venerdì 17 gennaio 2025

la storia geologia della Groenlandia e la sua importanza economica e strategica


Penso che poche volte in tutto il mondo la Groenlandia sia stata popolare nei media come negli ultimi giorni, a causa delle uscite del Presidente Trump sull'argomento. In realtà l'attenzione del mondo geopolitico ed economico verso l'isola a sovranità danese è stata sempre molto alta, in quanto la sua posizione e le sue risorse minerarie sono note, almeno agli specialisti, da parecchi decenni. Vorrei quindi in questo post parlare della storia geologica di quest'isola e del perché è considerata oggi così importante.

A causa della spessa calotta glaciale che ne ricopre la maggior parte, la geologia della Groenlandia è facilmente rilevabile solo lungo le coste. Comunque, anche solo grazie a quanto si vede lungo le coste, sono state accertate a grandi linee vari episodi di una storia di oltre 3 miliardi di anni: l’isola è costituita da un nucleo cratonico archeano, un orogene paleozoico lungo la costa orientale, mentre un rift la separa a ovest che dalla parte principale della Laurentia in Canada. Il nucleo archeano è stato ampiamente rielaborato durante il Paleoproterozoico.

a sinistra i rift terziari che hanno staccato la Groenlandia da Eurasia e America Settentrionale
a destra da Martos et al (2018) la traccia del passaggio sotto l'isola del plume mantellicoche ha provocato
nel Mesozoico la formazione dei magmi della HALIP e nel Terziario la provincia magmatica dell'Atlantico Settentrionale
LA GROENLANDIA: UN PEZZO DEL BASAMENTO PRECAMBRIANO CANADESE. Grazie ai dati geologici e geofisici si può dire che la grande isola artica sia una continuazione dell’Artico canadese: stratigrafia, spessore della crosta e il basso flusso di calore dall’interno della Terra forniscono uno schema coerente con quanto le sta ad ovest: la Groenlandia è dunque un cratone e quindi, un continente stabile senza grandi perturbazioni tettoniche da quando alcuni blocchi crustali si amalgamarono fra loro, nel lontano Proterozoico inferiore (diciamo prima di un miliardo e mezzo di anni fa). A questi eventi sono seguiti nel Fanerozoico l'orogenesi caledoniana e una serie di eventi di tettonica distensiva, grazie ai quali la Groenlandia si è poi separata da Nordamerica ed Eurasia (per un pò di tempo tra Eocene e Oligocene potrebbe addirittura essersi comportata come una placca indipendente). Ho deciso di parlare prima della parte "recente" perché mi sembrava di rendere più chiara la narrazione degli eventi.

EVENTI FRA PALEOZOICO, MESOZOICO E TERZIARIO. Dopo la amalgamazione dei vari cratoni, conclusa quasi 2 miliardi di anni fa, l’isola è stata interessata negli ultimi 500 milioni di anni da alcuni eventi importanti:
  • nel Paleozoico inferiore la costa orientale è stata deformata dall’orogenesi caledoniana quando il Nordamerica si sé scontrato con l’Europa settentrionale tra Ordoviciano e inizio Devoniano (490 – 390 milioni di anni fa), in quanto costituiva la parte orientale della Laurentia (lo è ancora adesso, dopo che nel Terziario Laurentia ed Europa si sono nuovamente seprate)
  • dal Paleozoico superiore e nel Mesozoico c’è stata a più riprese una tettonica distensiva che ha formato all'interno alcuni bacini
  • nel Terziario inferiore, quando tra Paleocene e Oligocene prima si è separata dal Labrador e parzialmente dall’artico Canadese, e poi dall’Europa
Rispetto alla situazione generale, i dati geofisici hanno evidenziato una fascia di flusso di calore elevato (Martos et al 2018) che attraversa la Groenlandia in direzione NW-SE dove anche la crosta è molto più sottile, circa 25 km conto il normale valore di 40 (Kumar et al 2007). Questa fascia probabilmente testimonia il passaggio sotto la Groenlandia del plume del mantello ora sotto l’Islanda e che aveva formato nel Cretaceo i magmi della HALIP, la grande provincia magmatica dell’Alto Artico (o il passaggio della Groenlandia sopra di esso), una delle maggiori Large Igneous Provinces della storia. I magmi della HALIP si trovano tra Artico canadese, Groenlandia settentrionale, Svalbard e sulla parte occidentale della piattaforma continentale artica dell’Eurasia.

i blocchi archeani della Groenlandia e i rapporti con l'Artico canadese
UNA TERRA ANTICA: LO SCUDO GROENLANDESE. Se qualcuno, come me, è appassionato di “roba vecchia” dal punto di vista geologico la Groenlandia è decisamente casa sua: tolta la costa orientale dove troviamo le rocce dell’orogenesi caledoniana del Paleozoico inferiore e i basalti del Terziario inferiore difficile trovare, almeno sulle coste, cose così “giovani” (dovrebbero esserci sedimenti più recenti all’interno ma è ancora tutto da scoprire). Un rapido excursus si rende quindi necessario. Innanzitutto il precambriano groenlandese sarebbe in continuità con quello dell’America settentrionale se non fosse per il rift che l’ha allontanata nel Terziario inferiore dall’Artico canadese e dal Labrador, formando la Baia di Baffin e il mare del Labrador, come si vede da questa carta presa e leggermente modificata da St-Onge et al, 2006).

La Groenlandia precambriana si divide in 3 blocchi diversi:
  1. Victoria Fjord: è considerato un terrane e non un cratone. Si trova nell’estremo nord. È composto da rocce magmatiche intrusive e da rocce metamorfiche con età che vanno da 3.5 a 2.6 miliardi di anni (Nutman et al 2019). Oltre all’artico canadese alcune rocce riferibili a questo terrane si trovano in Siberia
  2. Cratone di Rae: è uno dei costituenti fondamentali del Nord America. Anche qui le età non scherzano: alcune rocce metamorfiche derivano da graniti di 3,1 miliardi di anni fa e ci sono delle rocce magmatiche (rioliti) ancora fresche vecchie di 3 miliardi di anni tondi tondi (Thrane, 2021).
  3. Cratone Nord-Atlantico: affiora anche nel Labrador. Qui le età oscillano tra 3,9 e 3,0 miliardi di anni. Questa grande varietà di date viene spiegata con una sua origine come amalgamazione di terranes molto diversi fra loro. All’interno del cratone Nord-Atlantico troviamo una delle aree geologicamente più iconiche della Groenlandia, la Usua Greenstone Belt: si tratta di una delle varie cintura di rocce verdi (greenstone belts, appunto) inframezzate tra i blocchi archeani, composta da rocce mafiche magmatiche e sedimentarie, ovviamente metamorfosate circa 3,7 miliardi di anni fa. Le greenstone belts rappresentano l'equivalente archeano delle cinture ofiolitiche successive; testimoniano le collisioni fra i cratoni e quindi l’esistenza dei primi movimenti della tettonica placche. Nonostante che sia accessibile solo vicino alla costa, la Usua Greenstone Belt è la più grande esposizione disponibile di rocce sopracrostali eoarcheane sulla Terra. È molto interessante il fatto che questa fascia rappresenti probabilmente i resti di un arco magmatico (Szilas et al, 2015)
Questi blocchi non erano in origine in contatto fra di loro, ma si sono scontrati in tempi remotissimi e questi scontri sono conservati in diversi orogeni:
  1. la fascia mobile di Inglefield marca lo scontro, avvenuto circa 1,85 miliardi di anni fa tra il terrane di Victoria Fjord e il cratone di Rae
  2. l’orogene di Nagssugtoqidian (il nome è quello, ho fatto il classico copia-incolla…) marca lo scontro fra i cratoni di Rae e nord-atlantico, conclusasi circa 1,7 miliardi di anni fa
  3. poco a nord della punta meridionale della Groenlandia è compresa nell’orogene Ketilidiano. Originatosi circa 3 miliardi di anni fa dallo scontro fra cratone Nord-Atlantico e un blocco ora ben rappresentato solo in Scandinavia (le Svecofennidi), è stato smembrato nel Terziario inferiore quando la Groenlandia si è staccata dal Canada.
  4. lungo la costa centro-occidentale dell’isola si trova l’orogene di Rinkian, attivo tra 3,1 e 2,7 miliardi di anni fa: dovrebbe marcare il contatto fra il cratone di Rae e il microcontinente di Meta Incognita, posto attualmente nella parte meridionale dell’isola di Baffin

la divisione delle sovranità dei Paesi
che si affacciano sull'Artico
LE RISORSE DELLA GROENLANDIA. Come ho scritto nell'introduzione, la Groenlandia è un’area geopoliticamente ed economicamente strategica per diversi motivi, che il Presidente Trump evidentemente conosce bene ed è per questo che società di tutto il mondo (Europa, America, Asia - soprattutto Cina -,  e Australia) sono molto interessate a questa regione.

1. GEOPOLITICA: alla Groenlandia appartiene parte dell’Oceano Artico e anche questo è un particolare importante, sia per lo sfruttamento della sua piattaforma continentale e quindi della zona economica esclusiva, sia perché la diminuzione dei ghiacci potrebbe portare presto da quelle parti all’utilizzo di rotte marittime, il cui controllo è ambito

2. GIACIMENTI DI IDROCARBURI: condizioni per la presenza di giacimenti di idrocarburi sono presenti lungo quasi tutte le coste ad eccezione della parte sudorientale, dove sono presenti i magmi della Grande Provincia Magmatica dell’Atlantico Settentrionale. Va notato comunque che i risultati nella baia di Baffin sono stati piuttosto deludenti

le materie prime in Groenlandia da Rosa et al (2023)
3. MATERIE PRIME FONDAMENTALI: ma quello che fa capire il perché delle tante mire sul territorio groenlandese sono le risorse minerarie custodite nelle rocce dell’isola. Come è noto una buona parte dei minerali e degli elementi essenziali per la nostra economia vengono da aree la cui storia geologica si è conclusa in tempi non recenti, anche perché l’erosione ha portato a giorno parti della crosta che si erano formate in profondità e la Groenlandia non fa eccezione.

Un recente documento prodotto dal Centro per i minerali e i materiali del Servizio Geologico della Danimarca e della Groenlandia (Rosa et al, 2023) presenta il potenziale delle risorse minerarie groenlandesi di CRM (critical row materials), concentrandosi sulle materie prime etichettate come critiche dalla Commissione Europea nel 2023, nonché su alcune considerate potenzialmente critiche.

La zona libera dai ghiacci della Groenlandia, che copre circa 0,4 milioni di km2 (una superficie leggermente maggiore di quella italiana), ospita come si è visto, rocce che vanno dall’Archeano al (relativamente) recente e non solo i depositi precambriani, ma pure quelli più recenti dell’orogenesi caledoniana offrono un potenziale minerario e rendono la Groenlandia favorevole alla ricerca e allo sfruttamento di una gamma di risorse minerarie, inclusi alcuni dei minerali critici e potenzialmente critici.

Il rapporto è molto dettagliato e schematizzato nella tabella qui accanto. In particolare si nota la presenza significativa di Terre Rare, sia leggere (LREE) che pesanti (HREE), Niobio, elementi del gruppo del Platino (PGMs). Meno presente il Litio.

Quello che lascia sbalorditi è l’impatto enorme dal punto di vista quantitativo di quella fascia di territorio estremamente limitata rispetto al totale dell’isola (anche se, ripeto, rimane sempre scoperta dai ghiacci una estensione maggiore di quella di Paesi come Germania o Italia), per cui se si trasferiscono queste aspettative al suo interno, queste parrebbero enormi; è altresì probabile che se nelle coste affiora direttamente il basamento precambriano, all’interno in molti casi questo sia ricoperto da spessi strati di sedimenti. Ma c'è sempre la possibilità che l'erosine alla base dei ghiacciai abbia spazzato via molti dei sedimenti recenti

Resta inoltre sul tappeto una questione fondamentale: la Groenlandia è ancora un'area abbastanza incontaminata e le attività estrattive minacciano l'ambiente artico. E non è solo una minaccia a causa dell'inquinamento e per la fauna artica: l'incremento delle polveri antropiche che risulterebbe ovviamente dalle attività di estrazione mineraria potrebbe depositarsi sul ghiaccio, coprendolo con una patina scura la quale, trattenendo il calore più del ghiaccio bianco, ne provocherebbe una maggiore fusione. 
Aggiungo che a molti di quelli interessati, il riscaldamento globale (che spesso negano) farà molto comodo perché aumenterà l'area senza ghiacci, potenzialmente sfruttabile dal punto di vista minerario.

BIBLIOGRAFIA

Kumar et al (2007). Crustal structure of Iceland and Greenland from receiver function studies. Journal of Geophysical Research 112, B03301l

Martos et al (2018). Geothermal heat flux reveals the Iceland hotspot track underneath Greenland. Geophysical Research Letters, 45, 8214–8222.

Nutman et al (2019). The Archean Victoria Fjord terrane of northernmost Greenland and T geodynamic interpretation of Precambrian crust in and surrounding the Arctic Ocean. Journal of Geodynamics 129, 3–23

Rosa et al (2023). Review of the critical raw material resource potential in Greenland. MiMa rapport 2023/1

St-Onge et al (2009). Correlation of Archaean and Palaeoproterozoic units between northeastern Canada and western Greenland: constraining the pre-collisional upper plate accretionary history of the Trans-Hudson orogen. Geological Society Special Publications 318,193-235

Szilas et al (2015). The petrogenesis of ultramafic rocks in the N 3.7 Ga Isua supracrustal belt, southern West Greenland: Geochemical evidence for two distinct magmatic cumulate trends. Gondwana Research 28 (2015) 565–580

Thrane (2021). The oldest part of the Rae craton identified in western Greenland. Precambrian Research 357, 106139

martedì 14 gennaio 2025

ultime notizie: importante sciame sismico al Bardarbunga (Islanda). Probabile intrusione di magma ma non è detto che avvenga presto una nuova eruzione del vulcano


Niels Bohr diceva che “è difficile fare previsioni, specialmente per il futuro", e questo è un detto assolutamente ineccepibile quando si parla di vulcani. Giusto ieri avevo scritto che il Bardarbunga, che ha prodotto una eruzione importante nel 2014-2015 mostrava una certa attività sismica, essenzialmente sul margine NE della caldera ma che per adesso una eruzione non era imminente.
Il quadro forse (dico forse!)è improvvisamente cambiato, perché oggi 14 gennaio c’è stata una sequenza sismica molto importante e soprattutto caratterizzata da una buona distribuzione delle profondità ipocentrali tra 10 km e la superficie. Insomma, questo sciame ha caratteristiche simili a quelli che si verificano durante le intrusioni di magma.

UN VULCANO CHE STA PREPARANDO DA ANNI UNA NUOVA ERUZIONE. Il Bárðarbunga è sempre sotto stretta osservazione: dopo l’ultima eruzione, conclusasi nel 2015, e di cui ho parlato diverse volte, il vulcano, si sta rigonfiando e questo dimostra che il magma si sta ancora accumulando sotto l’edifico vulcanico. Monitorarlo non è semplice, perchè si trova sotto il grande ghiacciaio Vatnajokull e quindi è difficile vedere quello che succede in superficie (eventuali fumarole ed altri fenomeni tipici di un vulcano tutt’altro che quiescente). Quindi i ricercatori si basano molto su dati geofisici, in particolare la sismicità e i sensori GPS posti immediatamente al di là del limite del ghiacciaio
I sensori GPS mostrano una forte deformazione grazie alla quale viene monitorato di continuo il processo di rigonfiamento del vulcano. E a proposito della sismicità, il rigonfiamento è accompagnato da terremoti che raggiungono livelli abbastanza importanti per essere di origine vulcanica (anzi, vulcano – tettonica): infatti le Magnitudo talvolta superano il 4 (addirittura 11 eventi con M 4 o superiore negli ultimi 365 giorni) e che in generale è annidata sul bordo della caldera.
Stamattina il Bardarbunga ha fatto le cose in grande: un forte sciame sismico è iniziato poco nella parte nord-occidentale della caldera. Dall'inizio dello sciame, le 6:00 UTC, sono stati registrati circa 130 terremoti, con il più forte che ha raggiunto una magnitudo di 5.1 alle 8:05.
Inoltre, sono stati rilevati altri 17 terremoti di magnitudo 3 o superiore, tra cui almeno due di magnitudo 4 o superiore (ovviamente le stime della Magnitudo potrebbero cambiare man mano che l'analisi degli eventi è in corso).
L'attività sismica è stata più intensa fino alle 9:00 UTC circa, dopodiché ha iniziato a diminuire, anche se si stanno ancora registrando terremoti nella zona. È troppo presto per stabilire se lo sciame si stia attenuando, tantomeno se sia o no un precursore di un'eruzione, anche se ricorda quelli che si verificano durante le intrusioni di magma precedenti all’eruzione del 2014 (ne ho parlato qui quando il processo era in corso): questo perché quando l'eruzione di Holuhraun è iniziata nell'autunno del 2014, la sismicità di questo tipo è durata per settimane e tutti, tramite il servizio meteorologico islandese, abbiamo potuto osservare “in diretta” dal suo evolversi come il magma si facesse spazio in direzione NE. Potremmo essere quindi davanti ad una situazione come quella del 2014, ma i dati vanno analizzati e soprattutto bisogna vedere se la sismicità continuerà. È comunque molto probabile che l’attività di oggi sia connessa ad una iniezione di magma verso la superficie.

la sismicità della mattina del 14 gennaio 2025 al Bardarbunga.
si nota anche una certa attività al Grimsvotn, preesistente a quella del Brdarbunga:
è realistico che provochi un limitato scioglimento del ghiacciaio
e quindi è previsto un aumento dell'afflusso di acque nei torrenti

POSSIBILI CONSEGUENZE DI UNA EVENTUALE ERUZIONE. Il vulcano è lontano dagli insediamenti umani, ma in caso di eruzione ci possono essere due scenari:
  1. UNO SCENARIO CLASSICO, CIOÈ UNA ERUZIONE NELLA CALDERA: questa provocherebbe una inondazione perché provocherebbe lo scioglimento di quella parte del grande ghiacciaio, il Vatnajokull, sotto il quale giacciono anche altri 5 vulcani: il Grimsvotn. Gvarkfjoll, Oraefajokull, Thordarhyrna ed Esjufjoll (se mettiamo al centro il Grimsvotn, gli altri sono ad una distanza da esso che varia tra i 25 e i 55 km). Inoltre potrebbe esserci il rischio di una nube di ceneri come nel 2010 l’Eyiafjallayokull e allora sarebbero dolori per il traffico aereo
  2. ERUZIONE ESTERNA, COME NEL 2014: spesso, quando erutta il Bárðarbunga, il magma non emerge dalla caldera stessa, ma segue una delle tante fratture a raggera che si diramano dal vulcano, come è successo nell'eruzione del 2014 a Holuhraun. In questo caso il magma affiora in superficie ben oltre il limite del ghiacciaio e forma delle colate di lava, che essendo in aree prive di interesse antropico, non comportano rischi di nessun tipo se non possibili problemi dovuti alle emissioni gassose.
Il codice colore dell'aviazione per Bárðarbunga è stato aumentato a giallo, ma è un provvedimento normale quando un vulcano da segni di attività sopra il livello di fondo. 
Vedremo comunque molto presto se avverrà presto una nuova eruzione oppure dovremo ancora aspettare. Di sicuro la dinamica del vulcano ci dice che il magma vi sta affluendo dalla crosta inferiore

 

lunedì 13 gennaio 2025

Islanda: mentre si aspetta il nuovo episodio vulcanico nella penisola di Reykjanes, una intrusione di magma è in corso nella penisola di Snaefellsnes


l'estensione del sistema vulcanico di Ljósufjöl con indicate
  • l'ultima colata del IX secolo EV
  • e l'area attualmente interessata dalla sismicità
In Islanda è estremamente nota l'attuale fase di attività vulcanica nella penisola di Reykjanes. Questa attività, che ha interrotto 780 anni di quiete vulcanica nell’area, e che andrà probabilmente avanti per decenni (ne ho parlato diverse volte, per esempio qui quando avvenne la prima eruzione), è iniziata con una intrusione non arrivata in superficie all’inizio del 2020 ed è proseguita dal 2021 con una decina di eruzioni a partire dalla primavera del 2021. Adesso è realistico pensare ad un prossimo evento tra la fine di gennaio e febbraio 2025. Ma non è l’unica area dell’isola in cui c’è attività magmatica: in questi mesi la penisola di Snaefellsnes nell’Islanda occidentale è interessata da una sismicità importante come numero di eventi, la cui origine è una intrusione di magmi che si sta mettendo in posto nella crosta profonda a circa 15-20 km di profondità.

L'INTRUSIONE MAGMATICA ATTUALMENTE IN ATTO NELLA PENISOLA DI SNAEFELLSNES. All'estremità orientale della penisola di Snaefellsnes nell’Islanda occidentale si trova il sistema vulcanico di Ljósufjöl. Si tratta di un gruppo di colate laviche provenienti da alcune fessure lungo una linea WNW-ESE lunga circa 90 km. È interessante notare che oltre ai basalti troviamo vulcaniti con più silice, come rioliti e trachiti, eruttate durante il Pleistocene medio-tardo (Flude et al, 2008).
L’ultima eruzione del sistema è avvenuta nel X secolo d.C., ed è quindi successiva alla colonizzazione dell’isola: nell'occasione fu prodotto un campo di lava di circa 13 km2. In media, negli ultimi 10.000 anni, questo sistema vulcanico è entrato in eruzione ogni 400 anni e quindi siamo statisticamente in ritardo. Lo scenario più probabile in caso di eruzione è una colata lavica di dimensioni paragonabili a quelle attuali della penisola di Reykjanes, magari leggermente esplosiva, con fontane di lava, flussi di lava e modesta produzione di ceneri.
In quell’area l'ultima significativa attività sismica era stata rilevata nel 1992, con due terremoti di magnitudo M3 e M 3.2, accompagnati da diversi altri superiori a M 2.0 (dati del sistema SIL).
Dopo quasi 20 anni di attività sismica “di fondo”, dalla primavera del 2021 il numero dei terremoti è sensibilmente aumentato, con un picco nell’autunno di quell’anno, quando avvennero due eventi a M 3. L’attività poi è proseguita con un succedersi di fasi più intense e fasi di quiete, con Magnitudo basse, fino a quando il 18 dicembre 2024 si è verificato un terremoto di M 3.2.
Già a settembre 2024, vista la situazione in evoluzione e che il sismometro più vicino si trovava a circa 30 km dall'area attiva, il servizio meteorologico islandese, competente anche per i terremoti e i vulcani, ha deciso di aumentare il monitoraggio dell'area con un sismometro a cui è seguita l’installazione di una stazione GNSS. Il nuovo sismometro non solo ha migliorato la capacità di rilevare terremoti con M inferiore a 1, ma anche di determinare con maggiore esattezza la profondità degli eventi, cosa notoriamente non semplicissima. La profondità della maggior parte dei terremoti nell'area è ora ben vincolata a una profondità compresa tra 15 e 20 km. Da quando la stazione GNSS è stata installata a Hítardalur, i dati non mostrano alcuna deformazione rilevabile in superficie. Anche l'analisi dei dati satellitari (InSAR) dal periodo 2019 all'estate 2024 non mostra alcuna prova di deformazione superficiale.
il tremore sismico del 2 gennaio 2025

In una riunione il 19 dicembre c’erano due ipotesi sulla sequenza sismica: accumulo di magma in profondità o movimenti tettonici.
La situazione è cambiata il 2 gennaio 2025, quando si è evidenziato un episodio di tremore sismico, durato circa 40 minuti. Quel giorno furono registrati in totale circa 20 terremoti, tutti a profondità comprese tra 15 e 20 km e con una Magnitudo compresa tra 0,1 e 2,0. A questo punto è diventato ovvio attribuire questa crisi sismica ad una intrusione di magma posta tra 15 e 20 km di profondità, nella crosta inferiore che da quelle parti è spessa poco più di 25 km (Kumar et al, 2007).  Un’altra circostanza che porta a rendere realistico è la proporzione molto alta di piccoli terremoti rispetto ad un quadro di terremoti dovuti a cause tettoniche.
Attualmente non vi sono prove di migrazione del magma a profondità ridotte, ma ovviamente un rapido aumento nel numero e nella magnitudo dei terremoti e una migrazione degli ipocentri verso la superficie saranno la eventuale spia di una propagazione del magma verso la superficie, cosa che attualmente non è detto che avverrà. Altrettanto ovviamente il servizio meteorologico islandese sta anche provvedendo a installare stazioni aggiuntive (sismiche e GNSS) per monitorare con più accuratezza l’evoluzione del fenomeno. Purtroppo le osservazioni con i dati radar satellitari non sono attualmente utilizzabili a causa della copertura nevosa.

evoluzione della sismicità del Ljósufjöl dal 2021

la sismicità sotto al monte Upptyppingar nel 2006,
anche essa dovuto ad una intrusione magmatica
che non ha raggiunto la superficie

UN ANALOGO ISLANDESE NEL 2006 E LE DIFFERENZE INVECE CON LA SISMICITÀ DEI CAMPI FLEGREI. Quindi il meccanismo che causa la sismicità profonda è la spinta  nella crosta dovuto all'intrusione magmatica.
Una cosa simile è successa in Islanda nel 2007, vicino al monte Upptyppingar, nella parte NE del sistema vulcanico Kverkfjöll, il cui apparato principale si trova sotto alla parte settentrionale del grande ghiacciaio Vatnajökull (Jakobsdóttir et al, 2008). Durante gli sciami di Upptyppingar le stazioni GPS avevano anche documentato una deformazione crostale entro 25 km dall'area dello sciame. La sequenza sismica di Upptyppingar del 2007 assomiglia a quella attuale in quanto:
  • i terremoti si erano concentrano a profondità focali di 14-22 km;
  • la proporzione di piccoli terremoti rispetto ad un quadro di terremoti dovuti a cause tettoniche è molto alta e simile al caso odierno
  • l’area interessata è di dimensioni simili, anche se a Upptyppingar si è assistito ad una migrazione nel tempo degli eventi, mentre a Snaefellsnes gli eventi si trovano contemporaneamente in tutta l’area.
Sismicità e deformazione hanno suggerito quindi che l’origine del fenomeno fosse una risalita di magma risalito dal mantello fino alla base della crosta. In quel caso l'intrusione si è fermata in profondità senza risalire in superficie.
Giova osservare, inoltre, che la situazione nella penisola di Snaefellsnes è diversa da quanto succede ai Campi Flegrei, dove il magma, peraltro più superficiale, non da segni di risalita e il sollevamento è dovuto all’afflusso verso l’alto di fluidi magmatici.

PENISOLA DI REYKJANES: NUOVA ERUZIONE FORSE GIÀ DA FINE GENNAIO? I dati sulla deformazione fino al 30 dicembre 2024 pubblicati dal servizio meteorologico islandese indicano che continua l'accumulo di magma sotto Svartsengi. Il tasso di afflusso di magma, stimato in base alla deformazione del terreno, è poco più di 3 m³/s, simile al tasso osservato prima dell'ultima eruzione. Se l'accumulo di magma continua al tasso attuale, si prevede che il volume di magma sotto Svartsengi raggiungerà le soglie critiche di 12 milioni di m³ entro la fine di gennaio e circa 13,5 milioni di m³ entro la prima settimana di febbraio. Pertanto, le probabilità di un'eruzione a Svartsengi stanno aumentando.

APPUNTO FINALE: AL BARDARBUNGA CONTINUANO I TERREMOTI MA PER ADESSO NIENTE MAGMA IN MOVIMENTO. La caldera del Bardarbunga, celebre per la nota eruzione del 2014-2015 continua a mostrare una certa attività sismica, ma per adesso nulla fa pensare a movimenti di magma e quindi una eruzione non è all’ordine del giorno.

EDIT: con i vulcani non si può mai dire! Ieri ho scritto queste note sul Bardarbunga. E stamattina c'è stato uno sciame sismico che potrebbe essere stato causato da una risalita di magma: https://aldopiombino.blogspot.com/2025/01/ultime-notizie-importante-sciame.html

BIBLIOGRAFIA

Flude et al (2008) Silicic volcanism at Ljósufjöll, Iceland: Insights into evolution and eruptive history from Ar–Ar dating Journal of Volcanology and Geothermal Research 169 (2008) 154–175

Jakobsdóttir et al (2008) earthquake swarms at Upptyppingar, North-East Iceland: a sign of magma intrusion? Stud. Geophys. Geod., 52, 513-528

Kumar et al 2007 Crustal structure of Iceland and Greenland from receiver function studies Journal of Geophysical Research 112, B03301l


giovedì 9 gennaio 2025

il terremoto del Tibet del 7 gennaio 2025: il sistema di rift sud-tibetano, una fascia in estensione molto particolare subito alle spalle dell'Himalaya


Il terremoto M 7.1 del 7 gennaio 2025 nel Tibet è un evento che merita una particolare attenzione non solo per il bilancio delle vittime e di morti ma anche per il meccanismo focale: a nord della catena himalayana, la fascia dove adesso avviene la collisione fra l'India e il bordo dell'Eurasia, si trova una vasta area del Tibet caratterizzata da una tettonica distensiva, nota come il sistema di rift sud-tibetano. Il terremoto pare proprio essersi generato lungo una delle più importanti (e lunghe) faglie che lo compongono. Non è ancora chiaro il motivo dell'esistenza di questo sistema distensivo, anche se la maggior parte dei ricercatori pensano che le cause vadano trovate nel mantello sottostante e dei movimenti in profondità del cuneo della placca indiana che sta scorrendo sotto l'Eurasia. 
 
l'evento principale (cerchietto rosso)
e le maggiori replichefino al giorno dopo
LA SISMICITÀ DIFFUSA ASIA TRA INDIA, CINA E SIBERIA: La regione vicino al confine tra le placche indiana ed eurasiatica ha una storia di grandi terremoti. Negli ultimi 100 anni si sono verificati 10 terremoti di magnitudo 6 e superiore entro 250 km dal terremoto del 7 gennaio 2025. Tra questi, il terremoto M7.8 del 25 aprile 2015 a circa 160 km a sud-ovest (ne ho parlato qui), e il terremoto M 8.0 del 1934, tutti nel Nepal e dovuti alla compressione in atto
La collisione continentale tra le placche indiana ed eurasiatica ha provocato un forte ispessimento crustale, i cui effetti sulla superficie sono noti, data l’altezza non solo della catena himalayana, ma di tutto l’altopiano del Tibet posto immediatamente a nord della catena.
Tutta l’area tra India e Siberia è soggetta a una forte sismicità definibile come intraplacca. Anzi, meglio, intraplacca ma non troppo. Perché la definisco così?
Perché la collisione fra India e Tibet, iniziata nel Paleocene e che fra l’altro ha determinato importanti cambiamenti nella biogeografia e nell’evoluzione dei mammiferi, non è altro che l’ultima di una lunga lista di collisioni lungo il bordo meridionale dell’Asia che si protraggono da metà del Paleozoico, quando ha iniziato a formarsi l’enorme orogene dell’Asia centrale, il CAOB, (ne ho parlato qui) ad oggi: tra India e Siberia si trova una vasta serie di suture fra masse continentali appartenute a diverse placche (e probabilmente anche non continentali: i bacini di Tarim e Junggar dovrebbero essere delle parti di crosta e litosfera oceaniche rimaste intrappolate fra gli orogeni (Morgan e Vannucchi, 2022, ne ho parlato qui). L’incunearsi dell’India nell’Asia ha rimobilizzato questi vecchi limiti convergenti fra placche, che ancora si comportano come linee di debolezza litosferica nel senso di Heron et al (2014). Ne è testimone la grande sismicità dell’area (ne ho parlato qui). Addirittura i dati GPS evidenziano come la catena del Tien-Shan, dove giusto un anno fa avvenne il terremoto M 7.0 del 22 gennaio 2024 stia a sua volta assorbendo anche essa in parte la deformazione dettata dalla collisione (Zubovich et al 2010, ne ho parlato qui).

La pagina dell'evento sul sito di USGS: il meccanismo del terremoto è estremamente chiaro

UNA ZONA IN DISTENSIONE SUBITO A NORD DELL’HIMALAYA. Il terremoto di magnitudo 7.1 del 7 gennaio 2025 nel Tibet è avvenuto circa 80 km a NE dell’Everest e 300 Km SSW di Lhasa. Il meccanismo focale indica che l'evento è associato a una faglia normale quasi verticale a bassa profondità, all’incirca perpendicolare al limite di placca fra India e Eurasia, a nord delle montagne himalayane e pertanto all'interno della placca eurasiatica, poco più a nord della zona dove si registra la compressione massima lungo l’Himalaya, a cui ad esempio è associato il terremoto nepalese del 2015. Un meccanismo di questo genere potrebbe stupire ma invece questo regime compressivo è una caratteristica prominente dell’area immediatamente a nord dell’Himalaya, dove si sviluppa il South Tibetan Rift System (in breve STRS). Lo STRS riflette l'attuale estensione est-ovest dell'altopiano tibetano ed è costituito da diverse strutture distensive parallele che si trovano a circa 150–200 km l'una dall'altra, in un’area caratterizzata da un flusso di calore più elevato del normale.

la carta di Taylor e Yinn (2009) modificata con evidenziati i 4 blocchi che costituiscono il Tibet:
le linee bianche sono le suture che li dividono e lungo le quali si è amalgamato l'altopiano, mentre le ellissi evidenziano le faglie prinicpali del sistema di rift: l'evento del 7 gennaio 2025 pare annidato lungo una di queste 

Vediamo nella carta presa da Taylor e Yin (2009) le varie faglie del Tibet. La maggior parte di queste faglie sono trascorrenti, ma il quadro è ancora non del tutto chiaro, al punto tale che nel 2024 ne è stata identificata una lunga ben 1000 km (Li et al, 2024). La stella indica il terremoto. 
La cosa più sorprendente di queste faglie distensive è che tagliano le due suture principali del Tibet: 
  • la notissima sutura dell’Indo-Yarlung/Tsampo (IYS) che marca il confine fra i terreni dell’Himalaya tetidea e il blocco di Lhasa, attiva all’inizio della collisione India – Eurasia (adesso il fronte attivo è più a sud) e per tutto il Terziario inferiore
  • la Sutura di Bangong-Nujiang (BNS), che marca più a nord la collisione mesozoica fra il blocco di Lhasa e quello del Qiangtang.
Lo sviluppo del sistema di rift sud-tibetano è iniziato nel Miocene superiore, circa 18 milioni di anni fa, accompagnato all’inizio dalla effusione di lave basaltiche.
Anche questo sistema distensivo è un riflesso della ampia collisione in corso. Quello che rende particolare il STRS rispetto ai sistemi distensivi in area di scontro fra placche che normalmente si trovano dietro la zona di convergenza è che le faglie principali di questi sistemi normalmente sono paralleli ad essa e non perpendicolari. Nessuno ovviamente dubita della sua esistenza, ma sul perché questo sistema di rift si sia formato c’è ancora un ampio dibattito in corso. Sono invocati in genere processi profondi annidati nel mantello, ma siccome non ci sono altre situazioni simili, le motivazioni reali della sua presenza non sono ancora chiare e le interpretazioni sono molto diverse fra loro.

BIBLIOGRAFIA CITATA

Heron et al (2016). Lasting mantle scars lead to perennial plate tectonics. Nature communications DOI: 10.1038/ncomms11834

Li et al (2024). Previously unrecognized, 1000 km-long Qixiang Co fault governs eastward escape of central Tibet Earth and Planetary Science Letters, Volume 644, 118928

Morgan e Vannucchi (2022) Transmogrification of ocean into continent: implications for continental evolution. PNAS 119/15 e2122694119

Zhu et al (2017). Analysis of the seismicity in central Tibet based on the SANDWICH network and its tectonic implications Tectonophysics 702, 1–7

Zubovich et al (2010). GPS velocity field for the Tien Shan and surrounding regions. Tectonics 29, TC6014

giovedì 26 dicembre 2024

a 20 anni dallo tsunami dell'Oceano Indiano del 26 dicembre 2004, gli sforzi per la mitigazione dei danni da tsunami


Quando l’11 marzo 2011 avvenne il terremoto M 9.1 del Tohoku, tutto il mondo era con il fiato sospeso per le conseguenze dello tsunami che stava per abbattersi sulla costa giapponese. Insomma, nel 2011 tutti sapevano cosa fosse uno tsunami. Invece il 26 dicembre 2004, quando avvenne lo tsunami provocato dal terremoto M 9.1 di Sumatra, che ha interessato una vasta parte delle coste dell’Oceano Indiano, questo concetto era molto meno noto al pubblico generico, al punto che prima di questa data sulla stampa parlando di uno tsunami doveva essere spiegato cosa volesse dire. Da quell'infausto giorno comunque il pericolo tsunami è entrato nelle conoscenze delle persone comuni e anche grazie a questo si sono moltiplicate le ricerche sulla mitigazione dei rischi conseguenti.

Questo perché nel 2004 gli ultimi tsunami importanti erano lontani nel tempo, dai terremoti di Valdivia (Cile) del 1960 e dell’Alaska del 1964. Nel Mediterraneo uno tsunami provocò oltre 50 morti nel mar Egeo a seguito del terremoto M 7.7 di Amorgos nel 1956. Dopo il 1964 solo fra gli addetti ai lavori erano noti i vari tsunami che avevano colpito essenzialmente Pacifico settentrionale, Indonesia e coste dell’America centrale, facendo nel complesso parecchie migliaia di morti ma le cui distruzioni sono rimaste confinate in aree limitate, compreso quello di Papua - Nuova Guinea del 1998, classico evento provocato da una frana sismoindotta (Tapin et al, 2001). Si tratta quindi di aree delle quali i media si occupano poco anche adesso nell’era di internet (basta vedere ad esempio la differente copertura mediatica fra uragani disastrosi nei Caraibi e negli USA). Quanto al Mediterraneo, dobbiamo ricordare lo tsunami del porto di Nizza del 1979 (che data la sua limitata estensione in epoca pre-social network rimase poco noto, ne ho parlato qui) e quello di Stromboli del 30 dicembre 2002, che avrebbe avuto una copertura mediatica molto più massiccia se fosse avvenuto d’estate con le spiagge piene. 
Lo tsunami del 2004 è stato una svolta epocale per il numero delle vittime che ha provocato in diverse nazioni rivierasche, fino all’Africa e perché è stato il primo grande disastro documentato in diretta da una vasta serie di immagini, soprattutto in Indonesia, Thailandia, Sri-Lanka e Maldive.
Insomma, si tratta di uno spartiacque sia mediatico che nelle conoscenze normali della popolazione mondiale.

LA PICCOLA TILLY IN VACANZA IN THAILANDIA CHE HA LANCIATO L’ALLARME. Gli tsunami sono onde in movimento sulla superficie dell'oceano, quindi oltre alle creste includono depressioni e alle volte è proprio la depressione a raggiungere prima la costa. Quando arriva prima la depressione della cresta, l'oceano prima si abbassa e risucchia l'acqua lontano dalle coste e solo successivamente si riversa di nuovo dentro l’area precedentemente abbandonata con la velocità e la forza che conosciamo. Le persone che notano l'acqua che si ritira e che capiscono cosa sta per succedere, hanno comunque pochi minuti (mediamente 5) per fuggire verso l'entroterra, verso terreni più elevati.
E su questo si innesta la vicenda di Tilly Smith che viveva nel Surrey ed era in vacanza a Mai Khao Beach in Thailandia. Essendo nata nel 1994 il 26 dicembre del 2004 era una bambina di 10 anni. Tilly aveva proprio studiato gli tsunami durante le lezioni di geografia pochi mesi prima, e quindi quando ha visto il mare ritirarsi ha capito quello che stava per succedere e dando l’allarme ha salvato la vita a circa 100 bagnanti che erano con lei sulla spiaggia, i quali le hanno dato retta (un fattore importante per credere ad una bambina così piccola è stato sicuramente lo sconcerto di vedere il ritiro del mare).
Una situazione del genere è successa anche per lo tsunami di Stromboli: ho letto il ricordo di questo fenomeno raccontato da un testimone diretto quale Franco Foresta Martin, giornalista e geologo che era proprio a Ustica in quei giorni e vide l’acqua prima sparire dal porto e poi ritornarvi con violenza.
Purtroppo non sempre succede questo, perché alle volte arriva direttamente la cresta dell’onda. Ad esempio mi risulta che lo tsunami del 2011 abbia colpito le coste giapponesi direttamente con la cresta dell’onda.

TSUNAMI DIRETTAMENTE DA TERREMOTO E TSUNAMI DA FRANA. Per provocare direttamente uno tsunami con lo spostamento del fondo marino, un terremoto deve avere una Magnitudo piuttosto elevata (in genere superiore a 7.5), ma non è infrequente la formazione di onde anomale con eventi di Magnitudo inferiore a causa di frane sismoindotte, quando queste precipitano in mare o in laghi. La maggior parte degli tsunami tra 1964 e 2004 hanno avuto questa origine. Poco prima, nel 1958 dobbiamo ricordare lo tsunami di Lituya Bay, in Alaska, provocato dall’omonimo terremoto M 7.8 di Lituya Bay del 1958, che ha innescato una frana di 30 milioni di metri cubi precipitata nella baia, provocando il megatsunami più grande e significativo dei tempi moderni, avendo spazzato via gli alberi fino a un'altezza massima di 524 metri. Di eventi provocati da frane nei laghi, se ne sono verificate tante specialmente negli USA. Anche la tragedia del Vajont è stata uno tsunami in un lago, sia pure non causato da un terremoto ma da una frana.
Quindi in caso di terremoto ben percepito anche di non eccezionale forza meglio evitare le rive di mari e laghi (e, incidentalmente, anche i versanti...).

altezze massime degli tsunami nel periodo 1800 -2020
da Reid e Monney 2003
IMPATTI A BREVE E MEDIO TERMINE DEGLI TSUNAMI. Di fatto gli tsunami rappresentano una minaccia sostanziale per le comunità costiere in tutto il mondo, minaccia in intensificazione, visto che le aree costiere già densamente popolate stanno sperimentando un'ulteriore crescita demografica del 68-122%, risultando in circa 1052-1388 milioni di persone entro il 2060 (Neumann et al. 2015).
Oltre alla distruzione istantanea, gli tsunami possono causare impatti a medio termine per i danni a centrali elettriche (Fukushima docet), infrastrutture portuali e zone industriali limitrofe, il che comporta un lungo periodo di crisi economica (in alcuni casi con conseguenze mondiali se i porti distrutti sono canali fondamentali di approvvigionamento di materiali o manufatti critici). In caso di terremoti di subduzione c’è poi il problema nell’area antistante al terremoto del conseguente abbassamento del terreno: questo provoca un impatto a lungo termine a causa della intrusione di acqua salata. Molti terremoti importanti del passato del genere sono stati datati con una certa precisione proprio grazie a livelli di alberi morti a causa dell’intrusione improvvisa del cuneo salino, con la dendrocronologia e la datazione con il radiocarbonio dei residui. Questo in caso di foreste, ma in aree costiere con un intensa attività agricola si tratta di un pericolo enorme che corre la produzione alimentare. Nel tempo il terreno tende a sollevarsi di nuovo, ma questo purtroppo non avviene a scala umana.

DIFENDERSI DAGLI TSUNAMI
. Spesso sono proprio le catastrofi a innescare una serie di studi scientifici e tecnologici volti a mitigare le conseguenze di catastrofi simili successive e questo è successo anche dopo il 2004.
Per contrastare gli effetti degli tsunami, vengono applicate diverse misure di mitigazione che si dividono in:
  • rigide: mirano a ridurre il livello e la distanza di inondazione
  • flessibili, che si concentrano principalmente su una maggiore resilienza e una minore vulnerabilità o sulla mitigazione dell'impatto delle onde basata sulla natura.
La scelta dipende essenzialmente dalle aspettative regionali, dalle esperienze storiche e dalle capacità economiche.

Per quanto riguarda le MISURE FLESSIBILI, rispetto a 20 anni fa la tecnologia a disposizione delle varie Agenzie pubbliche di competenza (che spesso si avvalgono di boe ondametriche a distanza dalla costa), specialmente se collegate al Web (con i loro siti, e con i media e i social network, possono contribuire in modo molto importante:
  • formazione permanente con l’educazione delle popolazioni sul rischio tsunami e sui comportamenti in caso di tsunami, documentando inoltre i piani di evacuazione
  • allertamento delle popolazioni rivierasche in tempo utile per trovare un riparo
Questo soprattutto in aree come le zone di convergenza di placche intorno all’Oceano Pacifico e all’Oceano Indiano (e anche nell’Atlantico a largo della penisola iberica). Quindi proprio grazie all’esperienza del 2004, dove lo tsunami ha colpito 9 ore dopo l’evento le coste indiane e dello Sry Lanka con la popolazione impreparata, per tacere delle oltre 300 vittime sulla costa somala, oggi in caso di un evento simile le vittime potrebbero essere molte meno rispetto a 20 anni fa.
È un po' più difficile lanciare in tempo utile un allerta nel Mediterraneo, data la distanza fra epicentri e le coste più vicine. Ma su queste vigila il centro di allerta tsunami dell’INGV, che ha competenza per tutto il Mediterraneo.

Fra le MISURE RIGIDE ci sono diversi interventi strutturali come dighe o frangiflutti al largo. Un’altra misura rigida potrebbe essere il rimboschimento: dopo il 2004 alcuni studi hanno evidenziato la possibile utilità delle foreste di mangrovie per la mitigazione del danno, citando alcuni esempi reali, ma purtroppo dopo un entusiasmo iniziale la letteratura scientifica è ancora divisa e non c’è una certezza che, oltre ad essere interessante dal punto di vista naturalistico e paesaggistico, la ricostruzione lungo le coste delle foreste di mangrovie, possa pure servire in caso di tsunami.
Per chi volesse approfondire l’efficacia delle misure rigide Oejtien et al (2022) fanno il punto sulla situazione delle contromisure rigide, grazie ai recenti eventi di tsunami su larga scala che ne facilitano la valutazione. Viene fornita una panoramica e un confronto di tali danni e dipendenze e vengono presentati nuovi approcci per mitigare gli impatti degli tsunami.

Insomma la diminuzione delle vittime di uno tsunami è un obbiettivo facilmente raggiungibile con i sistemi di allerta funzionanti se l’allerta arriva in tempo utile (a Banda Aceh nel 2004 tra terremoto e impatto dello tsunami sono passati appena 15 minuti), per i danni materiali la situazione è ben più complessa.

BIBLIOGRAFIA CITATA


Oejtiens et al 2022. A comprehensive review on structural tsunami countermeasures. Natural Hazards (2022) 113:1419–1449

Reid e Mooney (2023). Tsunami Occurrence 1900–2020: A Global Review, with Examples from Indonesia. Pure Appl. Geophys. 180, 1549–1571 

Tapin et al (2001). The Sissano, Papua New Guinea tsunami of July 1998 — offshore evidence on the source mechanism. Marine Geology 175 1–4, 1-23


sabato 21 dicembre 2024

individuazione con i dati satellitari InSAR di un'area in improvvisa subsidenza per una estrazione di acqua dal sottosuolo - considerazioni sulla utilità di un monitoraggio satellitare della subsidenza in generale





i Persistent Scatterers nel territorio regionale toscano
L’uso dei satelliti per monitorare la superficie terrestre e quanto vi avviene è ormai diventato una pratica consolidata. I recenti progressi dei sensori radar ad apertura sintetica (InSAR) hanno consentito alla comunità scientifica di identificare e monitorare diversi rischi geologici. L’uso dei dati radar si è rivelato particolarmente utile per monitorare la subsidenza, cosa molto difficile e laboriosa fino ad oggi perché occorrevano osservazioni geodetiche manuali, da fare quindi singolarmente: era impossibile quindi avere un buon numero di misure, sia nello spazio che nel tempo. Già con i sensori GPS la situazione è migliorata, potendo ottenere misurazioni continue, ma ovviamente i dati GPS necessitano della presenza di un sensore e quindi non si può andare a ritroso nel tempo prima della loro istallazione; invece con i dati radar satellitari si può tornare indietro di 30 anni, pur considerando che tempo di rivisitazione e densità del dato nelle elaborazioni di immagini di satelliti come ERS e ENVISAT non sono certo paragonabili a quelli offerti dalle costellazioni satellitari attive oggi, come Sentinel-1 dell’ESA.

La Regione Toscana è stata la prima regione al mondo a utilizzare con continuità i dati satellitari InSAR per il monitoraggio operativo del territorio. Questo a partire dal 2018 con i dati che partono dalla fine del 2014 e con un loro aggiornamento ogni 12 giorni, il tempo di rivisitazione di un satellite della costellazione Sentinel-1 (ne ho parlato qui). Un algoritmo di data mining sulle serie temporali di ciascun punto identifica anomale variazioni di tendenza, ovvero accelerazioni o decelerazioni brusche (Raspini et al, 2018). Alla scoperta di una anomalia vengono informate le autorità locali responsabili della gestione del rischio idrogeomorfologico. Dal 2016 sono state individuate diverse situazioni critiche di deformazione del suolo, che comprendono sia frane (Raspini et al, 2019) che cedimenti (Ezquerro et al, 2020).

il bacino di Firenze - Prato - Pistoia. La stella indica la zona in esame 

l'anomalia estremamente circoscritta nello stesso verso
sia in ascendente che in discendente dimostra la subsidenza
LA BRUSCA ACCELERAZIONE DELLA SUBSIDENZA A MONTEMURLO. Il comune di Montemurlo si trova sul lato occidentale del bacino di Firenze-Prato-Pistoia, una depressione del tutto simile alle altre del versante occidentale dell’Appennino settentrionale come Mugello, Casentino, Valdichiana, Valdarno superiore etc etc, ma che misterioamente non ha un nome geografico preciso e quindi per evitare proteste campanilistiche è chiamato con il nome dei 3 centri proncipali. La parte occidentale del bacino è stata storicamente interessato da una importante subsidenza dovuta al sovrasfruttamento delle risorse idriche per la domanda di serre, vivai e industria tessile. Il sottosuolo è formato spesso da materiale di riempimento in superficie, ma essenzialmente da strati di materiale limoso e argilloso alternati a sabbie e ghiaie.
Nel luglio 2017 fu notata una brusca accelerazione della subsidenza in un’area ristretta all’interno della zona industriale di Montemurlo, con valori significativamente superiori a -100 mm/anno, quando invece da ottobre 2014 e fino a quel momento erano rimasti intorno alla soglia di stabilità oscillando di ± 2 mm/anno. La corrispondenza delle velocità dei persistent scatterers sia in geometria ascendente che discendente hanno confermato la predominanza di un moto verticale in un’area quasi circolare, suggerendo la presenza di una subsidenza indotta da attività antropica. Nei mesi successivi l'area coinvolta nel fenomeno è aumentata.
Scomponendo la velocità lungo la Linea di Vista del satellite nelle componenti est-ovest e verticale si evidenzia un cono rivolto verso il basso, tipica situazione associabile in genere con il sovrasfruttamento di una falda acquifera (Medici et al, 2024).

le serie temporali identificano l'insorgenza improvvisa del problema e una ricostruzione in 3D della storia deformativa

sezione con litologia e livelli piezometrici
INDAGINI SUL TERRENO E MODELLISTICA
. Una volta interpretata come reale la deformazione del suolo rilevata, come da procedura sono state avvisate le autorità preposte alla gestione del rischio idrogeologico per avviare le indagini di campo, con le quali i dati sono stati convalidati ed è stata avviata una campagna per il rilevamento di eventuali danni alle strutture vicine. L'obiettivo principale era quello di eseguire ulteriori indagini approfondite, identificare possibili cause e fornire una potenziale soluzione per ripristinare il precedente scenario idrologico non critico.
L'area identificata era molto vicina ai pozzi di pompaggio di una lavanderia industriale. Per confermare l'ipotesi di una relazione fra subsidenza e sfruttamento delle falde acquifere da parte di questa attività, sono stati raccolti sei volte da ottobre 2019 a ottobre 2021 i dati di pompaggio e livello dell'acqua di due pozzi, compresi quantitativo prelevato e piezometria.
Tramite gli indicatori di assestamento verticale sono stati rilevati spostamenti significativi nel tempo in due porzioni dei 3 fori di sondaggio esistenti a profondità di circa 38 e 86 m.
Per l’analisi è stato usato il software open source GBIS Geodetic Bayesian Inversion Software. La sezione A–A' dell'area di interesse intercetta i vari fori di sondaggio disponibili con geologia nota e mostra tutti i dati raccolti dell'analisi di subsidenza e la profondità della sorgente valutata dalla modellistica. Il grafico presenta i livelli piezometrici in diversi momenti, vale a dire 2010 (prima dell'evento, in azzurro), 2019 e 2020 (dopo l'evento, rispettivamente in blu e in blu scuro), e le componenti verticale e orizzontale della velocità ottenuti da MTInSAR. Lo spostamento verticale massimo risulta allineato con il livello piezometrico, in particolare dove si trova il pozzo della lavanderia industriale e la velocità di deformazione modella un cono di pompaggio: la loro combinazione consente di identificare facilmente una correlazione diretta tra deformazione e deflessione piezometrica dal 2017, confermando l'ipotesi dell'estrazione ad alta portata di acqua di falda come causa del problema.

i cluster in movimento in ascendente a sinistra e discendente a destra, 
ricavati con i dati di Sentinel-1 tra 2014 e 2018 (Festa et al, 2022)
InSAR E STUDIO DELLA SUBSIDENZA IN GENERALE. Solo un servizio continuo di sorveglianza satellitare poteva individuare immediatamente il problema, quindi il titolare dell'attività che preleva acqua è stato sfortunato, perché solo in Toscana e in pochi altri luoghi al mondo sarebbe stato possibile evidenziare in tempo reale il problema.  
Ma proprio per questo l'esempio dimostra come i dati InSAR possano essere utilizzati per la rilevazione precoce dei fenomeni di cedimenti improvvisi del terreno, allo scopo di suggerire l'adozione di efficaci soluzioni per la mitigazione del problema immediatamente dopo la sua insorgenza.
In particolare l'approccio adottato nel caso di studio di Montemurlo dovrebbe essere replicato in ogni area soggetta a subsidenza. Considerando la classificazione automatica condotta dai dati InSAR, il territorio italiano ha più di 300 aree classificate come subsidenza e più come potenziale subsidenza (Festa et al, 2022) a causa di diverse cause, ma soprattutto:
  • sfruttamento eccessivo delle risorse idriche
  • consolidamento naturale dei sedimenti
  • sovraccarico per rapida urbanizzazione in suoli o sottosuoli soffici
  • attività mineraria e estrazione di idrocarburi
  • formazione di doline risultanti dalla dissoluzione carsica
  • sfruttamento geotermico
Quasi tutte queste cause possono essere esacerbate dai cambiamenti climatici in corso negli ultimi decenni, in quanto i periodi di siccità stanno diventando più prolungati e le precipitazioni sempre più concentrate, sia temporalmente che spazialmente, incidono sulle dinamiche delle falde acquifere e quindi sui livelli piezometrici.
Nelle aree costiere la situazione è ancora più delicata, perché tra pompaggi eccessivi, subsidenza per compattazione e innalzamento del livello marino, si aggiunge il rischio della risalita del cuneo salino, che impatta sulla salute della vegetazione e degli animali e sui rifornimenti idrici a uso irrigo, industriale e idropotabile.
In Europa il riconoscimento delle aree soggette a subsidenza può essere effettuato utilizzando i dati dell'European Ground Motion Service (EGMS) del Copernicus Land Monitoring Service (CLMS). Però, dato il ritardo con cui arrivano i dati di EGMS, una volta individuate le aree interessate, per un monitoraggio più immediato dovranno essere implementati servizi come quello della Regione Toscana, che successivamente al 2018 sono stati adottati anche in altre aree, in Italia e all'estero.



BIBLIOGRAFIA

Ezquerro et al. (2020) Vulnerability assessment of buildings due to land subsidence using InSAR data in the ancient historical city of Pistoia (Italy). Sensors 20, 2749

Festa et al. (2022) Nation-wide mapping and classification of ground deformation phenomena through the spatia lclustering of P-SBAS InSAR measurements: Italy case study. ISPRS J. Photogramm. Remote Sens. 189, 1–22 (2022).

Medici et al (2024) InSAR data for detection and modelling of overexploitation‐induced subsidence in the industrial area of Prato.pdf Scientific Reports 14:17950

Raspini et al. (2018) Continuous, semi-automatic monitoring of ground deformation using Sentinel-1 satellites. Sci. Rep. https://doi.org/10.1038/s41598-018-25369-w

Raspini et al. (2019) Persistent scatterers continuous streaming for landslide monitoring and mapping: The case of theTuscany region (Italy). Landslides 16, 2033–2044.

mercoledì 18 dicembre 2024

Il terremoto M 7.3 delle isole Vanuatu del 17 dicembre 2024 e la complessa interazione fra la placca australiana e quella pacifica


Alle ore 1.47 UTC del 17 dicembre 2024 e quindi alle 12.47 locali, le isole Vanuatu sono state scosse da un terremoto M 7.3 che ha provocato parecchi danni ed è documentato da parecchi filmati. Il sisma è avvenuto in un’area in cui la placca australiana subduce verso est sotto a quella pacifica, proprio al di sotto dell'arcipelago delle Vanuatu (l'antico nome indigeno che ha sostituito la denominazione coloniale Nuove Ebridi). La fossa delle Vanuatu, a ovest dell'arcipelago, è l'espressione superficiale del fenomeno. Le repliche, come si vede qui sotto a destra, si stanno ancora susseguendo per un fronte di oltre 70 km, normale per una terremoto così importante.
L'area in cui si incontrano le placche australiana e pacifica è tra le più attive al mondo dal punto di vista sismico: non solo negli ultimi 100 anni si sono verificati 24 terremoti di magnitudo 7 o superiore entro 250 km da questo evento (il maggiore è stato l'evento di magnitudo 7,9 a circa 86 km a sud-ovest nel dicembre 1950), ma come si vede nella carta qui sotto a sinistra, tratta dall'Iris Earthquake Browser, in tutta l’area che congiunge la Nuova Guinea alla Nuova Zelanda (escluse) negli ultimi 25 anni ci sono stati 269 terremoti con M uguale o superiore a 6.5: più di 10 all’anno (quindi il 2024, che ha registrato solo 5 terremoti con M superiore a 6.5 è stato un anno “decisamente tranquillo” da quelle parti, pensate un pò... ).

a sinistra i terremoti con M 6.5 e oltre dal 1999
a destra l'evento principale in celeste e le prime repliche in arancione

UN TERREMOTO ALL'INTERNO DELLA PLACCA IN SUBDUZONE E NON AL LIMITE FRA LE PLACCHE. In questo breve post userò spesso il concetto di “slab”: per i non geologi in un contesto di scontro fra placche, quando una placca scende sotto l’altra, lo slab è quella parte della placca in discesa che si trova già sotto l’altra placca. Uno slab è ben riconoscibile perché gli slab sono le uniche aree dove troviamo terremoti profondi.
È interessante notare come la sua profondità collochi questo sisma al di sotto del limite delle placche australiana e pacifica nella regione del Mar dei Coralli, quindi all’interno dello “slab” della placca australiana in subduzione. I terremoti che si verificano come questo all'interno di una placca subdotta, anziché al limite fra le placche, sono definiti terremoti intraslab. Altri terremoti intraslab recenti con Magnitudo importanti sono ad esempio il terremoto M 8.0 del 26 maggio 2019 nel Perù settentrionale (ipocentro a 114 km) e quello M 7.1 del 19 settembre 2017 nel Messico (ipocentro a 57 km, come quello delle Vanuatu). Quindi più che a delle dinamiche “esterne” (la collisione fra le due placche), questo terremoto è causato da sforzi interni allo slab in subduzione. Il tensore dimostra come il movimento sia avvenuto lungo una faglia normale obliqua, spia del fatto che almeno in quella zona lo slab è sottoposto a tensioni: probabilmente la sua parte più bassa sta cercando di "tirare giù" la parte più in alto (il concetto di "slab pull").

LA COMPLESSA GEODINAMICA DEGLI ARCIPELAGHI DI VANUATU E TONGA. La geodinamica di quest’area è decisamente complessa e interessante. Tralasciando la Nuova Guinea, dove la complessità raggiunge un livello parossistico al punto tale che ho sempre e accuratamente evitato di parlarne, tra l'arcipelago delle Vanuatu (precedentemente note come Nuove Ebridi) e quello delle Tonga l’interazione fra la placca australiana e quella pacifica ha portato alla formazione di alcune microzolle che - sempre per semplicità - evito di citare: nel complesso sono note nel complesso come SW Pacific Assemblage e tanto per dire in Van de Lageemat et al 2018 ne sono elencate una ventina...


L'interazione provoca una collisione che avviene alla non indifferente velocità di 8 cm e mezzo all’anno, e come vediamo nella figura qui sopra, per di più presenta polarità opposte:
  • nell'area dell'arcipelago delle Vanuatu la placca australiana subduce sotto a quella pacifica
  • nell'area dell'arcipelago delle Tonga, al contrario, è la placca pacifica a subdurre sotto quella australiana
Inoltre a est delle Vanuatu si notano diversi archi “fossili” ormai non più attivi (indicati dalle frecce gialle).
Come nella carta dell'Iris Earthquake Browser, anche le sezioni ottenute tramite Submap (un simpatico tool prodotto dall'università di Montpellier) evidenziano come ci siano terremoti a profondità molto maggiore alle Tonga rispetto alle Vanuatu (dove non ne troviamo sotto i 300 km); altra differenza importante la vediamo nella tomografia che illustra la differenza fra le velocità fra onde P e onde S: la litosfera è più fredda sotto le Tonga che sotto le Vanuatu; addirittura se alle Tonga la placca pacifica fredda in subduzione è chiaramente visibile (colore blu), sotto le Vanuatu manca o quasi l’impronta termica dello slab. Questo avviene perché lo slab delle Tonga (e anche il mantello immediatamente a est della zona di subduzione) sono formate da crosta e litosfera oceanica molto più vecchia rispetto alle Vanuatu. Inoltre la profondità minore a cui arrivano i terremoti dimostra che la subduzione nelle Vanuatu è iniziata da poco tempo (meno di 10 milioni di anni), quando ha sostituito quella di uno degli archi precedenti. 

carta da Van de Lagemaat et al 2018 che evidenzia
il "SW Pacific Assemblage" tra la sutura di Vitiaz,
la Nuova Caledonia e le Tonga settentrionali

PERCHÈ QUESTA SITUAZIONE? Fino a una quindicina di milioni di anni fa, come si vede dalla carta di van de Lagemaat et al (2018) la subduzione della placca pacifica sotto quella australiana era continua e oltre al segmento NS delle isole Tonga, precedeva un segmento all'incirca orientato Est-Ovest  tra le Salomone, la cosiddetta sutura di Vitiaz. Poi però è successo che, al consumarsi della placca pacifica, un enorme plateau oceanico, quello di Ontong Java, che si era messo in posto sulla crosta del pacifico circa 120 milioni di anni fa, è arrivato nella zona di scontro fra le placche. Questa crosta è più leggera e quindi si è interrotta questa subduzione,. Permanendo lo scontro fra le placche, allora a sud della sutura di Vitiaz la polarità tettonica si è invertita, e così in quelle zone è adesso la placca australiana a scendere sotto quella pacifica (Dong et al 2022).

BIBLIOGRAFIA

Dong et al (2022) Joint Geodynamic-Geophysical Inversion Suggests Passive Subduction and Accretion of the Ontong Java Plateau Geophysical Research Letters, 49, e2022GL100744.

Van de Lagemaat et al (2018). Southwest Pacific absolute plate kinematic reconstruction reveals major Cenozoic Tonga-Kermadec slab dragging. Tectonics, 37, 2647–2674.