martedì 17 gennaio 2017

Il problema del Ponte Vespucci a Firenze: prima di intervenire non sarà meglio verificare le condizioni generali dell'Arno?


Ho già parlato di come venivano costruiti i ponti nel passato e di come oggi si sia un po' persa quella maestria. In questo ha anche influito l’evoluzione della tecnica, che ha consentito di costruire ponti a trave di cemento o di ferro al posto dei vecchi ponti ad arco a mattoni. Purtroppo se da un lato il profilo piano dei nuovi ponti li rende molto comodi nell'attraversamento, spesso sono decisamente tragici dal punto di vista idraulico, in quanto la loro sagoma si può frapporre alle piene maggiori se, come spesso succede, gli argini non vengono sopraelevati in loro corrispondenza in modo da farne stare la struttura un pò più in alto. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: ho parlato di due manufatti che negli ultimi anni hanno provocato alluvioni – fotocopia perché dopo aver dimostrato praticamente (e non in teoria!) la loro pericolosità non sono stati abbattuti e ricostruiti in maniera confacente alle esigenze dei corsi d’acqua in piena. Mi riferisco a quello sul Rio Siligheddu a Olbia (eventi del 2013 e 2015) e quello sul Tanaro a Garessio (eventi del 1994 e 2016). Per fortuna le nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (versione 2008 in vigore e 2016 in corso di approvazione) prevedono per i ponti dei criteri di compatibilità idraulica molto più stringenti, in particolare sulla possibilità di inserire pile in alveo e di conseguenza sulle dimensioni delle eventuali arcate che ne derivano. La recente moderata piena dell’Arno, avvenuta in due fasi fra il pomeriggio di domenica 7 novembre e la notte successiva, che per l’Arno a Firenze non dovrebbero essere nulla di che, mi impone delle riflessioni, perché sono emersi alcuni problemi sul ponte Vespucci che a parer mio meritano un approfondimento.

La piena del 7 novembre 2016 invade la spiaggia di San Niccolò e la strada del
cantiere per i lavori del ripristino del Lungarno Torrigiani del 25 maggio 2016
La piena di domenica 7 novembre non è stata certo un evento eccezionale per l’Arno a Firenze: un livello massimo di poco superiore a 4 metri all’idrometro degli Uffizi e una portata di circa 1500 metri cubi/sec non dovrebbero rappresentare un problema per il fiume né nel centro cittadino, né a valle. Tutto il bacino è stato soggetto a precipitazioni ma le piogge particolarmente intense per fortuna hanno riguardato soltanto la sua parte alta (Casentino, Val di Chiana e Val d’Ambra), senza coinvolgere a tali livelli la parte più bassa del Valdarno superiore, né il Mugello e per avere problemi a Firenze deve essere piovuto tanto in tutto il bacino (come nel 1966 e nel 1992). Naturalmente non è casuale che il tutto sia successo ai primi di novembre, i giorni peggiori per le piene dell’Arno, come attesta il fondamentale testo del Morozzi del 1763, Dello stato antico e moderno del fiume Arno e delle cause e de’ rimedi delle sue inondazioni. 
Quando avvenne la frana del lungarno una mia riflessione fu che i lavori avrebbero dovuto concludersi al più presto, segnatamente prima della prima piena autunnalee.
Che avessi ragione lo dimostra questa mia foto presa nel pomeriggio di domenica 7: siamo sul lungarno Serristori, poco a monte del Ponte alle Grazie in riva sinistra del fiume (il tratto interessato dalla frana è stato quello in riva sinistra immediatamente a valle del ponte). 
Qui c’è la famosa “spiaggia di San Niccolò”, un’area golenale allagabile dall’Arno solo in caso di portata superiore al normale (diciamo una volta ogni 2 anni). Ci sono molte polemiche su questa zona, in particolare c’è chi la vorrebbe togliere e restituire portata al fiume, ma l’effetto non sarebbe particolarmente evidente. 
Vediamo in particolare sulla sinistra i resti allagati dell’area di cantiere, e precisamente della strada di servizio allestita sul greto in riva sinistra per arrivare con i mezzi pesanti subito sotto la parte dell’argine interessata all’evento. Il risultato è stato che i Vigili del Fuoco sono dovuti intervenire con le autogrù per tirare su alcuni mezzi e containers e un’autovettura di uno improvvido cittadino. Quando ho scattato la foto si notano ancora delle escavatrici in mezzo all’acqua. 
Non oso pensare cosa sarebbe successo a lavori ancora in corso... 
    
IL PONTE ALLE GRAZIE. La foto evidenzia, anche se non benissimo, un problema alla corrente provocato dal Ponte alle Grazie e cioè il risalto idraulico. Si tratta di un fenomeno normale per un fluido quando un ostacolo si frappone alla corrente: le pile del ponte restringono la sezione e si configurano come un ostacolo e quindi la corrente, nel momento che gli passa sotto, deve andare molto più veloce che in assenza dell'ostacolo; ma dove questo ostacolo finisce rallenta bruscamente. Per cui il livello si alza prima e si abbassa dopo. La famosa foto del Ponte a Santa Trìnita (con l’accento sulla prima “i”, ricordo) durante l’alluvione del ‘66 è un classico del genere. 
Il risalto l’ho osservato di nuovo qualche ora dopo ripassando sul ponte.
Qual’è il problema? Che immediatamente prima del ponte alle Grazie, in riva destra, si colloca il primo punto di esondazione in centro, previsto con una portata di 3.200 mc / secondo.
Ovviamente la modellistica attuale, sulla quale è stata fatta questa previsione, tiene conto del risalto idraulico, per il Ponte alle Grazie come per i ponti più a valle. Le strutture a monte (San Niccolò - l'ultimo ponte ad arco costruito a Firenze -  Verrazzano e Varlungo, questi ultimi tipici moderni ponti a trave) hanno tenuto conto dell’idraulica al punto tale di essere stati realizzati senza pile in mezzo al fiume, come le ultime realizzazioni in materia che hanno dovuto tenere conto delle nuove Norme Tecniche per le Costruzioni: mi riferisco alla ricostruzione delle passerella pedonale delle Cascine e al ponte della tranvia. 

I PONTI CENTRALI ANTICHI DI FIRENZE. Ricordo a beneficio dei non fiorentini che nel 1944 l’esercito tedesco in ritirata aveva fatto saltare tutti i ponti della città a parte il Ponte Vecchio (distruggendo comunque tutti gli edifici ai suoi lati). Quelli centrali (Santa Trìnita e Carraia) sono stati ricostruiti seguendo i progetti originali della seconda metà del XVI secolo e quindi posso considerarli come i “ponti antichi”. I critici della storia dell’arte e dell’architettura ci dicono che si tratta di alcuni dei ponti più belli del mondo (d’altro canto si parla di costruzioni importanti della Firenze del Rinascimento... ). 
Una cosa che si nota immediatamente è che alla loro altezza il profilo altimetrico del lungarno descrive una gobba molto pronunciata. In buona sostanza questi due ponti vanno molto in alto. Perché? Semplice, perché Michelangelo, Ammannati e soci hanno dovuto ricostruirli dopo che erano stati distrutti da una delle peggiori piene dell’Arno, quella del 1557. Cosimo I e gli architetti, oltre all’estetica e alle limitazioni tecniche, avevano ben presente cosa era successo e di conseguenza il progetto ha tenuto conto del livello raggiunto dalle acque della piena e, siccome nei ponti ad arco altezza e lunghezza della campata sono vincolati fra loro, le strutture dovevano per forza ancorarsi ad una quota più alta rispetto a quella dei lungarni. 
Nel 1966 un ponte ad arco più basso o un ponte moderno a trave costruito all’altezza normale dei lungarni sarebbe stato completamente coperto dalle acque, come è successo per il Ponte Vecchio, la cui struttura ha, comunque, resistito egregiamente all’evento del 1557 e del 1966. 
Di fatto il Ponte Vecchio (e la strettoia che inzia poco più a monte) fanno da ostacolo alla corrente ed è questo il motivo per cui tutte le alluvioni di Firenze sono iniziate immediatamente a monte di esso, con l'acqua che da piazza dei Giudici si riversava in via de' Castellani verso Piazza San Firenze.

L’unico difetto delle strutture del XVI secolo è che sono state costruite sì tenendo conto del livello raggiunto dalla piena del 1557, ma senza analizzare il comportamento della corrente al passaggio sotto di essi. Era chiaramente un dettaglio improponibile per quei tempi, evidenziato solo dagli studi effettuati dopo il 1966, quando fu dimostrato che i principali ostacoli alla corrente nel tratto fiorentino erano le platee di fondazione dei ponti antichi. Non a caso, l'unico intervento degno di nota realizzato dopo l’alluvione del '66 per la mitigazione del rischio alluvione per Firenze è stato il ribassamento delle basi del Ponte Vecchio e di quello a S. Trìnita in modo da aumentare significativamente la portata del fiume sotto di loro. E grazie a questi lavori il punto di prima esondazione è stato spostato a monte del Ponte alle Grazie.

IL PONTE VESPUCCI. Prima della II guerra mondiale in quel punto un ponte non esisteva ancora, anche se la sua costruzione era in programma. Il progetto risale agli anni ‘50, come evidenzia il suo stile, tipico delle costruzioni dell’epoca: parte basale in pietre locali rettangolari a vista, parte più in alto tinteggiata in un tono di giallo. Su Wikipedia (alle volte è utile citarla...) si legge che il nuovo ponte aveva infatti come obiettivo quello di una convivenza tacita tra vecchio e nuovo, senza cioè turbare l'equilibrio visivo in riferimento alle strutture storiche attigue, pur senza rinunciare a un'opera moderna, figlia dei tempi nella quale fu edificata. Il riuscito inserimento resta da allora un esempio su come procedere per l'inserimento di un'architettura moderna nel tessuto storico antico.

La differenza nei profili
del Ponte alla Carraia e del Ponte Vespucci
CONFRONTO FRA IL PROFILO DEL VESPUCCI E QUELLI DEI PONTI PIÙ ANTICHI. Dire se il Vespucci sia riuscito sul punto di vista estetico esula dalle mie capacità e dagli scopi di Scienzeedintorni e quindi non è materia del post. Annoto per dovere di cronaca che amici architetti e/o storici dell’architettura me ne hanno sempre parlato molto bene. 
Posso soltanto dire che è stato costruito semplicemente collegando fra loro i lungarni, rialzati pochissimo in sua corrispondenza e senza considerare l’idraulica fluviale. Facciamo un confronto con i ponti antichi: se si guarda dall’incrocio con il lungarno un autobus che percorre il ponte alla Carraia, lo vediamo letteralmente scomparire dalla vista quando arriva sull’altra sponda; il profilo del Ponte Vespucci invece è molto, ma molto, meno arcuato
È sicuramente più comodo per chi va in bicicletta (pedalate sul Santa Trìnita e sul Vespucci per verificare la differenza...), ma dal punto di vista idraulico è davvero tragico: nonostante sia costruito a valle della Pescaia di Santa Rosa (una briglia che rialza a monte l’alveo dell’Arno di circa 2 metri rispetto al livello a valle ) il ponte moderno è molto più basso al confronto dei suoi simili. 
Queste caratteristiche diverse risalgono anche alla diversa tecnica costruttiva: prima dell'avvento delle moderne costruzioni in cemento armato, era assolutamente necessario l'utilizzo dell'arco per fare star su l'impalcato del ponte. Il ponte Vespucci è di fatto, invece, equivalente ad una lunga trave appoggiata su colonne. E quando è stato costruito nessuno pensava al rischio alluvione, dopo oltre un secolo dall’ultimo evento del genere 

Quale ponte fiorentino sia il primo ad andare in pressione durante una piena è ancora oggetto di valutazione e quindi il condizionale è d’obbligo, almeno fino a quando non saranno disponibili i risultati dei modelli e degli studi in corso, grazie all’eccellente lavoro del gruppo del dipartimento di ingegneria civile ed ambientale del prof. Enio Paris, che ha realizzato con nuove tecnologie il rilievo d'alveo, insieme a misura di portata del fiume e al campionamento del materiale del fondo. 
Il profilo arcuato del Ponte alla Carraia
In questo momento sembrerebbe che con una portata di 3.000 mc/sec il Ponte Vespucci venga raggiunto dal pelo dell’acqua andando, come si dice tecnicamente, in pressione (cioè con questa portata l’acqua eserciterebbe una forza sul ponte), per cui oltre al risalto idraulico ancora più netto rispetto a quando il pelo dell’acqua è più in basso, e ai rischi di tracimazione si potrebbero verificare conseguenze sulla sua struttura. Soprattutto questo dovrebbe avvenire con valori di portata inferiori a quelli degli altri ponti: grazie all’attenta progettazione del XVI secolo e ai lavori degli anni ‘70, con la stessa portata di 3.000 mc/sec il livello sotto i ponti a Santa Trìnita e alla Carraia sarebbe ancora quasi un metro sotto alla muratura (lo so, un ingegnere come il buon professor Castelli rabbrividirà a leggere questo, dato che confronto un ponte “a trave” con dei ponti “ad arco”, ma da un punto di vista spannometrico il discorso in qualche modo regge). 

IL PROBLEMA DELLA PILA SINISTRA DEL PONTE VESPUCCI. Durante e dopo questa piena (se proprio dobbiamo definirla così...) il Ponte Vespucci è stato chiuso per accertamenti: la sua pila sinistra è in difficoltà in quanto in sua corrispondenza l’alveo dell’Arno si è abbassato di un paio di metri negli ultimi anni e ci sono dei fondati timori per la stabilità della struttura
Fotografie degli anni ‘60 dimostrano invece che all’epoca questo pilone era nel greto, almeno durante le magre. 

ALLORA: COSA FARE CON IL PONTE VESPUCCI? Dopo il 1966 i problemi sono aumentati, perché in attesa della conclusione dei lavori per le casse di espansione in Valdarno superiore e Val di Sieve (previsti per il 2022), che diminuiranno fortemente il rischio, l’unica opera intelligente fino ad oggi conclusa per la prevenzione del rischio idraulico su Firenze – il già ricordato aumento della portata tra Ponte Vecchio e Ponte Santa Trìnita mediante ribassamento delle loro basi – rischia di peggiorare ulteriormente la situazione del Vespucci. 
Nè si deve dimenticare che l’Arno a valle di Firenze diminuisce nettamente la sua portata dai 3200 mc/sec a soli 2800

In questi giorni sono stati programmati dei lavori piuttosto costosi da parte del Comune di Firenze per la messa in sicurezza della pila sinistra
Però, a questo punto ritengo doverose alcune considerazioni: 
  • l'esperienza, antica e recente, insegna che anche quando i problemi si manifestano 'localmente' (nel caso l’erosione del fondo dell’Arno intorno alla pila sinistra del Ponte Vespucci), questi sono conseguenze di una dinamica ben più ampia che andrebbe considerata 
  • le dinamiche di un fiume sono comunque complessive, e rese complicate dalla dinamica dei sedimenti 
  • quando si è intervenuti solo dove il problema si manifestava, il risultato è stato di solito scarso o addirittura disastroso, provocando problemi peggiori ed inaspettati altrove 
  • c’è poi da capire se davvero questo ponte sia una mina vagante per i motivi esposti sopra 

Insomma, siccome NON si sa il motivo per cui il fondo del fiume in corrispondenza della pila sinistra si stia erodendo, c’è quindi il rischio che un intervento del genere possa quindi rappresentare solo un palliativo (l’erosione potrebbe continuare lì o spostarsi sulla pila di destra, ad esempio), con la necessità di un ulteriore intervento in tempi successivi.

IN CONCLUSIONE. Che sia necessario intervenire è evidente, ma molto c'è ancora da capire sul comportamento complessivo dell'Arno a Firenze prima di indicare come intervenire... In medicina si direbbe ... 'prima di tutto stabilizzo, poi analizzo approfonditamente e propongo la cura'.
Sempre parlando di medicina, è come se si volessero curare esteticamente gli sfoghi sulla pelle dati da una malattia senz aperò curare la malattia medesima...
Pertanto prima di stanziare fondi per un intervento spot slegato dalla dinamica generale del fiume aspetterei di vedere i risultati del lavoro dell’equipe del professor Paris: una città che ha a disposizione delle risorse tecniche così importanti non può fare le cose senza tenerne conto.. 

Dunque, personalmente, se io fossi un amministratore del Comune di Firenze, metterei provvisoriamente in stand-by il progetto dei lavori alla pila sinistra del Vespucci in attesa delle conclusioni del lavoro degli ingegneri universitari, dopo il quale sarà più chiaro cosa fare. 
E fra i possibili interventi penso pure che si debba ipotizzarne uno piuttosto drastico e cioè la sostituzione di questo ponte con un manufatto più rispettoso della dinamica fluviale (Sovrintendenza alle Belle Arti permettendo!). Magari grazie ai fondi sul dissesto idrogeologico di Italia Sicura, magari nel quadro di un “piano alluvioni” che mi risulta essere in arrivo (cambio di governo permettendo), come è già successo altrove negli ultimi decenni, in cui numerosi ponti sono stati sostituiti con opere nuove in quanto le vecchie strutture sono state considerate pericolose durante una piena.

RINGRAZIAMENTI: ringrazio sentitamente il professor Fabio Castelli, docente di idrologia dell'Università di Firenze, per gli utili consigli che mi ha dato in questa occasione


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