mercoledì 1 marzo 2023

I dinosauri italiani, pochi ma buoni. Anzi: spesso eccezionali!


Fino a 30 anni fa circa era opinione comune che in Italia non fossero vissuti dei dinosauri. In realtà questa asserzione era semplicemente il frutto della mancanza di reperti: dagli anni ‘90 invece è dimostrata la presenza di dinosauri anche nei territori che costituiscono l’Italia. Non solo, ma fra fossili e impronte fossili abbiamo alcuni dei ritrovamenti più clamorosi (parlo di Antonio, Ciro e delle impronte di Altamura). Faccio quindi una breve disamina della situazione, premettendo che i siti dove sono state trovate le impronte sono molto numerosi e non posso citarli tutti.

Innanzitutto una puntualizzazione: non è che i dinosauri siano vissuti solo nel Giurassico. La confusione l'ha creata il famoso film Jurassic Park e anche in Jurassic Park ci sono dinosauri del Cretaceo che ancora non esistevano nel Giurassico, per esempio i Tirannosauri. Penso che sia stato scelto il titolo più accattivante: probabilmente Cretaceous Park o Mesozoic Park avrebbero funzionato peggio. Anche i reperti italiani sono sia giurassici che cretacei.

Tiziana Brazzatti e una copia del "suo" Antonio
al villaggio del Pescatore
I DINOSAURI ITALIANI: POCHI MA “BUONI”. Nel XX secolo sono stati scoperti fra Italia e Svizzera due esemplari di Ticinosuchus ferox, un rettile del triassico medio e le impronte note come Cheirotherium sono probabilmente state lasciate da un Ticinosuchus o da un suo simile. Nel Triassico gli arcosauri, oggi rappresentati solo da uccelli e coccodrilli, erano particolarmente variegati; all’interno di questa complessità Ticinosuchus, che ha convissuto con i primi dinosauri, appartiene ai Rauisuchidi, un gruppo nella cui classificazione c’è un po' di confusione (Gower, 2000). L’unica cosa sicura è che i Rauisuchidi appartengono agli arcosauri più vicini ai coccodrilli che a uccelli e dinosauri.
Dagli anni ‘90 del XX secolo sono iniziate le scoperte, prima di impronte poi anche di fossili e fra questi due degli esemplari più spettacolari al mondo: Antonio a Trieste e Ciro nel Sannio.
I dinosauri italiani appartengono a diversi gruppi: il triestino Antonio (scientificamente noto come Tethyshadros insularis), scoperto dalla mia amica Tiziana Brazzatti (Brazzatti e Calligaris, 1995) e riportato completamente alla luce qualche anno dopo, è un adrosauro, quindi un classico esponente dei dinosauri ornitischi; la cosa incredibile è che durante la campagna per liberarlo dalla roccia è stato trovato Bruno, un altro adrosauro della stessa specie, anche esso in buono stato di conservazione, pur se deformato. 
Ci sono poi 4 fossili di saurischi. Vicino Roma, sulle pendici dei monti Prenestini, sono state scoperte parti dello scheletro di Tito, un grosso sauropode, esponente di un gruppo il cui nome è tutto un programma dal punto di vista delle dimensioni: i titanosauri. Sono invece dei teropodi il Saltriosauro (Saltriovenator zanellai) che era un Ceratosauro (un dinosauro carnivoro appartenente ad un clade diverso rispetto ai carnosauri come gli allosauri o al rigoglioso gruppo dei celurosauri), Ciro, scientificamente noto come Scipionyx samniticus, l’esemplare di poche settimane di vita trovato a Pietraroja, e il proprietario di un arto isolato di difficile collocazione più precisa, trovato nella parete di una grotta nei pressi di Palermo in depositi di ambiente lagunare del Cretaceo superiore.
Le piccole dimensioni di Ciro (in realtà scoperto nel 1981 ma rimasto a lungo sconosciuto al mondo scientifico) ma soprattutto la sua tenera età ne rendono incerta la classificazione: è tradizionalmente considerato un compsognatide, quindi un celurosauro parente molto prossimi degli antenati degli uccelli, ma Andrea Cau sostiene che si tratti invece di un pulcino di un allosauro (Cau, 2021). Il suo stato di conservazione è eccezionale perché le condizioni chimiche della sua fossilizzazione hanno consentito di preservare i calchi di tessuti molli ed organi interni. Solo tra i fossili delle faune di Jehol, in Cina, si può riscontrare uno stato di conservazione simile! (ne ho parlato qui).

alcune impronte di Altamura
Foto nel sito del comune
NON SOLO OSSA: ANCHE ORME. Dalle impronte fossili si possono ottenere informazioni utili, confrontandole con le caratteristiche del piede dei fossili conosciuti; in alcuni casi sono state persino evidenziati alcuni aspetti della pelle. I siti italiani con impronte sono molti di più di quelli fossiliferi e confermano la presenza di dinosauri carnivori medi e piccoli, di sauropodi e di vari ornitischi come iguanodonti e ankylosauri. Qui devo limitarmi a citarne alcuni. Per chi volesse dettagli maggiori i due lavori di Petti et al (2020) rappresentano un ottimo livello di approfondimento della questione.
Diversi siti contenenti orme fossili si trovano tra Trentino Alto Adige Veneto e Friuli, dove meritano una menzione speciale quelle leggendarie dei Lavini di Marco a Rovereto (Avanzini et al, 2003) e del monte Pelmo (Belvedere et al, 2017). In entrambi i casi sono presenti sia teropodi che dinosauri erbivori. Le impronte trovate in un blocco usato per il molo di Porto Corsini a Ravenna vengono dal Friuli (cava Sarone, vicino a Pordenone). Nel centro – sud d’Italia le impronte sono state trovate soprattutto dentro cave o in blocchi provenienti da cave. Fra la decina di siti in Puglia spicca la cava di Altamura che ne contiene almeno 26.000 secondo un rilievo eseguito con il drone. Purtroppo le tracce si incrociano (forse sono state lasciate da un singolo branco) e così spesso le successive vanno a danneggiare quelle preesistenti, rendendo difficile la ricostruzione. Sull’attribuzione definitiva degli animali che sono passati di lì circa 80 milioni di anni ci sono ancora molte incertezze. 
Nel Lazio una cava a Sezze contiene oltre 200 impronte in 3 differenti orizzonti lasciate da un titanosauro simile a quello ritrovato a Roma, da un oviraptoride e da un teropode generico; a Esperia le tracce non sono ben conservate ma una serie appartiene sicuramente ad un piccolo teropode alto meno di un metro; nel Circeo a Porto Canale – Riomartino un blocco di calcare cavato vicino a Terracina presenta le impronte di un teropode (probabilmente uno strutiomimus, chiamato così per il suo scheletro straordinariamente simile a quello di uno struzzo), che stava camminando, si è fermato per un pò e successivamente è ripartito. 

Carta modificata da Citton et al (2016) con evidenziati i siti con fossili.
Quelli con le impronte sono di più ma essendo spesso vicini fra loro
 non sono stati indicati tutti
DOVE VIVEVANO QUESTI DINOSAURI. Il nome scientifico di Antonio, Tethyshadros insularis si riferisce esplicitamente alle caratteristiche geografiche dell’area dove vivevano i dinosauri italiani: una serie di isole pianeggianti a quote molto basse, circondate da bracci di mare di scarsissima profondità, poste nella fascia tropicale lungo il margine settentrionale della Tetide, l’oceano allora interposto fra l’Eurasia da un alto, Africa, Arabia e India dall’altro, la cui chiusura ha formato il sistema montuoso che va da Gibilterra all’Himalaya, passando per Italia, Balcani, Turchia e Iran. Dal punto di vista ambientale l’area si trovava nella fascia tropicale: per trovare una analogia attuale un buon esempio dell’Italia che fu è il complesso Florida – isole Bahamas: un continente e un sistema di isole con intorno un mare non molto profondo. Queste isole erano esattamente il tipo di ambiente dove è possibile la conservazione delle impronte: basta che un nuovo sedimento si depositi sopra di esse dopo che si sono momentaneamente consolidate e prima che vengano naturalmente distrutte e il gioco è fatto.
La Tetide, che era di suo un oceano molto stretto, a quell’epoca si stava già chiudendo. I suoi margini, spezzettati in una serie di microzolle potevano essere piuttosto mobili e in movimento fra loro, per cui è possibile che alcuni di questi blocchi si avvicinassero e poi si allontanassero di nuovo. Questi movimenti orizzontali potevano anche innescare dei movimenti verticali che nel sistema di terre poco elevate e bracci di mare poco profondi erano in grado di aumentare o diminuire a dismisura l’estensione delle isole; questo poteva succedere anche a causa di oscillazioni globali del livello marino. In particolare nei momenti in cui il livello marino era estremamente basso (come per esempio ad un certo punto nel Cretaceo medio, circa 115 milioni di anni fa) ci possano essere stati dei “ponti”, che hanno sporadicamente collegato l’Africa all’Eurasia, provocando di conseguenza diversi scambi faunistici fra Africa ed Eurasia. I maggiori indiziati per questi corridoi sono la zona ora rappresentata dalla penisola iberica e proprio le piattaforme carbonatiche intorno all’attuale mar Adriatico. Le ossa di sauropode dei monti Prenestini dimostrano il ruolo rivestito dalla piattaforma appenninica in questi scambi faunistici (Dal Sasso et al, 2016).

NON SOLO RETTILI MESOZOICI TERRESTRI. Nel mesozoico anche nei mari vicini a dove vivevano i dinosauri italiani nuotavano i grandi rettili marini del mesozoico, come testimoniano il fossile di un ittiosauro, un rettile marino mesozoico morfologicamente simile ad un delfino, trovato a Genga, nell’Appennino centrale (Paparella et al 2016) e l’impronta di un rettile marino non identificabile in un sedimento deposto ad una certa profondità al Conero. In realtà questo non è il primo reperto di ittiosauro trovato in Italia: Serafini et al (2023) hanno descritto la parte anteriore del muso di un ittiosauro rinvenuta in Veneto nel XIX secolo e ora al museo di Verona e solo un anno fa è stato scoperto un reperto analogo sempre vicino a Verona, attualmente in studio a Modena dall’equipe del prof. Papazzoni
Inoltre in un sedimento deposto ad una certa profondità al Conero, sono state trovate delle impronte lasciate sul fondo da un non meglio identificato rettile marino.

Avanzini et al 2005 The dinosaur ichnosite at the Lavini di Marco studi Trent. Sci. Nat. Acta Geol. (2003) suppl.1, 31-36

Belvedere et al 2017 Dinosaur footprints from the top of Mt. Pelmo: new data for Early Jurassic palaeogeography of the Dolomites (NE Italy) Bollettino della Società Paleontologica Italiana, 56 (2)

Brazzatti e Calligaris 1995 studio preliminare dei reperti ossei dei dinosauri del Carso triestino  Atti Mus.civ. Stor. nat. Trieste 46, 221-226

Cau (2021) Comments on the Mesozoic theropod dinosaurs from Italy Atti Soc. Nat. Mat. Modena 152 (2021) 

Citton et al (2016) Updating and reinterpreting the dinosaur track record of Italy Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology 439, 117–125

Dal Sasso et al (2016) First sauropod bones from Italy offer new insights on the radiation of Titanosauria between Africa and Europe Cretaceous Research 64, 88-109

Gover (2000) Rauisuchian archosaurs (Reptilia, Diapsida): an overview. Njb. Palaont. Abb. 218, 447 – 488

Paparella et al (2016) The first ophthalmosaurid ichthyosaur from the Upper Jurassic of the Umbrian–Marchean Apennines (Marche, Central Italy) Geological Magazine (2017) 154 (4): 837–858.

Petti et al (2020) Cretaceous tetrapod tracks from Italy: a treasure trove of exceptional biodiversity Journal of Mediterranean Earth Sciences 12 (2020), 167-191

Petti et al 2020 Jurassic tetrapod tracks from Italy: a training ground for generations of researchers Journal of Mediterranean Earth Sciences 12 (2020), 137-165

Serafini et al 2023 Dead, discovered, copied and forgotten: history and description of the first discovered ichthyosaur from the Upper Jurassic of Italy Italian Journal og Geosciences 142/1, 131-148



1 commento:

Anonimo ha detto...

Grazie della sintesi Aldo, però correggi il nome di Cau: si chiama Andrea. A presto Alessandra (Negri)