sabato 5 aprile 2014

il rapporto dell'ISPRA sul consumo del suolo nel 2014 ed alcune riflessioni


Il territorio e il paesaggio vengono quotidianamente invasi da nuovi quartieri, ville, seconde case, alberghi, capannoni industriali, magazzini, centri direzionali e commerciali, strade, autostrade, parcheggi, serre, cave e discariche, comportando la perdita di aree agricole e naturali ad alto valore ambientale. Le attività di ISPRA e del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente sono oggi in grado di attuare un monitoraggio continuo del consumo e dell’impermeabilizzazione del suolo nel nostro Paese ed infatti è uscito il rapporto 2014 dell'ISPRA sull'uso del suolo in Italia. Questa pubblicazione suscita un po' di preoccupazione e fa il punto su come viene usato il suolo nel nostro Paese. I dati sono ricavati della rete di monitoraggio del consumo di suolo, realizzata da ISPRA con la collaborazione delle Agenzie per la Protezione dell’Ambiente delle Regioni e delle Province autonome. Il sistema permette, attualmente, di ricostruire l’andamento del consumo di suolo in Italia dal secondo dopoguerra ad oggi.

Iniziamo definendo il consumo di suolo: è una variazione da una copertura non artificiale (che rappresenta suolo non consumato) a una copertura artificiale del suolo (cioè suolo consumato).
Il suolo consumato è quindi quella parte della superficie terrestre coperta dalle più varie strutture, per esempio edifici, capannoni, strade asfaltate o sterrate, aree estrattive, discariche, cantieri, cortili, piazzali e altre aree pavimentate o in terra battuta, serre e altre coperture permanenti, aeroporti e porti, aree e campi sportivi impermeabili, ferrovie ed altre infrastrutture, pannelli fotovoltaici e tutte le altre aree impermeabilizzate nelle città e nelle campagne. 

Questa definizione esclude, ovviamente, le aree aperte naturali e seminaturali in ambito urbano. 
Ed è altrettanto ovvio che un suolo coperto perde qualsiasi funzione produttiva naturale, per esempio la capacità di assorbire le acque piovane e CO2, la possibilità di essere utilizzato da flora e fauna ed anche la fruizione sociale. 
Altro problema è la frammentazione degli habitat, con la possibile interruzione dei corridoi migratori per le specie selvatiche.
Una questione importante è che anche togliendo la copertura, far ritornare il suolo produttivo non è semplice, e soprattutto è, in genere, un processo molto lento.
I risultati indicano, inoltre, la presenza di una porzione non indifferente di suolo consumato nelle aree rurali e naturali.

Come si vede dalla tabella 3.6 del rapporto, c'è subito una sorpresa: verrebbe da pensare che la copertura del suolo sia un fattore soprattutto edilizio. Invece dai dati emerge che questo uso non è così preminente. È sì al primo posto, ma solo con il 30%, che aumenta se vi aggiungiamo la parte occupata da piazzali e parcheggi (purtroppo non fornita singolarmente ma computata insieme a cantieri e discariche); succede che una parte importante del suolo è occupata dalle “vie di comunicazione”: a questa categoria appartengono strade asfaltate e ferrovie (queste ultime con una percentuale molto bassa). È da notare un 19% del suolo consumato da “altre strade”, principalmente costituito dalle strade di campagna non asfaltate. È facile capire il perchè: le strade sono particolarmente lunghe rispetto agli edifici.

Nella carta seguente, sempre tratta dal rapporto, si nota come da un consumo medio di suolo del 2,9% caratteristico degli anni ’50 siamo passati al 7,3% del 2012, con un incremento di più di 4 punti percentuali e ben più di un raddoppio in termini assoluti. In termini assoluti: si stima che il consumo di suolo abbia intaccato ormai quasi 22.000 chilometri quadrati del nostro territorio.


Un secondo aspetto è la velocità dell'occupazione del suolo in Italia nel corso degli ultimi venti anni: siamo intorno ai 70 ettari al giorno, 700.000 metri quadri il che significa che mediamente ogni giorno in Italia viene sigillata una superficie pari ad un centinaio di campi di calcio come il Meazza o il Franchi tutti i giorni (attenzione: mi riferisco solo al rettangolo di gioco, non agli stadi nella loro interezza!). Questa velocità è più o meno costante, non appare influenzata dalla congiuntura economica e non ha a suo favore una giustificazione da aumenti di popolazione e di attività economiche, che non sono avvenuti.

La tendenza al consumo di suolo è maggiore intorno ai centri urbani principali (e questa non è certo una sorpresa), e questo è avvenuto e avviene soprattutto a spese di aree precedentemente adibite a uso agricolo. In questa situazione molto ha giocato e gioca in parecchie aree un livello di programmazione mediocre, dove sono assenti o deboli gli strumenti di pianificazione del territorio, di programmazione delle attività economico-produttive e delle politiche efficaci di gestione del patrimonio naturale e culturale tipico.

Vediamo in questa figura l'incremento nell'occupazione del suolo regione per regione dagli anni '50.


Inoltre negli ultimi anni si è notata una progressiva trasformazione di città compatte in insediamenti diffusi caratterizzati da bassa densità abitativa. Questo comporta un forte incremento delle superfici artificiali e del coefficiente di impermeabilizzazione del suolo per abitante, con pesanti ripercussioni sul paesaggio e sull’ambiente. Nel conteggio di queste impermeabilizzazioni non viene computato un altro problema: la diffusione urbana a bassa densità lascia aree non coperte ma isolate dal resto del suolo libero, che quindi frammentano ancora di più gli habitat delle specie selvatiche.

Annoto, cosa non evidenziata nel rapporto che è a livello “medio” regionale, che nelle valli intermontane particolarmente abitate o sedi di attività industriali il suolo coperto raggiunge nel fondovalle livelli di quasi saturazione mentre nelle montagne intorno ci sono valori estremamente bassi.

Un altro aspetto da notare è il consumo di suolo in rapporto alla distanza dalla costa, come si vede dalla figura seguente: i valori di crescita nella fascia compresa entro i 10 km dal litorale sono nettamente superiori rispetto al resto del territorio nazionale: dal 4% degli  anni ‘50 siamo al 10,5% nel 2012. I valori  più elevati si registrano in alcuni tratti della Liguria, nella Toscana settentrionale, nelle province di Roma e Latina, in buona parte della Campania e della Sicilia, a Bari e a Taranto, e lungo la costa adriatica da Ravenna a Pescara. Banalmente, nelle aree più turisticamente sviluppate. Lo si vede da questo grafico:


Quali sono le prospettive e le indicazioni per il futuro? 
Le prospettive se continuiamo così sono imbarazzanti, sia per l'ambiente ma anche per la sicurezza di beni e persone.

La diffusione dei modelli a bassa densità abitativa con la “fuga dalla città” (che poi porta anche ad un aumento delle emissioni nocive da traffico) richiede un valore maggiore di suolo per ogni abitante.

L’abbandono delle terre, soprattutto in aree marginali, toglie la manutenzione soprattutto in suoli con marcata tendenza all'erosione. 
Con un incremento dell'agricoltura intensiva, il clima che cambia, lo sfruttamento non sostenibile delle risorse idriche e il rischio di salinizzazione delle stesse nelle aree costiere, l’impatto di questi processi sulla qualità del suolo è preoccupante e incide negativamente sulla condizione delle nostre terre, soprattutto nelle aree meno resilienti, in cui i legami tra biodiversità, paesaggio, fattori sociali e attività economiche sono più forti. Per non parlare dell'aumento del rischio idrogeologico.

È quindi necessario un intervento legislativo volto a una rapida approvazione di alcuni interventi e proposte legislativi, finalizzati alla limitazione del consumo di suolo per un contenimento dei tassi di crescita, soprattutto nelle aree peri-urbane e pianeggianti a elevata vocazione agricola. 
Per esempio comuni come Firenze hanno approvato piani strutturali in cui sono espressamente vietati ulteriori incrementi della superficie coperta.

Naturalmente una prima serie di iniziative sarebbe quella di investire sul patrimonio edilizio esistente, incentivando il riuso dei suoli già compromessi e la rigenerazione urbana. È evidente che, quindi, occorra tornare ad un livello di forme urbane più compatte e semi-dense tramite un recupero dei centri storici attraverso interventi di rigenerazione e riqualificazione. 

È peraltro importante il recupero di aree dismesse compresi ex siti industriali, innanzitutto perchè non ha senso coprire ex-novo quando ci sono aree già occupate a disposizione e poi perchè come ho detto è lento e laborioso. C'è poi un aspetto che esce dalla statistica: queste aree spesso potrebbero essere solo degli spazi isolati in mezzo all'urbanizzato: senza appositi corridoi non possono essere a disposizione di fauna e flora selvatica. Sarebbero quindi territori conteggiabili come “liberi” ma senza o con pochi vantaggi per l'ambiente.   

Insomma, senza una risposta forte della classe politica attraverso idonee leggi, sarà molto difficile una inversione di tendenza, con rischi ancora da capire e condizioni ambientali sempre più difficili

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