domenica 17 ottobre 2021

Le condizioni che determinano l'attuale aumento dei prezzi degli idrocarburi


In questo post ci sono soprattutto dei grafici e non desidero esprimere giudizio sull’uso o l’abuso dei combustibili fossili, se non con una piccola chiosa in fondo. I grafici che presento aiuteranno a capire cosa sta succedendo. Ovviamente dei prezzi se ne parla più adesso che sono in forte ascesa rispetto a quando diminuiscono, ma l’impatto di questi aumenti (e quelli generali di tutte le materie prime) sulle famiglie e sulle aziende è un problema che rischia di ripercuotersi abbondantemente sulla ripresa post COVID in termini di costi per le aziende e in risorse disponibili per altri consumi e per il risparmio delle famiglie. Mi scuseranno gli economisti se in parte entro nel loro campo (e magari con qualche imprecisione), ma un aspetto molto interessante dei combustibili fossili è l'essere un argomento trasversale che tocca parecchi settori scientifici, tecnologici, economici, politici e anche morali. 

Fig.1: produzione di gas in USA

LA SITUAZIONE DEL GAS. Ho segnato l'inizio del 2007 perché da quel momento inizia l'esplosione della produzione di gas dai gas shales. Un indicatore molto importante è il suo prezzo all’Henry Hub, uno dei principali hub di distribuzione in Louisiana, espresso in milioni di British Thermal Units. Le BTU sono una delle solite unità di misura usate nei paesi anglosassoni che a noi utenti del sistema internazionale ci paiono bizzare come il pollice e il piede. In questo caso è una misura della resa energetica di un prodotto ed è un ottimo indicatore delle sue qualità come carburante.
Fig.2: i prezzi del gas all'Henry Hub
Nella figura 1 si vede la produzione di gas USA, che dopo il picco negli anni ‘70 del XX secolo era rimasta più o meno costante e di conseguenza, crescendo la domanda, i prezzi erano alti. Poi è aumentato il ricorso alla tecnica di estrazione con la fratturazione idraulica (il fracking) dai gas shales grazie allo scavo di pozzi orizzontali (ne ho parlato diverse volte, per esempio qua): come si vede nella figura 2  c'è stata una prima impennata ma per cause esterne: il prezzo del petrolio dell’epoca che per qualche mese rimase molto al di sopra dei 100 $ al barile. Dopodiché l’aumento vertiginoso dell’estrazione ha corrisposto a un ovvio calo dei prezzi che si sono mantenuti bassi per parecchio tempo a causa della sovrapproduzione (e questo nonostante le difficoltà di distribuzione, essendo i gasdotti assolutamente insufficienti per cui in genere dove è estratto come sottoprodotto insieme al petrolio il gas viene bruciato perché antieconomico da vendere (qui una notazione ambientale ci vuole: da alcune parti si estrae gas, in altre si brucia… pazzesco...).

fig.3: il prezzo del gas negli ultimi anni 
all'Henry Hub e in Europa
Nel 2021 i prezzi stanno aumentando: siamo sempre a livelli di molto inferiori a prima del 2009, ma da aprile ad oggi c’è stato un loro raddoppio, come si vede nella figura 3. Non è poco. Sempre nella figura 3 si nota che in Europa i prezzi sono sempre più alti che all’Henry Hub, talvolta di poco ma in genere circa il doppio (scusate se le date non sono allineate… non sono un grande grafico) ed è per quello che conviene importare il gas liquefatto americano sulle navi gasiere costruendo i rigassificatori. Oggi il divario sta aumentando: sempre da aprile nel vecchio continente il prezzo è triplicato anziché raddoppiato come in USA e ora costa quasi 5 volte di più che in USA (quasi 23 dollari contro poco più di 5).

fig.4: le previsioni pre-COVID e la reale
produzione di petrolio in USA
VENIAMO ORA AL PETROLIO. La prima evidenza è la drastica diminuzione della produzione USA, come si vede dalla figura 4: come per il gas, negli States la crescita vertiginosa della produzione è stata guidata dagli oil shales, in particolare in Texas e North Dakota (nel New England lungo gli Appalachi il Marcellus Shale produce essenzialmente solo gas). La crescita si è arrestata bruscamente nella primavera del 2020 a causa del COVID, e nel 2021 mancano rispetto al 2019 circa 3 milioni di barili al giorno (le statistiche sono valide fino a giugno, per il dopo siamo alle previsioni, che sono diverse a seconda del previsore…). La produzione mondiale dovrebbe tornare a 100 milioni di barili al giorno ma sulle previsioni appunto non ci metto bocca. Sulle previsioni - sbagliate - pre-COVID diciamo che stavolta sono intervenuti fattori molto esterni ed imprevedibili. Quindi giustifico l'errore....
Fig.5: il prezzo del petrolio da aprile 2020 a oggi

Dalla figura 5 si vede come negli ultimi 12 mesi il valore del barile sia praticamente raddoppiato sia in dollari che in euri. (notate anche un particolare: nel secondo trimestre 2020 il petrolio è aumentato in dollari, ma diminuito in euri a causa del deprezzamento della moneta USA). 
Oggi il prezzo del barile si mantiene alto perché la domanda mondiale rispetto all’offerta è piuttosto sostenuta, come si vede dalla figura 6, per motivi di impaginazione in fondo al post.
E ricordiamoci anche che il dollaro, dopo il calo della seconda metà del 2020 quando da 1.09 è passato a 1.21, oggi si sta rafforzando e non poco. 

Da ultimo alcune considerazioni.

La prima economica: i prezzi dei combustibili fossili rappresentano una variante pesante che incide sui costi per le aziende e per le famiglie (in particolare per quelli che usano massicciamente il mezzo privato su gomma). Le previsioni sui prezzi dimostrano che Niels Bohr aveva ragone quando diceva che è difficile fare delle previsioni, specialmente per il futuro. Di fatto gli economisti in genere le falliscono, specialmente sui prezzi. E questo non aiuta. 

La seconda ambientale: i danni che stanno provocando sono notevoli e ben visibili a parte chi ha il paraocchi.
Ma attualmente sono – purtroppo – difficilmente sostituibili se non per la produzione di energia elettrica. Ad esempio le auto elettriche si portano dietro l’estrazione di minerali che spesso avviene in maniera ambientalmente – e spesso moralmente – discutibile. Quanto al nucleare, tanta pubblicità però alla fine i fatti sono che al di là dei proclami le scorie rappresentano ancora un problema, nessuno ha affrontato il problema del reupero delle aree delle centrali chiuse e negli ultimi 30 anni i pochi impianti previsti almeno nel mondo occidentale, sono ancora in costruzione dopo decenni, con costi incredibilmente supreriori al previsto e in USA l’energia elettrica da nucleare costa tantissimo (trump addirittura voleva finanziarli per favrirne l’economicità all’utilizzatore)

Quindi eliminare la dipendenza dai fossili è una impresa realisticamente molto difficile. E un problema che insieme al debito pubblico di molte nazioni, erediteranno le generazioni future. Difficile non pensare a una decadenza per le migrazioni e gli altri guai innescati dal clima, con la spada di Damocle dell’esplosione del debito.
fig.6: produzione mondiale di petrolio, domanda e previsioni (con l'attendibilità tipica delle previsioni)



2 commenti:

Unknown ha detto...

Ottimo post, chiaro ed esaustivo. Condivido il commento sul nucleare. Inutile parlare di nucleare a fissione come possibile via d'uscita. Oggi ci sono 400 impianti ne mondo e fanno il 4,9% dell'energia primaria. Se volessimo raddoppiare e arrivare al 10%, l'equivalente del contributo delle biomasse/rifiuti, dovremmo immaginare nuovi 400 impianti nucleari! E dove? E chi li accetterebbe? Nel mondo occidentale non si fanno più centrali da 30 anni, se si esclude la Finlandia che ha impiegato oltre 20 anni per una nuova centrale con costi esorbitanti. In Italia neanche a parlarne. Da noi si osteggiano le pale eoliche figurarsi una centrale nucleare. Per cui si deve puntare su ridurre al massimo il carbone (che fa il doppio di CO2 a parità di energia del metano), puntare transitoriamente sul metano anche se costa, ma è il fossile più pulito, magari incrementando la produzione in Italia visto che ne abbiamo in Adriatico ma non diamo più le concessioni. E investire su rinnovabili e fusione magnetica.

ijk ha detto...

..fusione magnetica??