Nei secoli futuri, il periodo successivo alla "rivoluzione industriale" passerà sicuramente alla storia come quello in cui grazie al petrolio l'umanità ha fatto un bel passo avanti (non dappertutto, però...) e quello in cui abbiamo appestato il pianeta producendo corrente elettrica, spostandoci e riscaldandoci.
Nonostante le più pessimistiche previsioni che davano per la metà degli anni 10 di questo secolo il picco della produzione petrolifera, sempre nuovi giacimenti di petrolio e/o gas naturale vengono scoperti, in particolare nelle piattaforme continentali oceaniche.
Ci sono grandi manovre politiche per accaparrarsi i diritti di sfruttamento delle piattaforme continentali lungo il mare polare artico: Russia, USA, Canada, Danimarca (Groenlandia) e Norvegia, i Paesi rivieraschi, stanno esplorando a fondo quest'area e non mancano le “divergenze di opinione” sui confini sottomarini.
E' ormai acclarato, per esempio, che ci sia petrolio lungo tutte le coste dell'Atlantico meridionale, africane e sudamericane e dell''Australia. La guerra diplomatica intorno allo sfruttamento dei giacimenti attorno alle isole Falklands fra Regno Unito e Argentina si inquadra anch'essa nello stesso filone.
E' possibile a questo punto che ospitare riserve petrolifere sia una caratteristica "normale" delle piattaforme dei margini continentali “passivi". Ci sono due tipi di margine continentale: in quelli “attivi”, come tutti o quasi i contorni dell'Oceano Pacifico, si assiste allo scontro fra una zolla continentale e una oceanica che vi scorre sotto. In questo ambiente tettonico le rocce sono sottoposte a intensi sforzi che le deformano e/o ne cambiano le caratteristiche mineralogiche. Sono le fasce più sismiche e vulcaniche che esistono.
I margini passivi invece sono il risultato della rottura di un continente in 2 parti, in mezzo alle quali si è aperto un oceano (il caso “classico” è quello dei margini atlantici, con l'eccezione della zona caraibica).
A parte qualche problema di assestamento, i sedimenti che vi si sono depositati dall'inizio della formazione del bacino restano grossolanamente indisturbati. Una caratteristica frequente di questi margini è la presenza di grossi spessori di evaporiti, rocce formate da sali formatesi nelle fasi precoci di apertura del bacino oceanico: livello del mare ancora molto basso e circolazione delle acque ancora allo stato embrionale consentivano una forte evaporazione e quindi la deposizione dei sali (occorre ricordare come in assenza di calotte glaciali il clima più caldo permetteva questi fenomeni anche a latitudini molto superiori a quelle attuali). I sali sono fondamentali perchè spesso a causa della loro leggerezza tendono a muoversi verso l'alto, causando la formazione di pieghe negli strati sovrastanti, e quindi tendono a formare delle “trappole” per il petrolio e il gas naturale contenuto nelle porosità di questi ultimi.
Anche le piattaforme di mari interni (dai noti Caspio e Mare del Nord al mar Cinese meridionale) sono molto promettenti. Pertanto nuovi Paesi si affacciano alla ribalta fra i produttori di petrolio, per esempio Brasile, Australia, Cuba, Cambogia e varie nazioni dell'Africa atlantica. Persino Cina e Giappone potrebbero in breve diventarlo.
È possibile che grazie a questa nuova serie di giacimenti verranno posticipati di parecchio rispetto alle previsioni sia il picco della produzione che la fine delle risorse di petrolio e gas naturale. Parrebbe una buona notizia ma c'è un rovescio della medaglia non da poco: lo sfruttamento di queste risorse comporterà nuovi rischi e gravi conseguenze.
1. In primo luogo si allenterà la tensione sul problema energetico e, quindi, questo ritarderà in qualche modo l'urgenza da parte di governi meno attenti ai problemi ambientali (come quello italiano) di disporre prima possibile di fonti alternative meno o per niente inquinanti e che siano economicamente vantaggiose (principalmente quelle rinnovabili), nonché ostacolerà gli studi sulle possibilità di risparmio energetico (a meno di una impennata dei prezzi). Pertanto continueranno a ritmo probabilmente insostenibile per il Pianeta le emissioni di gas-serra.
2. Sempre in tema ambientale non cesseranno i rischi connessi al trasporto del greggio su petroliere e oleodotti (questi ultimi visti anche come ottimi bersagli per attentati terroristici, soprattutto in zone caratterizzate da cronica instabilità politica).
Ma c'è di più: tutte le nuove risorse sono contenute nei fondi marini dove la profondità delle acque è piuttosto elevata e quindi le operazioni si svolgono in situazioni al limite delle possibilità tecnologiche attuali. In caso di incidenti può essere veramente difficile trovare il modo di rimediare. Lo abbiamo appena visto: fra i tanti disastri che lo hanno contraddistinto, il 2010 passerà alla storia anche per il caso della Deepwater Horizon, la piattaforma di estrazione petrolifera del golfo del Messico interessata da una esplosione avvenuta ad aprile che ha provocato una dispersione in mare di petrolio fino a quando, ai primi di agosto, è stato finalmente possibile bloccarla.
Facciamo attenzione ad un aspetto molto interessante: il tutto è accaduto in una zona sotto il controllo di una nazione dotata di un governo forte (anche se in un passato recente molto prono alle richieste dell'industria petrolifera) e di una Pubblica Opinione piuttosto attenta. Quali saranno le capacità di governi deboli come quelli africani di imporre misure di sicurezza adeguate? La situazione ambientale ed economica della popolazione locale nel delta del Niger (perdite diffuse di greggio e la miseria di gente che vive in un eldorado con meno di un dollaro al giorno) non costituisce certo un precedente tranquillizzante al proposito.
Sull'onda emotiva dell'incidente della Deepwater Horizon, il presidente Obama ha vietato nuovi pozzi ad alta profondità ma difficilmente questo divieto, ampiamente contestato persino negli stati interessati alla tragedia, resterà a lungo.
3. C'è anche un problema economico: il costo di estrazione del petrolio nelle perforazioni offshore a grande profondità è molto più elevato di quelle tradizionali, per cui – in ogni caso – dobbiamo tenere presente che l'era del petrolio a basso prezzo non tornerà più e che – anzi – la fame di energia di paesi emergenti e abitati da centinaia di milioni di persone come Cina e India ne aumenterà la richiesta con inevitabili conseguenze sia nei prezzi, sia sulla possibilità di sviluppo di Paesi più poveri, in evidente difficoltà ad acquistare energia a costi così elevati.
Chiaramente questo succede perchè il costo dell'energia ottenuta da fonti rinnovabili non è ancora concorrenziale con quello di quella ricavata dai combustibili fossili.
E fino a quando continuerà la disponibilità di petrolio il gap non si ridurrà di molto, a meno che il suo prezzo lieviti a tal punto da rendere meno antieconomiche le fonti alternative (uno scenario terrificante per gli economisti...)
Per tutti questi motivi, quindi, occore avere il coraggio di continuare sulla strada intrapresa con fatica affinchè le energie rinnovabili, in particolare il sole ed il vento, ma anche le correnti marine, possano fornire in futuro una buona parte del fabbisogno e ridurre i problemi per i paesi più poveri, che quindi potranno produrre energia anche loro autonomamente.
Quanto al nucleare, la mia opinione l'ho già espressa: sarà un ottimo sistema solo quando si risolverà il problema delle scorie.
Lo scoglio più grave è quello, specialmente per il solare, della bassa continuità produttiva, molto limitata da notti e giornate poco luminose. Ma anche l'eolico è un po' sottomesso ai capricci del tempo. D'altro canto stoccare l'energia elettrica non è cosa semplice. Qui entra in campo l'idrogeno, che come purtroppo è poco noto non è una forma di energia, ma un sistema per stoccarla. Purtroppo questa ulteriore procedura aumenta ulteriormente i problemi (e soprattutto i costi!). Quindi sarebbe auspicabile da parte dei governi una maggiore disponibilità ad investimenti nel settore, anche perchè l'idrogeno oltre ad essere un eccellente propellente per le celle a combustibile ha delle ottime prospettive come combustibile per l'autotrazione e quindi per tutto il settore dei trasporti. Può quindi agilmente servire i 3 principali settori di sfruttamento dell'energia: elettricità, riscaldamento e traspori.
1 commento:
Ho parecchi commenti da fare. Partendo dalla fine, dall'idrogeno.
Esistono buone prospettive (ma ancora lontane, purtroppo) riguardo le celle a combustibile a carbonati, che funzionano bene a temperature molto elevate (centinaia di gradi). Per ovvi motivi, sono adatte a impianti di grosse dimensioni, montare un affare del genere in un'auto non è banale.
Le celle a combustibile sono poco adatte alle auto: costose, delicate (devono funzionare a regime costante)..
Anche lo stoccaggio dell'idrogeno non è un problema risolto, e l'autonomia delle auto ad idrogeno non è delle più entusiasmanti. L'idrogeno "perde" su tutta la linea rispetto alle batterie moderne, che pure hanno ancora i problemi che sappiamo.
Quindi ho speranze che SE SI FA RICERCA l'idrogeno potrebbe aiutare nel problema dello stoccaggio dell'energia, ma le auto ad idrogeno non credo proprio esisteranno mai. Quelle elettriche, con prestazioni ridotte (soprattutto autonomia, circa 200 km) e costi relativamente alti (20 K€ per un'utilitaria) sono possibili.
Sui "nuovo giacimenti" è istruttivo confrontare le loro dimensioni con il consumo mondiale odierno. Se va bene, il megagiacimento che finisce sui giornali una volta all'anno, quello per cui si stappano casse di champagne, copre un mese di consumi. Il tasso di nuove scoperte attuale è dell'ordine di un 10-20% dei consumi. La capacità produttiva odierna (liquids excluding biofuels, dati IEA) è intorno agli 84-85 MB/d, e ha piccato ad 86 MB/d nel 2008. Non ci sono segni di ripresa, nonostante i prezzi siano risaliti e i consumi siano lì.
Concludendo: sicuramente si cercherà petrolio anche nel parco di Berlusconi, e questo farà sì che la curva di discesa della produzione non sarà verticale. Ma questo fa parte del modello del "picco", e non lo nega.
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