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| una sezione di un tronco di abete rosso che presenta le gallerie scavate da coleotteri |
Nelle Alpi del Nord-Est italiano a seguito della tempesta Vaia è scoppiata una pullulazione di un insetto, il bostrico, che sta provocando gravissimi danni al patrimonio boschivo alpino. Oltre al danno al patrimonio boschivo a cui le Autorità locali stanno cercando di fare fronte con diverse misure, un altro aspetto che va considerato è il degrado dei versanti: senza la copertura vegetale il poco suolo rischia di essere dilavato dalle piogge e nelle zone sottoposte al taglio degli alberi morti e/o malati si possono produrre delle frane, cosa che purtroppo ho già potuto appurare personalmente. Il rischio quindi è quello di un cambiamento totale nell’aspetto di interi, e non sempre ristretti, settori delle vallate alpine. Ovviamente le mie competenze forestali sono scadenti e quindi non posso che ringraziare l’amico dottore forestale Savero Lastrucci per le utili correzioni al testo sulla parte di sua competenza.
L’ABETE ROSSO E IL SUO NEMICO PER ECCELLENZA: IL BOSTRICO. L’abete rosso è onnipresente lungo le valli del nord-est italiano. Oltre al pregio estetico di un albero decisamente “bellissimo”, Picea abies ha un legname largamente usato nell’edilizia ed è particolarmente apprezzato per gli strumenti musicali, a cui conferisce una qualità del suono inarrivabile da altri legni specialmente quando si tratti di “legno armonico”; spiccano al proposito gli abeti di alcune zone come la Val di Fiemme, la quale ha l’indiscutibile onore di essere l’area di provenienza dei materiali usati da Antonio Stradivari per i suoi leggendari violini.
Purtroppo la popolazione di abete rosso delle Alpi orientali è in questo momento messa a dura prova da un insetto, il bostrico tipografo o bostrico dell'abete rosso (Ips typographus), noto in letteratura scientifica anche con il nome inglese di bark beetle: questo coleottero si nutre degli abeti rossi scavando delle piccole gallerie all'interno della corteccia, succhiandone la linfa.
In primavera i coleotteri maschi sopravvissuti all’inverno penetrano nelle piante e costruiscono una camera nuziale, in cui si accoppiano in genere con due-tre femmine. Queste scavano poi gallerie lunghe fino a 10-15 cm e parallele all’asse del tronco, dove depongono in media 80 uova, da cui escono delle larve che, nutrendosi, scavano anche esse delle gallerie di 5-6 cm sempre nell’area sottocorticale in cui passare la linfa; al termine dello sviluppo si trasformano in adulti, dando vita a una nuova generazione che potrà insediarsi su altre piante. Ciò può avvenire nello stesso anno, se le condizioni climatiche lo consentono (bisogna quindi sperare in estati che finiscono alla svelta), oppure nell’anno successivo se sopravvivono allo svernamento (e anche qui, le basse temperature non li aiuterebbero)
Un abete attaccata dal bostrico è irrimediabilmente condannato perché l’attività dell’insetto interrompe il flusso della linfa, portando inevitabilmente a morte la pianta in breve tempo.
L’infestazione potrebbe essere riconosciuta già all’inizio grazie all’emissione della rosura dal foro di ingresso (la polvere di legno scavato, proprio come succede nelle case con i tarli). Altri sintomi della infestazione in corso sono la caduta di aghi verdi e la perdita di resina, prodotta dalla pianta nel tentativo di difendersi dall’attacco.
Ci sono due fattori che purtroppo rendono difficile riconoscere il problema:
- le piogge cancellano la rosura alla base dell'albero
- è facile che l’attacco inizi nella parte più alta dell'albero
Per questo è frequente che le tracce del problema si evidenzino solo quando l’infestazione è ormai in uno stato già molto avanzato e quindi è troppo tardi per rimediare.
Normalmente il bostrico colonizza singole piante indebolite o sotto stress, ma essendone la popolazione cresciuta a dismisura ormai vengono attaccati anche alberi sanissimi. Inoltre non è stato ancora trovato un rimedio per combatterlo, come peraltro succede per la Xylella in Puglia. Ma a differenza della Xylella, arrivata dalle Americhe, il bostrico non è un nuovo infestante proveniente da chissà dove: era già un componente dell’ecosistema alpino con uno sviluppo contenuto e in equilibrio, spesso indirizzato verso piante già parzialmente sofferenti o deboli; la sua esplosione la si deve alla tempesta Vaia, che ha convolto il nord-est, e che ha fatto aumentare la disponibilità di “cibo” per questi coleotteri. La maggiore disponibilità temporanea di legname ha fatto aumentare innaturalmente questi insetti che, mancando poi risorse alimentari, hanno aggredito le piante sane provocando l’attuale squilibrio ai danni dei popolamenti forestali.
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| le "macchie" di abeti morti sono comuni nei versanti delle Alpi orientali, come qui, in una zona tra la Val di Fiemme e la valle dell'Adige |
L’ORIGINE DELL’INFESTAZIONE: LA TEMPESTA VAIA. Come qualcuno ricorda, tra il 27 e il 30 ottobre 2018 un’area depressionaria particolarmente profonda ha provocato una fase di maltempo addirittura peggiore di quella del 1966 nell’Italia di Nord Est. Lo scirocco ha scatenato piogge superiori ai 700 mm in 3 giorni, con le ovvie, conseguenti, alluvioni; quanto al mare Adriatico settentrionale, oltre alla forte mareggiata, queste sono le condizioni in cui i venti lo gonfiano e quindi a Venezia si è verificata una acqua alta paragonabile a quella del 1966.
Oltre all’Acqua Alta epocale, un altro aspetto tristemente noto della perturbazione sono stati i venti: una serie continua di raffiche con velocità superiore ai 200 km/h che hanno causato ingenti danni sulle Alpi orientali, in particolare al patrimonio boschivo, una grossa fetta el quale è rappresentata dalle conifere. Queste piante, in maggioranza abete rosso, non sono certo state aiutate dal loro apparato radicale, poco profondo ma soprattutto ben esteso orizzontalmente (in rete si trovano immagini e filmati terrificanti). Le piante, abbattute, sono a lungo rimaste sul terreno e quindi hanno costituito un ambiente ideale per la proliferazione incontrollata del bostrico, che quindi si è diffuso a dismisura. Oggi in tutto il Trentino, l’Alto Adige e il Friuli anche uno spettatore disattento riconosce immediatamente le aree colpite: in mezzo alle distese di abeti rossi si vedono chiazze più o meno grandi di alberi secchi o aree già disboscate dove le piante malate e/o morte sono state tagliate nei versanti.
A questo proposito, quella del taglio e del disboscamento è una questioni delicata e complessa: non sempre è un bene tagliare le piante morte, mentre al contrario in altre situazioni talvolta vengono tagliate anche piante sane. Al proposito proclamo la mia incompetenza in materia e quindi non posso (né voglio) entrare in un dibattito che compete solo ed esclusivamente al mondo forestale e non al sottoscritto. Dove gli abeti sono stati tagliati, evidentemente c’erano le condizioni per farlo.
LE PROSPETTIVE. Sembra che adesso, dopo 6 anni, l’infestazione sia diminuita, in analogia con l’andamento di altri episodi di pullulazioni del bostrico che caratterizzano i paesi centro-europei, guarda caso anche queste innescati da fenomeni che hanno abbattuto abeti rossi: gli episodi durano in media 5-6 anni, con la massima infestazione nel 2° e 3° anno e una riduzione progressiva in quelli successivi. Ovviamente un po' giocano i predatori (anche il Bostrico per fortuna ne ha, sono diversi e probabilmente a loro volta stanno godendo della situazione), ma anche le condizioni climatiche.
Siccome nella lotta contro il coleottero gli abeti sono aiutati da bassa temperatura ed estati umide, la lotta in Italia è più complessa proprio a causa del clima: temperature più alte comportano un maggiore tempo di attività estivo dell’insetto e una minore mortalità invernale; inoltre gli abeti sarebbero favoriti da estati umide come quelle dell’Europa Centrale, mentre nel versante italiano l’influenza del clima mediterraneo provoca spesso dei periodi siccitosi ben più graditi dai coleotteri che dalle piante, la cui resistenza, appunto, è maggiore in caso di estati fresche e piovose.
Per fortuna nelle Alpi le più recenti condizioni climatiche hanno ridotto la durata della fase di espansione.
Insomma, ottimisticamente si può dire che:
1. la fase acuta dell’infestazione è già passata (lo dimostrano i dati, confortati dalla casistica analoga)
2. ma che, purtroppo, il problema è ancora in atto e che a causa del clima durerà ancora, per un tempo maggiore che negli eventi analoghi a nord delle Alpi.
RIMEDI. Qui per fortuna di abeti ce ne sono tantissimi e quindi la loro scomparsa non è all’ordine del giorno, ma in ogni caso vediamo ancora una volta qual’è uno dei problemi maggiori delle monoculture: basta che si diffonda incontrollatamente un parassita (già presente o importato, cosa questa purtroppo molto facile oggigiorno, come dimostra il caso Xylella ) e sono dolori. Ovviamente Picea abies non potrà essere sostituito, per questioni paesaggistiche (il connubio Abete rosso – paesaggio è ormai troppo radicato) ed economiche (difficilissimo sostituirlo per edilizia e strumenti musicali), però a questa pianta dovranno essere affiancate altre specie che non vengono attaccate dal malefico coleottero, per esempio il larice (sperando che non si adatti e diventi “bravo” ad attaccare anche queste). Ma gli enti preposti, per esempio nella Provincia di Trento, stanno pensando anche alla prospettiva di impiantare specie arboree diverse, che meglio si adatteranno ai cambiamenti climatici in corso.
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| alcuni esempi di dissesti dovuti all'abbattimento di abeti morti tra Val di Fiemme e val di Fassa |
IL BOSTRICO È ANCHE UN PERICOLO PER L’EQUILIBRIO DELL’ASSETTO IDROGEOLOGICO. I versanti alpini sono spesso acclivi, e con un suolo non troppo spesso. Queste condizioni favoriscono le conifere le cui radici si estendono orizzontalmente e non vanno in profondità rispetto a quelle delle angiosperme.
Ma l’eventuale taglio delle piante malate, morte o che stanno per essere attaccate comporta anche una grave conseguenza nell’assetto del territorio: nei versanti che così diventano direttamente esposti agli agenti atmosferici aumenta la possibilità che si verifichino delle frane (lo stesso avviene anche in caso di versanti interessati da gravi incendi boschivi). Queste frane porterebbero via una gran parte del suolo e il resto verrebbe dilavato dalle prime piogge. Ne ho già viste alcune passando per le valli di Fiemme e di Fassa.
Inoltre la forte disponibilità di luce al suolo dopo il taglio favorisce il rapido sviluppo di vegetazione erbacea o arbustiva concorrente, che può ostacolare la germinazione e lo sviluppo delle plantule di rinnovazione e non ha le stesse capacità di trattenere il suolo.
Si rende quindi necessaria una immediata riforestazione delle aree dei versanti che sono state sottoposte al taglio degli abeti, per non rendere quei versanti privi di suolo: in questo caso la vegetazione dei versanti si trasformerebbe in un insieme di piante pioniere (in genere arbusti e non alberi), con un cambiamento paesaggistico ed ecologico drammatico.
























