto valore si è ridotto nel solo mese di ottobre di un terzo) ha cominciato a rendere conveniente lo sfruttamento di giacimenti posti in mare a profondità notevoli e, soprattutto, sta consentendo a nuove nazioni di affacciarsi (o a programmare di farlo) nel mercato mondiale dei produttori di petrolio, perchè titolari di giacimenti posti in mare aperto a notevoli profondità.
Non so se è un caso, ma nell'ultimo mese sono stato letteralmente inondato di articoli in cui si parla di questi “nuovi” stati produttori di petrolio (o che stanno per avviarne la produzione) e che, soprattutto, stanno pensando a un nuovo modello nella distribuzione delle ricche royalties sull'oro nero. Al centro dell'attenzione sono i paesi rivieraschi dell'Oceano Atlantico.
Un grande entusiasmo sta pervadendo il Ghana, che grazie alla scopera di ottimi giacimenti spera di diventare una “tigre africana”. Il presidente del piccolo stato, John Kufour, ha dichiarato, forse ottimisticamente, che il boom energetico non ha prodotto un incremento del livello di sviluppo economico e sociale dei paesi produttori. In Ghana c'è l'occasione di fare qualcosa di più.
Nella sponda americana dell'oceano Cuba sta pensando in grande. Dovrebbe cominciare la produzione in nuovi giacimenti nel 2009 (vi è coinvolta la spagnola Repsol) e le stime parlano di riserve pari a quelle degli Usa e del Messico, con il problema che sono a profondità maggiore. Attualmente lo stato caraibico ne produce molto poco e ricevequello che le serve dal Venezuela in cambio di medici di cui il paese sudamericano ha una grave carenza. Ma punta a diventare uno dei massimi esportatori: con le riserve stimate potrebbe collocarsi fra i primi 20 al mondo. Un bel colpo per l'asfittica economia locale. E' poi di questi ultimissimi giorni l'accordo fra Cuba e Brasile, per cui la compagnia di stato carioca, la Petrobras, avrà i diritti per lo sfruttamento di un gicimento molto importante, situato a meno di 200 Km dalla costa della Florida.
E proprio il Brasile sta programmando l'ingresso nel club dei perforratori a grande profondità. Le prime prospezioni sono molto, molto promettenti, anche se cominciate solo nel 2007: specialmente quello a largo della costa meridionale potrebbe essere il più grande giacimento scoperto al mondo negli ultimi 30 anni. A dimostrazione del potenziale, l'Arabia Saudita a gennaio 2008 ha chiesto allo stato carioca di aderire all'OPEC, ottenendo un cortese rifiuto.
I brasiliani hanno già costruito delle piattaforme offshore però si parla di ritardi nell'inizio della produzione dovuti soprattutto all'adeguamento della legislazione: il governo vuole fermamente evitare un “saccheggio” estero delle risorse e, soprattutto, vuole investire i proventi per ridurre la povertà endemica di una grossa fetta della sua popolazione e per migliorarne l'istruzione.
Fuori dall'area atlantica, è iniziata la produzione di petrolio della Cambogia. Lo stato del sud-est asiatico sta cercando accordi per lo sfruttamento dei giacimenti con la vicina Thailandia. Attualmente sono almno10 le compagnie petrolifere impegnate, ma i cambogiani vorrebbero poterne fare un buon uso interno, e stanno costruendo pure una raffineria. Resta il fatto che finchè non riusciranno a creare una compagnia petrolifera nazionale, sarà dura....
Le esportazioni di petrolio potrebbero raddoppiare il PIL locale, tra i più bassi del mondo. Ma anche qui bisogna vedere se il governo sarà in grado o no di far si che questa ricchezza venga adeaguatamente distribuita. In teoria le intenzioni sono buone, ma non tutte le ONG sono convinte che potrà avvenire.
Il morale della favola è che le riserve accertate di petrolio stanno realmente aumentando, ma che sarà molto costoso estrarlo: infatti nei primi anni 90, con il petrolio a meno di 20 dollari al barile, si bloccò lo sfruttamento di molti giacimenti in cui il costo di estrazione era molto alto. Quindi non è che il prezzo possa diminuire in maniera drastica e i motivi economici si sommano a quelli, gravissimi, ambientali: nessuno pensi di poter continuare a buciare combustibili fossili ai ritmi attuali
Resta comunque l'occasione per alcune nazioni piuttosto povere di provare a migliorare la vita delle popolazioni grazie al petrolio. L'importante è che non si commettano gli errori grazie ai quali paesi ricchissimi di risorse sono in realtà poverissimi.
1 commento:
Grazie tante
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