mercoledì 22 marzo 2017

Il rilascio di metano alla base della esplosione e della colonna d’acqua dello scoglio d’Affrica


C’è molto rumore a proposito del fenomeno che è avvenuto nella zona dello “scoglio d’Affrica” o Formica di Montecristo, un piccolo isolotto dell’Arcipelago toscano: dei pescatori hanno sentito una esplosione e visto un getto di acqua a colonna; questo fenomeno è stato associato a una serie di boati che da tempo vengono avvertiti lungo le coste elbane. A leggere la stampa toscana, si tratta di un fenomeno misterioso. Invece c’è una soluzione semplice ed elegante al problema. La cosa divertente è che di questo fenomeno la Scienza se ne era già occupata proprio da quelle parti.

Ovviamente su questa notizia si sono scatenati i siti peggiori, invocando improbabili cataclismi impossibili anche collegandovi in modo pretestuoso l’attività sismica di questi giorni (che, continuo a ripetere, è assolutamente a livelli normali tranne che nel martoriato Appennino Centrale). In rete si leggono cose demenziali tipo che è in arrivo un’eruzione di un nuovo vulcano, per non parlare delle onnipresenti “trivelle”, oppure esercitazioni “segrete” della NATO. Mancano per adesso extraterrestri scie chimiche e HAARP e poi abbiamo tutto il complottismo scatenato sul fatto.  
Sicuramente è qualcosa di insolito (o, quantomeno, di poco osservato); eppure la spiegazione è abbastanza semplice e, sostanzialmente, già abbondantemente conosciuta. 

Ricapitolando, negli ultimi anni all’Elba vengono avvertiti dei boati che provengono dal mare a sud, tra Elba, Montecristo e Giglio. C’è chi dice dal 2013, ma in realtà la cosa è ancora più vecchia. In questi giorni probabilmente siamo arrivati a capo della faccenda, perché dei pescatori di Campo nell’Elba trovandosi a poche decine di metri di distanza dallo “scoglio d’Africa” hanno assistito a qualcosa di strano: riferiscono di “avere sentito una fragorosa esplosione” e di avere visto alzarsi “per alcuni metri un getto d’acqua nera, fango, gas e detriti”.
La Capitaneria di Porto di Portoferraio a questo punto ha emesso, a ragione, un divieto di navigazione nella zona interessata per “attività geologica sottomarina in corso”.

Iniziamo subito a dire che non si può trattare di fenomeni connessi a vulcanismo per una serie di motivi.
Ci sono delle rocce vulcaniche in zona, ma si tratta di graniti formati da magmi che si sono solidificati a qualche km di profondità tra gli 8 e i 4 milioni di anni fa. A Monte Capanne, Giglio e Montecristo l’erosione ha già abbondantemente esumato questi corpi magmatici, mentre a Punta Calamita il corpo si trova poco sotto la superficie.
Questi graniti si sono formati durante la prima fase di messa in posto dei prodotti della Provincia Magmatica Toscana, che in seguito si è trasferita lungo l’attuale costa toscana (San Vincenzo, Campiglia tra gli altri) per poi progredire ulteriormente verso l’interno (ad esempio Larderello, Radicofani e il più recente Amiata, attivo fino a circa 100.000 anni fa).
Quindi è chiaro che non può trattarsi di una riedizione di quella vecchia situazione e, in ogni caso, una eventuale attività vulcanica può essere esclusa a priori per un motivo banalissimo: non ci sono precursori di una eruzione (né della formazione di un nuovo apparato vulcanico) come sismicità, aumento del flusso di calore, attività fumarolica o idrotermale etc etc).
Anche l’ipotesi di un semplice vulcano di fango non pare verosimile, in quanto esplosioni e fiammate suggeriscono una forte reazione esotermica. 
Allora, di cosa si può trattare?

Senza saperne di più, avevo pensato a qualcosa legato alla presenza di sacche di gas intrappolate nei sedimenti. Questo sia per l’esplosone (cosa ci può essere che può esplodere in acqua se non del metano?) e per il colore scuro delle acque, che denota la presenza di materia organica non decomposta, che si accoppia benissimo alla presenza di metano.

FORMAZIONE DEL METANO. Queste sacche si formano nei sedimenti grazie ad una complessa varietà di attività metaboliche, il cui risultato finale è la formazione di metano e biossido di zolfo. Una puntualizzazione necessaria è che tutti questi metabolismi funzionano soltanto in un ambiente particolare e cioè in condizioni anaerobiche e riducenti. I sedimenti di questo tipo sono scuri per la presenza di materia organica che non si può degradare proprio perché la degradazione è un processo di ossidazione aerobico, impossibile in un ambiente riducente e anaerobico. È il modo con cui si formano i depositi di carbone e idrocarburi. 
Per ottenere simile condizioni nei sedimenti occorre che si formino in acque poco ossigenate, dove l’ossigeno non basta per degradare tutta la materia organica che si è accumulata.

RISALITA DI METANO E SO2 ED EFFETTI BIOTICI. Fino a quando l’ambiente resta riducente il gas rimane integro, ma metano e solfuri hanno il vizio di risalire perché sono leggeri. Nelle zone della superficie marina dove si verificano queste risalite si instaurano delle comunità di batteri e archeobatteri i quali a loro volta hanno un metabolismo che assorbe il metano e i solfuri emessi precedentemente dai batteri anaerobici
Queste comunità sono la base di una catena alimentare piuttosto  variegata, che comprende anche piante ed animali evolutisi per vivere in ambienti simili. Si tratta di una emissione di metano non indifferente, della quale le comunità batteriche assorbono fra il 20 e l’80% [1]. Il resto va in atmosfera.

RILASCIO VIOLENTO DI QUESTI GAS. Tali aree di rilascio, conosciute internazionalmente come methane seep, sono state scoperte una trentina di anni fa nella scarpata continentale a largo della Florida. Da quel momento sono state catalogate in una vasta parte dei fondi oceanici e anche in serie sedimentarie che dopo vicissitudini geologiche sfanno parte delle catene montuose.
Il problema è che quando il gas viene rilasciato si trova improvvisamente in contatto con l’ambiente ossidante esterno è costretto ad ossidarsi (e talvolta a deflagrare violentemente). Da qui il brillamento.

BOATI E BRILLAMENTI NEL ARE DELL'ELBA. Il buon Alberto Riva, uno dei più autorevoli esponenti della comunità di geologi.it, ha indicato un link che conferma quanto da me ipotizzato, citando un lavoro molto interessante svolto proprio nel mare toscano e uscito giusto un anno fa [2]. 
Il lavoro non riguarda direttamente le esplosioni, ma si è occupato del biota delle zone di rilascio di metano su fondali poco profondi nel mare compreso fra Elba occidentale (Pomonte), Pianosa e appunto, lo Scoglio D’Africa. Però gli Autori riportano chiaramente che durante le campagne di studio tra il 1995 e il 2005 hanno osservato spesso questi brillamenti (pur senza associarli ai boati, di cui non fanno cenno, e senza occuparsi della loro genesi che con il loro lavoro non c'entra niente).
Queste esplosioni nel mare prospiciente all’Elba avvengono su fondali a bassa profondità e quindi la colonna esplosiva esce fragorosamente in superficie, formando una colonna. La zona dello Scoglio d’Affrica è giusto una di quelle che che sono state prese in esame, appunto per la presenza di rilasci di metano a bassa profondità e delle comunità che vi vivono intorno.

È comunque un fenomeno piuttosto difficile ad osservarsi e per questo poco noto; è chiaro che i boati sono udibili a maggiore distanza rispetto a quella entro la quale possono essere visti i brillamenti (per vedere i quali si deve essere sufficientemente vicini e con gli occhi rivolti più o meno in quella direzione). 
Ma tutto fa supporre che l’esplosione vista dai pescatori l’altro giorno e i boati che ogni tanto vengono percepiti lungo le coste elbane siano dovuti ad emissioni di metano.

POSTILLE FINALI: 
1. di metano ce n'è, ma in quantità nettamente insufficiente per poterlo sfruttare economicamente
2. attenzione, qui si parla di metano inteso come CH4 e non di gas idrati: per quelli l'acqua del Mediterraneo è troppo calda


[1] Boetius, A., and Wenzhöfer, F. (2013). Seafloor oxygen consumption fuelled by methane from cold seeps. Nat. Geosci. 6, 725–734. doi: 10.1038/ngeo1926 
[2] Ruff et al 2016 Methane Seep in Shallow-Water Permeable Sediment Harbors High Diversity of Anaerobic Methanotrophic Communities, Elba, Italy Front. Microbiol. 7:374. doi: 10.3389/fmicb.2016.00374 


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