martedì 20 maggio 2025

Great Unconformity e Snowball Earth: presentate convincenti prove sulla connessione fra i due fenomeni


La stratigrafia del Grand Canyion da Karlstrom & Timmons (2012):
sono indicate le durate degli intervalli di tempo
 fra le unità che si sovrappongono

Le Tapeat Sandstones sono alla base del Tonto Group
Qualche anno fa avevo parlato dellaGreat Unconformity”, una discordanza comune su tutta la Terra in cui i sedimenti glaciali del Criogeniano o più recenti poggiano su rocce di crosta profonda, in diversi casi di età poco più antica. Quindi sembra che in quel periodo la Terra sia stata caratterizzata da una fase di erosione estremamente accelerata. Nel 2019 fu avanzata l’ipotesi che il collegamento fra questa fase erosiva e i ghiacci delle fasi a Terra palla di neve (Snowball Earth) del Criogeniano non sia casuale, ma causale: insomma, alla base della Great Unconformity ci sarebbe stata l’intensa azione erosiva delle grandi calotte glaciali. È appena uscito un lavoro che fornisce ottime indicazioni su questo legame, attraverso lo studio degli zirconi contenuti in una delle più celebri serie sedimentarie dell’epoca, lo scozzese supergruppo Darlradiano.

LA GREAT UNCONFORMITY E LA RAPIDA ESUMAZIONE A SCALA MONDIALE DI CROSTA PROFONDA. Ci sono diversi casi recenti di esumazione di parti molto profonde della crosta; uno di questi è a casa nostra, nelle Alpi Occidentali, ma si tratta di “casi isolati” dovuti a circostanze tettoniche particolari. Invece nel Criogeniano, il periodo dell’era Neoproterozoica che abbraccia l’intervallo fra 720 e 635 milioni di anni fa, questo processo appare sistematico a scala mondiale, portando all’esumazione di crosta profonda praticamente in tutte le successioni dell’epoca, provocando quella caratteristica nota come “Great Unconformity”: una enorme lacuna nel registro stratigrafico della Terra spesso evidente sotto la base del Cambriano. Ad esempio i sedimenti glaciali del Criogeniano, le diamictiti e i sovrastanti "carbonati di copertura" “cap carbonates” (o, in loro mancanza, i sedimenti del Paleozoico inferiore), si sono deposti in buona parte dei casi sopra rocce metamorfiche o magmatiche formatesi a grande profondità, talvolta in tempi di poco più antichi, come ad esempio in Oman (Bowring et al., 2007) o nella zona del Grand Canyon (Karlstrom & Timmons, 2012),

la carta di Li et al (2013) evidenzia come durante il Criogeniano
la maggior parte delle masse continentali
fosse a medie e basse latitudini
LE FASI DI SNOWBALL EARTH (TERRA A PALLA DI NEVE. Ho parlato di sedimenti glaciali: durante il Criogeniano il nostro pianeta è stato interessato da 2 fasi in cui i ghiacci hanno raggiunto le zone tropicali: sono gli episodi noti come Snowball Earth (letteralmente: Terra a palla di neve) in cui la Terra sarebbe stata completamente ricoperta da ghiacci (Hoffman e Schrag, 2000). C'è poi una terza fase di breve durata (Gasker) nell'Ediacarano, circa 580 milioni di anni fa. Il livello globale di glaciazioni raggiunto almeno nello Sturtiano e nel Marinoano è attestato dai depositi glaciali che si trovano in tutte le successioni rimaste dell’epoca e come si vede da questa carta tratta da Li et al (2013) una buona parte delle terre emerse e ricoperte dalle calotte glaciali si trovava in posizioni tropicali o subtropicali (Li et al, 2013), a differenza delle glaciazioni del permo-carbonifero e di quelle attuali in cui le calotte si trovano in masse continentali collocate ad alte latitudini (il Gondwana al polo sud e la Siberia al polo nord 300 miloni di anni fa, Antartide e Groenlandia adesso e fino a 20.000 anni fa anche Nordamerica e Scandinavia)
L’idea è che durante gli oltre 60 milioni di anni di glaciazione totale le calotte glaciali abbiano promosso la denudazione continentale direttamente attraverso l'erosione operata dagli stessi ghiacciai, ma anche abbassando il livello del mare a scala globale ed esponendo qundi i continenti a una maggiore erosione subaerea (Brenhin Keller et al, 2019).
Le cause degli eventi di Snowball Earth del Neoproterozoico rimangono ancora controverse: sono state ipotizzate diverse possibili cause extraterrestri, geodinamiche, oceanografiche e biotiche, alcune delle quali potrebbero essere correlate fra loro attraverso vari meccanismi di feedback. Quindi se una causa scatenante principale potrebbe essere la diminuzione improvvisa del tenore atmosferico di CO2 (toh..) è difficile individuare il perché sia successo e comunque quali possano essere altri meccanismi correlati e quindi mai come in questo caso le “soluzioni semplici a problemi complessi” sono da evitare ed è una questione complessa che non compete a questo post. Ma spero di parlarne a breve.

IL DALRADIAN SUPERGROUP, UNA FINESTRA SUL NEOPROTEROZOICO. Il Dalradian supergroup dell'Irlanda e della Scozia è una delle successioni sedimentarie più note e più complete dell’epoca che va tra il Neoproterozoico e il Cambriano, accumulatasi tra il tardo Toniano (circa 800 milioni di anni fa) e il Cambriano lungo il margine continentale della Rodinia. Poco dopo, tra l’Ordoviciano e il Devoniano, durante l’orogenesi caledoniana questi sedimenti sono stati metamorfosati, in facies a basso (scisti verdi) o medio grado (anfiboliti).
L’evoluzione geodinamica ha guidato l’evoluzione sedimentaria del Dalradian supergroup, che per questo è suddiviso in gruppi diversi, ciascuno con il proprio significato geodinamico :
  • la parte più antica appartiene al gruppo dei Grampiani, composto da sedimenti deposti nel Toniano in un bacino di avampaese davanti all’orogene Knoydartiano, un sistema attivo fra 820 e 725 milioni di anni fa (Krabbendam et al, 2021), di cui rimangono tracce nella Scozia occidentale
  • Il sovrastante Gruppo di Appin si è deposito nella successiva fase postorogenica
  • i Gruppi di Argyll e delle Southern Highlands si sono accumulati in bacini di rift formatisi durante la disgregazione della Rodinia, nel contesto delle prime fasi dell'apertura dell'Oceano Giapeto
La cosa molto interessante per capire le cause della Great Unconformity è che il gruppo di Argyll conserva una documentazione ben documentata delle glaciazioni criogeniane:
  • la Formazione di Port Askaig è correlata alla lunga glaciazione Sturtiana (717-658 milioni di anni fa),
  • la Diamictite di Stralinchy e il sovrastante Calcare di Cranford (un classico carbonato di copertura) sono correlati alla glaciazione Marinoana (645-635 milioni di anni fa)
  • gli strati detritici trasportati dal ghiaccio all'interno dei Fahan Grits sono correlati alla più recente glaciazione Gaskiers (580 milioni di anni fa)
GLI ZIRCONI COME “FIRMA” DEI BLOCCHI CRUSTALI. Uno zircone è per sempre: gli zirconi resistono praticamente a tutto e sopravvivono per miliardi di anni dopo che si sono cristallizzati: refrattari nel mantello e nella crosta alla fusione durante la formazione intorno ad essi di nuovi magmi, non si alterano né con gli agenti atmosferici né con il metamorfismo, né con altri agenti all'interno della crosta. Insomma, dal punto di vista geochimico il sistema viene "chiuso" all'atto della formazione del cristallo. Essendo quindi “impermeabili” a fattori esterni e contenendo uranio, sono una delle fonti principali delle datazioni radiometriche. Di conseguenza nelle rocce magmatiche di ambiente orogenico o nei loro derivati sedimentari e metamorfici esistono zirconi di varia età che vengono riciclati nel tempo in rocce magmatiche, metamorfiche o sedimentarie successive.
Così, ad esempio, è stato visto che l'abbondanza nel tempo degli zirconi non è costante e da questo è stato facile capire che se ne formano di più in corrispondenza delle fasi più acute di magmatismo orogenico, in genere durante la formazione dei supercontinenti (Nance et al, 2014).
Ogni successione sedimentaria ha la sua propria “firma zirconica” e cioè è caratterizzato da una sua peculiare distribuzione delle età degli zirconi, che vengono conferiti con l’erosione ai sedimenti del bacino che li raccoglie. Quando in una serie sedimentaria cambia la firma zirconica è evidente quindi che è cambiata l’area di provenienza dei sedimenti.

le brusche variazioni dell'indice di varianza in corrispondenza della fine degli episodi di 
Snowball Earth (S: Sturtiano, G: Gasker). Da Kirkland et al (2025)

GLI ZIRCONI DEL DALRADIAN SUPERGROUP PROVANO IL COLLEGAMENTO FRA GREAT UNCONFORMITY E GLI EPISODI DI SNOWBALL EARTH. Per testare l’ipotesi di Brenhin Keller et al, (2019) e quindi verificare la connessione causale e non casuale fra erosione accelerata e glaciazioni, Kirkland et al (2025) hanno studiato le età degli zirconi del Dalradian supergroup, i quali ovviamente non hanno subito nessuna conseguenza dal metamorfismo a cui sono stati sottoposti i sedimenti durante l’orogenesi caledoniana. Sono stati esaminati in particolare il coefficiente di varianza (e cioè quante età degli zirconi si trovano in un determinato strato) e la quantità di zirconi più antichi: una erosione glaciale diffusa degli interni continentali dovrebbe riflettersi in cambiamenti nella provenienza dei sedimenti e quindi della firma zirconica.
Sono stati rilevati due chiari trend: l’aumento nel tempo della percentuale degli zirconi più antichi e della varianza delle età. Il tutto implica che l’erosione abbia progressivamente nel tempo interessato un numero sempre maggiore di unità tettoniche più antiche.

Se l’aumento dell’età è progressivo, il valore della varianza aumenta bruscamente e soltanto nei sedimenti deposti alla fine delle fasi di Snowball Earth. In questo contesto Kirkland et al (2025) che significativamente intitolano l’articolo “la ramazza glaciale del Neoproterozoico” interpretano queste variazioni in due modi:
  • l’aumento graduale della frazione più antica degli zirconi è dovuto all’instabilità tettonica dovuta al rifting, che provoca un sollevamento e quindi l’arrivo in superficie di parti sempre più profonde della crosta
  • l’aumento improvviso della varianza è troppo veloce per attribuirlo a cause tettoniche e siccome si ripete dovunque e soltanto alla fine delle fasi di Snowball Earth è dovuto invece alla erosione accelerata che a scala globale ha provocato la Great Unconformity,
Questa dunque è una prova sostanzialmente molto a favore dell’ipotesi di uno stretto legame fra le glaciazioni del Criogeniano e la formazione della Great Unconformity

BIBLIOGRAFIA

  • Bowring et al. (2007) Geochronologic constraints on the chronostratigraphic framework of the Neoproterozoic Huqf Supergroup, Sultanate of Oman. Am J Sci 307:1097–1145.
  • Brenhin Keller et al (2019). Neoproterozoic glacial origin of the Great Unconformity, PNAS 116(4) 1136-1145
  • Hoffman e Schrag (2000). “The Snowball Earth”, Scientific American 282/1, 68-75
  • Karlstrom & Timmons (2012). Many unconformities make one ‘Great Unconformity’. Grand Canyon Geology; Two Billion Years of Earth’s History, GSA Special Paper 489, pp 73–79
  • Krabbendam et al (2022). A new stratigraphic framework for the early Neoproterozoic successions of Scotland. Journal of the Geological Society, 179, 2021-054
  • Kirkland et al (2025). The Neoproterozoic glacial broom Geology, v. 53, p. 435–440
  • Li et al (2013). Neoproterozoic glaciations in a revised global palaeogeography from the breakup of Rodinia to the assembly of Gondwanaland. Sedimentary Geology 294,219–232
  • Nance et al (2014). The supercontinent cycle: A retrospective essay. Gondwana Research 25, 4–29


mercoledì 14 maggio 2025

un delta fluviale come in laboratorio, ma sul terreno



Il "delta" provocato dalla "mini-fiumara": si evidenziano i due delta,
 al centro il primo, che successivamente è stato poi abbandonato
 in favore di quello sulla sinistra 
Alle volte andare in giro per i monti fa vedere cose piuttosto curiose. In questo caso siamo sopra a La Panca, nel comune di Greve in Chianti, zona notoriamente a tasso alcolico di buona qualità, e dal punto di vista geologico morfologicamente piuttosto particolare,  dove il reticolo fluviale racconta di catture ispirate da movimenti tettonici, corsi d’acqua impostati su faglie e quant’altro.
L’area è nota dal punto di vista stratigrafico perché vi affiorano gli Scisti Policromi, soprattutto perchè siamo dove la cosiddetta “scaglia toscana” dei tempi che furono raggiunge i massimi spessori. È inoltre ben presente anche il sovrastante Macigno del Chianti, una tipica arenaria flyschoide.
Siamo a Montescalari, sopra la località detta "La Panca". Poco a NE di La Panca c’è Cintoia, località dove affiorano anche i calcari della Serie Toscana e dove noi, da studenti, abbiamo imparato a fare il rilevamento geologico.
Sulla riva di una pozzanghera lungo una strada parzialmente in trincea alimentata dalle piogge della notte precedente, si è formato un sistema fluviale in miniatura, che ricorda molto quelli prodotti in laboratorio. Il Macigno spesso si altera sgranandosi e in tale modo si forma un detrito sabbioso che si accumula sul terreno. E si, alle volte sembra di essere su una spiaggia e questo fa pensare alla ciclicità della natura: graniti che esumati in superficie sono stati erosi perdendo i loro grani, i quali trascinati dai fiumi sono diventati sabbie, a loro volta consolidate in arenarie le quali da ultimo alterandosi ritornano a formare sabbie. E in tutto questo, tenacissimi grani di zirconi di miliardi di anni continuano ad essere riciclati tra sedimenti, subduzioni e nuovi magmi che alterandosi li riportano in superficie.
In questo caso i grani derivati dal Macigno si sono accumulati sul fondo di questa strada.

Le forti piogge della notte precedente (oltre 50 mm, parecchio per queste parti ma non certo per la Liguria o l’Alta Toscana di Versilia, Riviera Apuana e bacini di Magra e Alto Serchio) hanno portato nella strada altro detrito e all’interno della strada stessa si sono formati dei piccoli rii che hanno trasportato i grani. In particolare la prima immagine evidenzia un delta che si è formato all’interno di una vasta buca riempita dall’acqua, delta che si staglia nettamente nella pozzanghera con una forma che ricorda proprio le conoidi lungo le rive dei laghi. 
Da notare che in realtà il delta è composto da due lobi, quello più avanti e uno più a sinistra: il secondo sembra essersi formato dopo il primo quando, diminuendo l’acqua che trascinava i grani il primo ha raggiunto una elevazione tale che la corrente non è più riuscita a scavalcarlo. Si notano anche i canali più recenti che vanno appunto verso il nuovo delta. Questo secondo delta ha ancora all'interno ben visibile il canale principale, che forse addirittura ha leggermente eroso un pò dei depositi, mentre la "linea di costa" del primo non evidenzia più a prima vista dei canali

Nella seconda immagine si vede invece come a monte del delta la sua alimentazione detritica provenga da quella che sembra proprio una fiumara in miniatura. Anzi, se non fosse per il martello che fornisce il riferimento per le dimensioni e per le piante sulla sinistra questa immagine potrebbe essere quasi spacciata per una ripresa di una fiumara dall’alto. Si vedono benissimo gli ultimi dei vari canali lungo i quali l'acqua si è mossa trascinando i sedimenti e come si è evoluto il loro reticolo. 
Insomma, un "modello naturale in scala" di quello che succede in Natura a scala "normale". 

la mini-fiumara vista "da valle": sono evidenti vatri canali
come realmene succede nelle fiumare 


venerdì 2 maggio 2025

Dopo oltre 60 anni dal Progetto Mohole, finalmente dovrebbe essere raggiunto con delle perforazioni il mantello terrestre


La discontinuità di Mohorovičić (universalmente nota semplicemente come “Moho”) divide la crosta terrestre dal mantello. Da quando il geofisico croato Andrija Mohorovičić la scoprì nel 1909, fra i vari sogni dei geologi c’è quello di arrivare direttamente al mantello. Negli anni ‘60 del XX secolo era stato lanciato il progetto Mohole (contrazione di Moho e Hole, insomma, un foro nella Moho). Ma ad oltre 60 anni da questa idea la Moho non è stata ancora raggiunta, nonostante l’ottimismo iniziale. Oggi dopo tutti questi decenni una nuova nave oceanografica cinese si appresta a coronare questi sogni e ha in programma di farlo entro il 2030. La domanda però è se questa Moho sarà rappresentativa non solo del mantello che si trova sotto gli oceani, perché quello continentale potrebbe avere una storia molto differente. Per risolvere la questione si dovrebbe appunto perforare la crosta continentale, ma la Moho attuale è troppo profonda; allora l’idea è quella di trovare una Moho fossile a bassa profondità. Questa seconda possibilità può essere realizzata proprio in Italia, in una zona alpina, la Ivrea – Verbano e c'è giusto un progetto in corso che sta carotando quell'area per arrivarci.

“Guarda! Quello non è basalto; è il mantello! Abbiamo attraversato il Moho! Ce l'abbiamo fatta!" Una dozzina di uomini sono ammassati attorno all'estremità di un pezzo di tubo sporco. Dalla sua estremità emerge lentamente un pezzo di roccia a forma di asta di circa due pollici di diametro. Le loro parole sono confuse e spazzate via dal vento, ma non c'è dubbio che questo sia un grande momento. Si danno colpi esuberanti sulla schiena come i vincitori di una scommessa azzardata.
La scena è il piano di perforazione di un'enorme torre di perforazione che è molto simile a quelle che punteggiano lo skyline delle zone petrolifere. I lavori di estrazione, gli ascensori, le pompe, tutto sembra uguale al solito, ma dov'è il supporto del tubo di perforazione? È steso per tutta la sua lunghezza sul terreno, no, sul ponte. Perché questa è una nave; l'intera enorme macchina ondeggia dolcemente mentre rotola con l'onda. L'orizzonte? Nuvole e acqua.

C'è un silenzioso pulsare di motori in profondità nella stiva, il fischio del vento nel sartiame e il ronzio di un cavo che scorre veloce, ma sopra di loro tutto è il suono emozionante della conquista: pochi istanti prima un pezzo di roccia lungo circa un piede è caduto con un tonfo dall'estremità del tubo in un vassoio semicircolare poco profondo. Quando è successo, un tizio bruciato dal sole in piedi accanto al vassoio si è improvvisamente inginocchiato sulla piattaforma fangosa della grande torre di perforazione, ha afferrato il frammento e lo ha immerso in un secchio d'acqua, strofinando via il fango della perforazione con le mani.
Quando la roccia è abbastanza pulita da renderne visibili i dettagli, il tizio la osserva attentamente. Intorno a lui si accalca parecchia gente e uno dei presenti offre una lente di ingrandimento da geologo.
"Cos'è? Cosa abbiamo?"
Dopo qualche istante un uomo che ha fatto un sacco di domande e preso appunti su un pezzo di carta piegato si allontana e si dirige alla macchina da scrivere nella cabina radio della nave per battere le notizie per il mondo: alle 10:45 di questa mattina, è stata raggiunta la Moho, il limite inferiore della crosta terrestre e l'Umanità ha visto per la prima volta dei campioni del materiale di base che compone la maggior parte della Terra, perché gli scienziati, che perforano nell'oceano profondo a mille miglia dalla costa messicana, sono riusciti a recuperare delle parti del mantello terrestre. Adesso finalmente sappiamo di cosa è fatta la terra".
Questo è quello che si è immaginato sarebbe successo da lì a pochi anni Willard Bascom nel 1961, in A hole in the bottom of the sea. In questo libro l’Autore spiega appunto il Progetto Mohole e cioè quello che è quasi un Santo Graal delle Scienze della Terra: perforare la crosta terrestre per arrivare al mantello e vedere come è realmente fatto (e qundi se le ipotesi che abbiamo siano più o meno reralistiche. Nel libro Bascomb approfondisce anche le tecniche scientifiche utilizzate per comprendere la struttura della Terra, tra cui sismologia e geodesia, e introduce i principi base della perforazione, come i tubi di risalita e i dispositivi anti-esplosione.
Per Bascom realizzare il progetto Mohole era solo una questione di soldi. Invece oltre 60 anni dopo la Moho non è stata ancora raggiunta e non tanto per i problemi finanziari del progetto Mohole i cui costi erano schizzati in alto in maniera impressionante, quanto per problemi tecnici.

Le onde sismiche che arrivano direttamente
 e quelle che arrivano dopo essere state riflesse dalla Moho
LA MOHO.
Il racconto con cui inizia il libro di Bascom è ambientato su una nave oceanografica, ed è una ambientazione logica in quanto la Moho sotto la crosta oceanica si trova a una profondità di 5-7 km, che diventano tra 25 e 70 sotto i continenti a seconda dell’area. Moho è il termine con cui comunemente nella letteratura scientifica e nello slang geologico si indica la discontinuità di Mohorovicich, dal nome del geofisico croato Andrija Mohorovičić che la scoprì nel 1909: analizzando i sismogrammi dei terremoti poco profondi Mohorovičić capì il motivo della presenza di due treni distinti di onde P e onde S: il primo treno arriva direttamente al sismografo dall’area di origine del sisma, il secondo invece vi arriva dopo essere stato riflesso da un mezzo in cui le onde sismiche vanno più veloci (appunto il mantello). La Moho quindi separa la crosta terrestre dal mantello, e il sogno di parecchi geologi è stato di sapere davvero la composizione del mantello. Questo livello ha implicazioni molto importanti per i processi della tettonica a placche perché si ritiene associato a importanti cambiamenti nella mineralogia e nella reologia. 

ONORE ALLA JOIDES RESOLUTION, AVANTI MENG XIAN. Il progetto Mohole fu abbandonato nel 1966, ma possiamo dire che in qualche modo ha dato il via al Deep Sea Drilling Project, il progetto che ha rivoluzionato la nostra comprensione dell’evoluzione dei fondali oceanici, grazie a navi in grado di effettuare carotaggi anche profondi dei loro fondali e non solo della parte sedimentaria. Il progetto ha cambiato nome diverse volte (adesso si chiama IODP3) e questo proposito ho parlato recentemente del massiccio di Atlantis, nell’oceano a largo del Portogallo, dove sono state campionate rocce che pur appartenendo alla crosta erano nel mantello e hanno fornito interessanti indicazioni sulla sua struttura.
La prima nave utilizzata per questo scopo è stata la Glomar Challenger, dal 1968 al 1983. 
Nel 1985 fu varata la Joides Resolution, che ha solcato i mari fino alla sua messa in disarmo nel 2024, dopo 40 anni di onorata carriera e non so quanti giri del mondo. Fra le ultime crociere dobbiamo registrare il log 402, che ha studiato il mar Tirreno (Zitellini et al, 2023) e di cui stanno per uscire i primi risultati.
Oggi di navi oceanografiche ce ne sono diverse (per l'IODP numerose campagne hanno avuto come protagonista la giapponese Chikyu) e fra queste ce n’è una cinese appena varata, la Meng Xian. Si tratta di una nave specificamente ideata per perforare (non dite "trivellare", per favore) la crosta oceanica e raggiungere il mantello, in grado di perforare fino a 11 km utilizzando una asta di perforazione in lega di titanio e una punta diamantata, che consentono una perforazione affidabile in ambienti ad alta temperatura e alta pressione.
Uno degli obbiettivi di questa nave è proprio quello di raggiungere e superare la Moho entro il 2030 (Sun et al, 2025).



la zona Ivrea - Verbano nel Permiano e oggi da Pistone et al, (2020)
QUESTO PER IL MANTELLO OCEANICO. E PER QUELLO CONTINENTALE?
Il mantello oceanico è molto giovane e deriva dall’attività di un margine divergente fra placche. Potrebbe quindi essere molto diverso da quello continentale ben più antico e che è stato interessato da molti altri processi. Ma come arrivare a profondità così elevate come quelle del mantello sotto i continenti? Attualmente il pozzo più profondo ha raggiunto circa 12.000 metri di profondità nella penisola di Kola, meno della metà del necessario. 
Ma esiste un’altra possibilità, trovare una Moho fossile, che per qualche motivo i fenomeni geologici hanno spinto verso l’alto. E questa Moho fossile si trova proprio in Italia: è la Zona Ivrea-Verbano, dove oltre alle parti più profonde della immensa caldera del vulcano della Valsesia, attivo nel permiano di 280 milioni di anni fa (Quick et al, 2009), all’interno di una serie di rocce originatesi nella crosta continentale inferiore si trova un corpo di composizione peridotitica (e quindi di composizione simile a quella del mantello). Quindi si tratta di una parte della crosta profonda che per una serie di vicissitudini tettoniche è ora esposta in superficie. Ma c’è di più: le analisi geofisiche hanno evidenziato la presenza a poca profondità di un corpo ad alta densità, conosciuto come corpo geofisico di Ivrea. Questo suggerisce che non solo la crosta profonda, ma anche una parte del mantello sia stata coinvolta nella risalita: insieme la Zona Ivrea - Verbano e il corpo geofisico di Ivrea sono stati interpretati come la crosta profonda e una parte di mantello della microplacca adriatica oggi incuneati nella crosta europea (Schmid e Kissling, 2000). È importante la  giacitura di questa sezione, che non è più verticale, ma è ruotata praticamente di 90 gradi, portando quindi in esposizione livelli che in origine si trovavano a profondità molto diverse fra loro. In particolare secondo Pistone et al (2020) il Corpo Geofisico di Ivrea conserva la struttura di un complesso igneo formatosi per la cristallizzazione nel mantello superiore di magmi mafici idrati. Quindi nella zona di Ivrea - Verbano esiste una vecchia Moho, rimasta tale anche se sradicata da dove era.
A questo proposito, sotto l’egida dell’ICDP (International Continental Scientific Drilling Program) è in svolgimento nella zona dell’Ivrea-Verbano il Progetto DIVE (Drilling the Ivrea-Verbano zonE), nato per esplorare la crosta inferiore continentale e la sua transizione nel mantello, con l’ausilio di perforazioni scientifiche. A questo link trovate tutto sul progetto DIVE
Gli scopi di questo progetto di perforazione, già in corso, è lo studio dei processi che si svolgono nella zona di transizione tra la crosta e il mantello, sfruttando la combinazione di indagini geologiche e perforazioni scientifiche. 
In conclusione, quindi si spera in pochi anni di avere dei campioni diretti del mantello terrestre, sia di quello oceanico che di quello continentale.

BIBLIOGRAFIA

Bascomb (1962) A Hole in the Bottom of the Sea – The Story of the Mohole Project. Doubleday & Company, Inc. 1961, Garden City, New York

Pistone et al (2020). Joint geophysical-petrological modeling on the Ivrea geophysical body beneath Valsesia, Italy: Constraints,on the continental lower crust. Geochemistry, Geophysics, Geosystems, 21, e2020GC009397.

Quick et al (2009). Magmatic plumbing of a large Permian caldera exposed to a depth of 25 km. Geology 37, 603-606

Schmid & Kissling (2000). The arc of the Western Alps in the light of geophysical data on deep crustal structure. Tectonics, 19, 62–85.

Sun et al (2025).The Moho is in reach of ocean drilling with the Meng Xiang. Nature Geoscience 18, 275–276

Zitellini et al (2023). Expedition 402 Scientific Prospectus: Tyrrhenian Continent–Ocean Transition. International Ocean Discovery Program. https://doi.org/10.14379/iodp.sp.402.2023