giovedì 18 settembre 2025

un nuovo modello spiega la dinamica e la forte sismicità nell’Oceano Atlantico davanti alla penisola iberica


La forte, sia pure saltuaria, sismicità nell’Oceano Atlantico davanti alla penisola iberica è stata sempre un mistero fino a pochi decenni fa, quando finalmente fu chiaro che il contesto fosse quello di una debole convergenza fra la placca euroasiatica e quella africana. Stabilito il contesto generale, la descrizione più particolareggiata è stata un problema perché fra blocchi anomali profondi, mancanza di deformazioni superficiali che tenessero conto della sismicità ed altro era difficile venre a capo della situaizone. Oggi, finalmente, un team diretto da Joao Duarte è ruscito ad ottenere un modello credibile della situazione: la chiave è la presenza di una seconda zona di frattura, la Tyderman, parallela al limite di placca. Tra le due fratture si individua un blocco di mantello che si muove e determinerà entro qualche decina di milioni di anni la formazione di una vera nuova zona di subduzione lungo la quale la placca euroasiatica scorrerà sotto quella africana

Duarte 2025: il margine iberico con lae zone di frattura Gloria e Tydeman 
e gli epicentri dei terremoti più forti
Il 1° novembre 1755 è la data del più forte terremoto avvenuto in Europa in tempi storici, la cui Magnitudo è stata recentemente stimata in 8.7. Oltre ai danni del violento scuotimento del terreno, A Lisbona tra scuotimento del terreno, incendi coseguenti e soprattutto lo tsunami che flagellò le coste di mezzo Oceano Atlantico fu distrutto l'85% degli edifici della città. Al terremoto del 1755 bisogna poi aggiungere quelli del 1356 e 1761 e gli eventi che hanno causato i diversi tsunami ricordati nell’area a partire dal periodo intorno a quello delle guerre puniche (prima metà del III secolo a.C.).
Terremoti del genere sono tipici delle fasce dove si scontrano fra loro due placche tettoniche e una delle due scende sotto l’altra nelle profondità del mantello (la subduzione). Il terremoto del 1755 e i suoi gemelli sono stati un enigma all’inizio degli studi sulla tettonica a placche: il limite fra la placca euroasiatica e quella africana (detto in termini semplificati, in realtà il limite Eurasia – Africa è contrassegnato da entrambe le parti da una serie di microplacche) non presenta le caratteristiche tipiche di uno scontro fra placche, come ad esempio lungo l’anello di fuoco che circonda il Pacifico o lungo le coste meridionali dell’Indonesia.

I TERREMOTI REGISTRATI INIZIANO A DIPINGERE IL QUADRO. MA CI SONO DEI PROBLEMI. Grazie alla sismologia strumentale sono stati registrati 3 terremoti nella parte più occidentale del limite fra le placche, più verso le Azzorre: i terremoti M 7.1 del 1931 e M 8.4 posti lungo il limite di placca e M 8.1 nel 1975; quest’ultimo è avvenuto lungo la zona di frattura Tyderman, parallela al limite di placca. Questi eventi sono trascorrenti, come è facilmente ipotizzabile dal contesto, ma ancora non c’era nessuna idea su come potessero originarsi terremoti come quello del 1755 e i suoi gemelli.
Poi due terremoti molto forti, il M 6.4 del 1964 e soprattutto nel 1969 il violento terremoto M 7.9 di Capo San Vincente, sono stati interpretati il primo da McKenzie (1972) e il secondo da Fukao (1972) come eventi causati da una tettonica compressiva ed è stata finalmente concepita l’idea secondo la quale la sismicità davanti alle coste europee e africane fosse l’espressione di un limite compressivo fra la placca euroasiatica e quella africana.
In un fiorire di questi studi pionieristici ci sono altri due lavori fondamentali: Purdy (1975) avanzò l’idea che il terremoto del 1969 fosse stato generato da una compressione sotto la pianura abissale di Horseshoe, lungo un piano immergente verso nord e che quella situazione fosse la spia di un “consumo” di litosfera oceanica come nelle zone di subduzione. In seguito Sartori et al (1994) grazie ad una campagna di immagini sismiche a riflessione hanno rivelato un complesso schema di deformazione compressiva che coinvolge la litosfera oceanica mesozoica, dovuta ad una lenta convergenza delle placche su un'area che si estende per 200 km dalla dorsale di Gorringe alla pianura abissale Seine, davanti alle coste marocchine. Il Gorringa ridge in effetti è un blocco di crosta oceanica e mantello superiore che è stato sollevato e forma una dorsale lunga 120 km e alta 5. È stato quindi facile pensare al Gorringa Ridge come effetto della compressione in atto, causata dalla ormai accettata convergenza di oltre 1 cm/anno fra le due placche.
Restavano però due problemi di non trascurabile importanza:
  1. tutte le faglie mappate a livelli crostali più superficiali si presentano inclinate verso sud, proprio come quella del Gorringe settentrionale e cioè, alla rovescia rispetto a questo ipotetico piano di faglia
  2. inoltre, come è possibile l’esistenza di una faglia talmente importante e attiva da essere capace di generare eventi sismici di magnitudo molto elevata, tipici delle zone di subduzione, al di sotto di una piana abissale ricoperta da sedimenti pressoché indisturbati?

UN BLOCCO DI MANTELLO SOTTO LA PIANA ABISSALE HORSESHOE. La tomografia sismica conferma l'esistenza della "anomalia sismica a SW della penisola iberica": si tratta di una estesa sezione della litosfera caratterizzata da alta velocità delle onde sismiche che si estende fino a una profondità di 250 km, ed era già stata precedentemente rilevata al di sotto della pianura abissale di Horseshoem (Gutscher, 2002). Quando questa anomalia fu scoperta, fu facile spiegarla come la traccia di un blocco di crosta e litosfera in subduzione. Ma questo non è possibile, perché implicherebbe più di 200 km di raccorciamento crostale a largo della penisola iberica sud-occidentale, contraddicendo i dati, per i quali il raccorciamento massimo è di di 20–50 km.
E a questo punto, come negli anni ‘70, i terremoti sono venuti incontro ai ricercatori. In questo caso è stato localizzato sotto la Piana Abissale di Horseshoe un gruppo di terremoti a profondità di 20-60 km (Silva et al, 2017); tutto molto interessante e nel contempo molto strano: nella crosta e nel mantello oceanico i terremoti si producono in genere a bassa profondità, mentre qui a profondità inferiore ai 20 km di terremoti ce ne sono pochi. Il tutto suggerisce un disaccoppiamento meccanico tra due parti del mantello, quella superiore, spessa una ventina di km di profondità molto alterata (serpentinizzata), al di sotto della quale troviamo mantello non serpentinizzato. Inoltre nella piana abissale Horseshoe il mantello serpentinizzato affiorebbe direttamente sul fondo oceanico se non ci fossero tra i 5 e i 10 km di sedimenti; in altre parole, lungo il margine iberico dell’Oceano Atlantico manca la crosta basaltica; invece a sud del limite di placca, nel dominio africano, è presente una sottile crosta oceanica basaltica. La mancanza di crosta basaltica è una caratteristica “normale” del margine iberico della placca euroasoatica, perché quando è iniziata l’estensione che ha aperto l’Oceano Atlantico qui di magmi ce ne sono stati davvero pochissimi e il processo è stato guidato solo dalla attività tettonica.
L’esito della alterazione del mantello (la serpentinizzazione) è stato quello di avere una parte superiore più debole (appunto quella serpentinizzata) e la convergenza, anche se a bassa velocità, fra Eurasia e Africa sta provocando la delaminazione, ovvero il disaccoppiamento fra la parte superiore del mantello, serpentinizzata e qualla inferiore che non lo è.

il modello di Duarte et al (2025) 
IL NUOVO MODELLO SPIEGA LA SITUAZIONE. Duarte et al (2025) hanno modellizzato la situazione, verificando come sia proprio la presenza delle due zone di frattura parallele ad influenzi pesantemente il contesto tettonico, perché in un primo modello, con soltanto il limite fra le due placche coinvolto la zona debole verticale si trasforma in una zona di subduzione incipiente, con la placca più sottile (Eurasia) che subduce verso sud sotto quella più spessa (Africa), con i circa 200 km di spostamento, che appunto non si osservano.
Invece nel modello con due zone deboli verticali che si vede qui accanto (FIGURA A, riferita a quando è iniziata la convergenza fra le placche), si verifica qualcosa di diverso e inaspettato, come da FIGURA B, che presenta una situazione simile a quella attuale: il blocco limitato dalle due zone deboli sprofonda spostandosi verso nord, sotto la placca eurasiatica: lo strato serpentinizzato debole suborizzontale si ispessisce e accoglie la maggior parte del raccorciamento, separando notevolmente la deformazione profonda dalla crosta. Ci sono tre aspetti importanti che rendono molto realistico il modello:
  1. il raccorciamento avviene lungo una nuova faglia principale, che immerge verso nord, che è quella dove dovrebbero avvenire i terremoti più forti (sicuramente quello del 1969, ma a cascata anche quelli storici come quello del 1755 e i suoi gemelli).
  2. sopra la faglia immergente a nord la crosta sedimentaria rimane relativamente piatta ma la sua deformazione forma un sovrascorrimento a basso angolo che immerge verso sud, in una posizione simile a quella della faglia di Gorringe
  3. il modello funziona utilizzando i parametri caratteristici dell'area (fratture, spessore del mantello serpentinizzato e non, velocità di convergenza etc etc). Se qualcuno di essi viene cambiato partendo dal periodo indicato dalla figura A, la situazione attuale e la sua evoluzione sono completamente differenti dlla situazione attuale della figura B e, ovviamente, dal futuro

LA POSSIBILE EVOLUZIONE FUTURA DEL SISTEMA. Il modello esplora anche quello che potrebbe succedere in futuro:
  • nella FIGURA C il blocco delaminato continua ad affondare anche solo perché è più pesante di quello che lo circonda
  • nella FIGURA D vediamo cosa può succedere se continua la convergenza fra le placche: fra 30 milioni di anni si attiva una nuova subduzione, con la placca europea che scende sotto quella africana.

L’INIZIO DI UNA SUBDUZIONE. Fra gli enigmi ancora aperti nella tettonica a placche c’è non solo in generale il momento in cui sulla Terra iniziò questo processo; fra essi c’è anche – banalmente – come faccia ad iniziare una subduzione. Le zone di subduzione attuali, come l’anello di fuoco che circonda il Pacifico, sono mature, quindi è fondamentale trovarne di nuove in formazione anche se bene o male in molte fasce orogeniche è relativamente facile sapere quando il processo è iniziato e perché. Il come è un po' più difficile.
Il caso dell’India è quello – diciamo così – più clamoroso per dimostrare come sia difficile l’inzio di una subduzione: sono ormai 50 milioni di anni che il subcontinente indiano si sta incuneando nell’Eurasia, provocando una sismicità diffusa lungo delle vecchie suture fra i blocchi che scontrandosi fra loro hanno costruito l’Asia centrale e orientale; invece sul bordo orientale dell’India, lungo il golfo del Bengala, dove c’è il limite fra crosta continentale e crosta oceanica, ci sono pochissimi sforzi. Insomma, è più difficile che si formi una nuova subduzione nonostante l’enorme resistenza che l’India incontra incuneandosi in Asia. 
Qui, a largo di Gibilterra, i forti terremoti e le ricostruzioni tettoniche indicano una collisone fra le placche, ma non esistono tratti distintivi di un quadro del genere, come una fossa oceanica o un arco magmatico. Tutto questo indica proprio che da quelle parti si sta formando una nuova subduzione, che potrebbe collegarsi con quella di Gibilterra, prolungando dentro l'Oceano Atlantico l'orogene Appenninico - Maghrebide.

L’UNICITÀ DI QUESTA SITUAZIONE. La mancanza di altri esempi evidenti a livello mondiale suggerisce che un processo come questo possa verificarsi solo in condizioni molto specifiche: una litosfera oceanica antica, spessa e serpentinizzata, dove all’epoca della formazione del margine non ci sono stati importanti apporti magmatici. Quindi è caratteristico soltanto di vecchi margini oceanici che si sono formati ed inoltre il processo non è facilmente rilevabile in superficie.
Quindi si potrebbe applicare solo a poche situazioni. Mi vengono in mente l’inizio della chiusura della Tetide nel mesozoico oppure l'invasione nell'oceano di una zona di subduzione lungo un margine continentale; questo secondo caso potrebbe essere successo magari con l'orogenesi caledoniana e la chiusura dell'oceano di Tornquist,

BIBLIOGRAFIA

Duarte et al (2025). Seismic evidence for oceanic plate delamination offshore Southwest Iberia. Nature Geoscience, https://doi.org/10.1038/s41561-025-01781-6

Gutscher et al (2002). Evidence for active subduction beneath Gibraltar. Geology 30, 1071–1074

Fukao (1973). Thrust faulting at a lithospheric plate boundary: the Portugal earthquake of 1969. Earth and Planetary Science Letters 18, 205-216.

Lo Iacono et al (2012). Large, deepwater slope failures: Implications for landslide-generated tsunamis. Geology 40, 931–934

McKenzie (1972). Active tectonics of the Mediterranean region. Geophysical Journal International 30, 109-185

Sartori et al (1994). Eastern segment of the Azores-Gibraltar line (central-eastern Atlantic): An oceanic plate boundary with diffuse compressional deformation. Geology, 22,555-558

Silva et al (2017). Micro-seismicity in the Gulf of Cadiz: is there a link between micro-seismicity, high magnitude earthquakes and active faults. Tectonophysics 717, 226–241



giovedì 11 settembre 2025

Le piogge in Toscana di martedì 9 settembre 2025 e il problema dell’estensione delle aree di allerta


L'allerta meteo in Toscana per martedì 9 settembre 2025 è una dimostrazione di come normalmente le aree interessate da questi provvedimenti si rivelino ben più estese di quelle dove in effetti succede qualcosa. Vale soprattutto per le allerte "gialle" o "arancioni". Nel caso toscano ci sono state precipitazioni molto intense in zone estremamente ristrette (addirittura interessate da allerta gialla) ed è chiaro che l'attuale stato dell'arte della ricerca non permetta di risolvere estensioni così limitate. La questione importante è che nella stragrande maggioranza dell'area interessata è successo veramente poco (come, appunto, succede di solito), e che a livello di opinione pubblica questo sia considerato un falso positivo. Il rischio è che la popolazione si assuefaccia e prenda sottogamba la questione oppure ancora protesti per i provvedimenti adottati. Inoltre molti siti meteo forniscono previsioni specifiche comune per comune questi siano "più bravi" della Protezione Civile e di qualsiasi altra organizzazione pubblica che si occupi di meteorologia. Purtroppo chi non conosce le dinamiche delle allerte non è in grado di capire perché vengano adottati certi provvedimenti. a partire dalla chiusura delle scuole e dalla sospensione di varie manifestazioni. Onde evitare che monti la sfiducia nei confronti del sistema di Protezione Civile (anche grazie ai soliti tribuni che guardano alla pancia anziché alle conseguenze delle loro azioni) penso sia necessaria una ampia opera di comunicazione da parte della Protezione Civile (o di chi per essa).

IL PROBLEMA FONDAMENTALE: IL CONCETTO DI ALLERTA, A PRESCINDERE DAL COLORE. Spesso si trova chi pensa (anzi ritiene un dato di fatto) che a fronte di quantitativi industriali di allerte arancioni, in genere è già tanto se piova e che spesso gli unici eventi che hanno causato danni di un certo rilievo si sono verificati in stato di allerta gialla.
Queste convinzioni nascono da una non conoscenza della questione, cioè di come funzionano il sistema di previsioni meteorologiche e quello delle allerte. Perché non è che con l’allerta gialla non succeda niente, semplicemente c’è la possibilità che in un’area molto localizzata succeda un guaio, con appunto i sunnominati “danni di un certo rilievo”. Idem con l’allerta arancione: non è detto che piova dappertutto e forte nell’area indicata in arancione; anzi, in generale non è così, come appunto faccio notare in questo post. Ma quando l’allerta è arancione è molto difficile, almeno in Toscana, che non succeda niente; in genere fa davvero guai almeno in un’area ristretta.

PRECISIONE SPAZIALE DELLE PREVISIONI. Inoltre ricorderei anche due problemi importanti:
1. PROBLEMA SCIENTIFICO: le previsioni del tempo sono "probabilistiche" e non "deterministiche" e allo stato dell'arte attuale non è possibile che siano più precise di quanto lo sono, specialmente nello spazio (diciamo che è più evidente ua previsione sbagliata nello spazio, mentre se la precipitazione comincia alle 14 anzichè alle 15 la cosa viene sentita meno). Certo, alle volte si verificano degli errori e sia i “falsi positivi” (noti come flop) che i “falsi negativi” danneggiano agli occhi dell’opinione pubblica la credibilità del sistema. 
2. LE COSIDDETTE PREVISIONI LOCALI DEI SITI METEO: purtroppo un po' di colpa è anche dei siti meteo, una buona parte dei quali notoriamente considero personalmente solo delle macchine acchiappaclick per allodole tramite pagine che sparano titoloni. Ma il problema, presente ahimè anche in alcuni fra i (pochi) siti autorevoli che esistono (e che consulto), è il vizio di fornire in dettaglio per ogni ora e località i mm di pioggia. Pertanto una grossa fetta dei loro utenti ritiene credibili queste previsioni, e si stupisce che le previsioni su cui sono basate le allerte non abbiano tale precisione e, soprattutto sono portati a pensare che che chi lavora in questi siti sia "più bravo" di coloro che lavorano alla Protezione Civile e in qualsiasi altra organizzazione pubblica che si occupi di meteorologia. 


GLI EVENTI IN TOSCANA DEL 9 SETTEMBRE. Quello che è successo in Toscana martedì 9 settembre è particolarmente esplicativo al riguardo e dimostra come, almeno in quel caso, una previsione per singola località sia quantomeno estremamente difficile. Vediamo 4 casi:
1. CARRARA. Nella carta 1 vediamo le piogge della notte fra lunedì e martedì tra le 1.00 e le 5.00 nella zona di Carrara: a fronte di un valore intorno agli 80 mm fra Sarzana e Massa sulle pendici delle Apuane si sono registrate precipitazioni maggiori, addirittura doppie. Per fortuna il reticolo fluviale della provincia di Massa è – come quello ligure – capace di assorbire piogge del genere e quindi i fiumi non sono neanche arrivati al livello di guardia (altrove, anche in Toscana, piogge del genere avrebbero causato ben altri danni). Inoltre, se a Massa sono caduti 80 mm di pioggia, a Seravezza - distante appena una decina di km verso sud - sono caduti appena 20 mm. Da notare che la zona di allerta dove è avvenuto questo evento, contrassegnata con "V" è la Versilia (zona che non comprende i comuni - tipicamente versiliesi - di Viareggio, Massarosa e Seravezza, ma include in provincia di Massa quelli di Massa, Carrara e Montignoso). Da notare che la zona di allerta Versilia era interessata da una allerta "gialla" e non "arancione"
2. PORTOFERRAIO. Nella carta 2 vediamo quello che è successo nel pomeriggio all’Elba: l’isola si estende in direzione EW per circa una trentina di km e nella sua parte orientale sono caduti da 90 a 120 mm di pioggia in due ore e mezzo, mentre nella punta occidentale la precipitazione è stata di appena 5 mm
3. VALDARNO INFERIORE. Nella carta 3 una pioggia estremamente forte (quasi 80 mm) si è abbattuta su Montopoli, mentre intorno nello stesso periodo i valori sono stati contenuti in 20 mm (addirittura zero a Pontedera, una dozzina di km più a W)
4. ISOLA DEL GIGLIO. Nella carta 4 la sera di martedì è caduta una pioggia fortissima all’isola del Giglio, mentre all’Argentario e alla Gorgona non è praticamente piovuto. Se ci fossero stati dei pluviometri nel mare tra Elba e Giglio, questi avrebbero presentato sicuramente valori importanti, ma lungo la costa le precipitazioni sono state molto limitate

ZONE DI ALLERTA E ZONE DI PRECIPITAZIONI INTENSE. Martedì 9 settembre c’era l’allerta gialla a Carrara, l'allerta arancione negli altri tre casi ma chiaramente come si vede dalla carta delle precipitazioni delle 24 ore la popolazione della maggior parte dell’area interessata potrebbe aver pensato “ma che l’hanno fatta a fare l’allerta arancione?” Insomma, ci può essere stata la sensazione di una allerta che in realtà è stata considerata un falso positivo (un flop).
All’Elba avrebbero pensato così a Pomonte, mentre al contrario a Portoferraio qualcuno avrà pensato che “avrebbero dovuto mettere l’allerta rossa” e a Carrara avranno pensato che il colore giusto fosse almeno l'arancione.

I PROBLEMI PRATICI DELLE ALLERTE. La domanda è: sarebbe stato possibile fare delle previsioni così accurate, separando l’Elba orientale da quella occidentale o la zona di Massa da quella di Seravezza e ipotizzare che una pioggia così forte avrebbe colpito Montopoli, lasciando indenne Pontedera, precisando quei pochi millimetri nelle aree circostanti? Oppure che piovesse così tanto al Giglio ma niente all’Argentario?
La risposta è NO.
Proclamare un'allerta ha i suoi problemi anche per i cittadini, non solo per il sistema di Protezione Civile: provvedimenti come chiusura delle scuole (con i relativi disagi per molti genitori), la non effettuazione del mercato settimanale, la chiusura di parchi pubblici e sottopassi, il divieto generale di manifestazioni dei più diversi generi e altri provvedimenti che non sto ad elencare hanno un impatto nella vita quotidiana.
Quindi si rende necessaria un’opera di sensibilizzazione della popolazione: ieri in Toscana la percentuale di popolazione per la quale l’allerta pare stata esagerata (quindi un falso positivo) è stata sicuramente superiore a quella che ha avuto dei problemi (e anche grossi, a Portoferraio). E siccome ovviamente si tratta di una caratteristica intrinseca dell’allerta arancione nell’attuale “stato dell’arte” della meteorologia, ne consegue che la “gggente” continuerà a pensare che le allerte siano paragonabili alla classica situazione di “al lupo a lupo” e questo comporta il rischio che molti cittadini se ne freghino altamente di quando vengono proclamate (e ignorarle può essere molto, ma molto pericoloso, a cominciare dal transitare nei sottopassi) e protestino perché viene rinviata la sagra paesana. Ho addirittura letto commenti nei quali le allerte sarebbero un modo “creativo” di chi ha qualche responsabilità per togliersela e pararsi da critiche, sia pubbliche che mosse in tribunale.
Da ultimo si deve riflettere su un aspetto non marginale: oltre alle vittime inutili (tipo quelli che sono andati a “salvare la macchina” o a prendere i soldi nascosti in cantina) succede che ci siano vittime lungo i fiumi in aree dove, pur esistendo l’allerta non è piovuto, però situate a valle di aree dove è piovuto. Questo succede specialmente in bacini di media dimensione, dove le piene arrivano veloci e la mancanza di piogge locali toglie completamente la percezione di un problema in arrivo.

LA NECESSITÀ DELLA FORMAZIONE DELLA POPOLAZIONE. Insomma, il sistema di Protezione Civile funziona, anche se come ogni cosa è perfettibile. Funziona molto meno la percezione delle allerte nella popolazione, anche per gli evidenti disturbi e disservizi che provocano e su questo ci sarà parecchio da fare nell’immediato futuro. Questo ovviamente per far capire come si arriva a provvedimenti del genere e responsabilizzare la cittadinanza, Ma anche per evitare il moltiplicarsi di personaggi e di siti che per i più vari motivi cerchino di sobillare e cavalcare l'eventuale malcontento prima che il problema inizi a sfuggire di mano. 
Nella formazione ci sarebbe comunque da parlare anche di un'altra questione e cioè che ià adesso il primo problema, da quando ci sono gli smartphone che trasmettono immagini e filmati di un evento in corso, è che la Protezione Civile arriva sempre "dopo".  

martedì 9 settembre 2025

Il mondo scientifico inizia a coordinarsi depo le mazzate inferte dall’amministrazione Trump: gli schiaffi nel settore sanitario e climatico e la rinascita del sito climate.gov in altre spoglie.


Parlo malvolentieri di politica, ma qui non potevo stare zitto, visto l’attacco alla Scienza portato dall’amministrazione Trump. Dopo i licenziamenti di massa e il cambio di orientamento politico che hanno caratterizzato l’inizio dell’amministrazione Trump nei confronti della Scienza, in particolare in settori come clima, energia e ambiente, il mondo scientifico sta iniziando una reazione, anche se ancora poco organizzata. Si registrano anche le prime reazioni politiche soprattutto nella West Coast. Fra le iniziative più interessanti sulle questioni climatiche c’è il tentativo di ripristinare sotto altro indirizzo il portale climate.gov che è stato oscurato, sostituendolo con climate.us 

Oltre ad una generale riduzione, se non annullamento tout court, di finanziamenti pubblici a enti di ricerca e università per non parlare dei licenziamenti di centinaia di ricercatori, è noto come i due settori maggiormente colpiti siano quello sanitario e quello climatico.
IL SETTORE SANITARIO sconta il significativo aiuto alla rielezione del tycoon da parte dell'eroe dei novax Robert F. Kennedy jr, il quale ritirandosi dalla campagna elettorale ha concesso il suo elettorato complottista a Trump. Ne sta seguendo una orrida e assurda lotta contro la ricerca medica in generale e contro i vaccini in particolare, con gli ovvi rischi per l’Umanità intera, a cui il settore medico-sanitario tenta di opporsi con scarso successo nei confronti dell’establishment, talvolta anche con iniziative bipartisan. Solo di recente si conta la goffa richiesta da parte del ministero alla rivista Annals of Internal Medicine di ritrattare un articolo sull’idrossido di alluminio nei vaccini non rispondente ai demenziali principi dell’ineffabile Bob (richiesta che l'illustre rivista si è ovviamente guardata bene dall'accontentare) e la reazione dei nove ex direttori ancora viventi del Centers for Disease Control and Prevention (la CDC) al siluramento della attuale presidente Susan Monarez, una validissima scienziata sostituita da un incompetente novax. I nove accusano Kennedy Jr di mette a rischio la salute degli americani. Inoltre giunge ora notizia che gli Stati del Pacifico (California, Oregon e Washington) preoccupati della deriva illogica e antiscientifica della CDC, si stiano organizzando per fondare una loro autonoma CDC, una West Coast Health Alliance, che come afferma esplicitamente una pagina del sito dello Stato di California sosterrà l’integrità scientifica nella sanità pubblica mentre Trump distrugge la credibilità del CDC

L’altro settore superpenalizzato è quello della climatologia, che ha l’indiscutibile difetto, dal punto della mentalità malata di Trump, di parlare della importanza della componente antropica nei cambiamenti climatici e della necessità di diminuire (anzi, possibilmente di azzerare, le emissioni di CO2). Trump è per lo sfruttamento senza pietà del territorio per estrazione di idrocarburi e carbone con il famoso motto drill, baby, drill e contro le energie alternative. La stretta dei contributi alle rinnovabili e il blocco di un importante progetto eolico sulle coste del Rhode Island sono fra le ovvie conseguenze di questa politica. 
I petrolieri però hanno un problema: nonostante la spada di Damocle delle minacce iraniane sulla chiusura dello stretto di Hormuz, in quest mesi il prezzo del Brent è piuttosto basso (tra 650 e 70 $ al barile), e anche per i produttori di carbone non va benissimo); se a questo si aggiunge la prestazione non eccelsa del dollaro, non è che le cose vadano benissimo per la categoria (a meno che le major del settore non approfittino della situazione per assorbire piccoli produttori in gravi difficoltà finanziarie). E di fatto non è che il numero di pozzi attivi negli Usa stia aumentando, tutt’altro. Vedremo se l'OPEC aumenterà i tagli alla produzione, però dal loro punto di vista la domanda è perché noi di OPEC dovremmo tagliare e gli USA no? E oltretutto prima o poi ritorneranno nel commercio le produzioni di Paesi attualmente in difficoltà politiche come Libia, Iran e Venezuela. Insomma, difficilmente con i bassi ricavi attuali le major americane possono permettersi nuove perforazioni, in particolare in aree offshore tipo il golfo del Messico (no, golfo di America, secondo Trump)  o con difficoltà logistiche come le piattaforme dell'Alaska, piaccia o non piaccia al presidente. 

la produzione di petrolio USA è in aumento ma con un numero di pozzi attivi minore
e i prezzi dei combustibili fossili sono bassi, diminuendo i guadagni delle aziende estrattive:
i prezzi degli ultimi 12 mesi e nei riquadri l'andamento degli ultimi 10 anni

il documento del DOE e la risposta dei ricercatori
L’ASSURDO DOCUMENTO SUL CLIMA DEL DIPARTIMENTO DELL’ENERGIA E LA REAZIONE DEGLI SCIENZIATI. Il mondo scientifico intorno al clima non può tacere sulle idiozie galattiche scritte sul rapporto di 150 pagine dell'amministrazione, pubblicato sul sito web del Dipartimento dell'Energia (DOE) a fine luglio, allo scopo di sostenere la proposta di annullare l'Endangerment Finding del 2009, la base giuridica di numerose normative federali sui gas serra. Questo rapporto è alla base del  recentemente approvato Big Beautiful Bill, che ha eliminato i crediti d'imposta per l'energia pulita e aperto le aree ecologicamente sensibili alle perforazioni. Tra le malefatte di Trump in materia si possono annotare per esempio il ritiro (peraltro scontato) degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi, il programma di vendita all’estero di combustibili fossili made in USA (ad esempio chiedendo all'UE di acquistare più gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti in un accordo commerciale) e le pressioni sulla Banca Mondiale affinché riduca la sua attenzione sul clima.

LA PRIMA REPLICA DEL MONDO SCIENTIFICO ALL'INDECENTE RAPPORTO
. Già a metà di agosto è apparsa una replica da parte di alcuni scienziati, che viene riassunta nella immagine a destra dove si vedono tutte le pagine del rapporto, ad eccezione di 
prime pagine, pagine di riferimento e  pagine di glossario, che  sono state omesse (NB: le pagine possono contenere più di un'affermazione falsa o fuorviante)
  • le pagine del rapporto del DOE evidenziate in rosso contengono affermazioni false
  • quelle evidenziate in arancione contengono affermazioni fuorvianti. 
  • le pagine non colorate rappresentano parti del rapporto che sono state dichiarate accurate dall'autore citato o che non hanno ricevuto alcun commento dagli esperti invitati. 
Il 2 settembre 2025 il rapporto del DOE è stato definito "una presa in giro della scienza" in una seconda replica di 440 pagine (Dessler, A.E. and R.E. Kopp -Eds, 2025), dove 85 scienziati hanno accusato il DOE di aver utilizzato le stesse tattiche usate dell'industria del tabacco per seminare dubbi sul consenso scientifico, affidandosi inoltre a una manciata di oppositori i quali, basandosi su studi screditati, hanno travisato le prove per giungere a conclusioni predeterminate. Tali conclusioni provengono da idee rifiutate ormai molto tempo fa perché, banalmente, smentite dai dati. Il tutto è accompagnato da quello che si legge in tutte le pagine climascettiche: travisamenti del corpus delle conoscenze scientifiche, omissioni di fatti importanti, dimostrazioni di forza, aneddoti e pregiudizi di ogni genere. Come la negazione dell’aumento legato alle emissioni di gas-serra negli Stati Uniti di temperature ed eventi meteorologici estremi, l'idea secondo la quale un aumento dell'anidride carbonica atmosferica stimolerebbe l'agricoltura e che l'attività solare potrebbe spiegare le tendenze al riscaldamento globale.

La confutazione riunisce esperti di diverse discipline per contestare ogni affermazione di questo documento che si integra perfettamente nella campagna iniziata negli anni '90 da parte dell'industria dei combustibili fossili per finanziare scienziati disposti a sostenere il Sole, e non gli esseri umani, come causa del cambiamento climatico osservato fino a quel momento.

Questi sono alcuni esempi di questa distorsione dei fatti che il documento governativo sta cercando di perpetrare:
  • gli anni del "Dust Bowl" del 1930-1936 – caratterizzati da alcune delle estati più calde del Paese – smentirebbero la realtà del riscaldamento globale causato dall'uomo: in realtà è stata la cattiva gestione del territorio all'epoca a trasformare le Grandi Pianure in una landa desolata simile a un deserto che amplificava il calore
  • c’è poi il solito “mantra” dell’aumento del CO2 come componente favorevole all’agricoltura. In realtà, se un elevato tenore di CO2 può risultare favorevole in alcuni casi, in generale l'aumento del calore e il cambiamento dei modelli di precipitazione causeranno importanti cali della produzione a livello generale
  • comico poi il punto secondo il quale il rapporto minimizza la minaccia dell'acidificazione degli oceani, affermando che "la vita negli oceani si è evoluta quando gli oceani erano leggermente acidi" miliardi di anni fa. Una osservazione totalmente idiota, poiché la vita complessa non era presente durante la storia primordiale della Terra (in particolare non esistevano esseri viventi che utilizzavano gusci o ossa, particolarmente sensibili alla acidità delle acque). Aggiungo inoltre che le estinzioni di massa sono state causate negli oceani da una importante acidificazione delle acque a causa delle emissioni delle Large Igneous Provinces
  • il rapporto ignora ampiamente gli impatti sulla biodiversità, nonostante le enormi conseguenze sociali ed economiche
La homepage attuale di climate.us
IL PORTALE CLIMATE.GOV RINASCE COME CLIMATE.US. Il mondo della climatologia ha iniziato dunque con questi rapporti una resistenza attiva (anche se dubito che buona parte dei responsabili governativi abbia voglia di leggere un documento del genere, tantomeno capirlo visti i bias cognitivi contro la Scienza e questo senza parlare dell’elettorato medio trumpiano). Inoltre all'inizio dell'estate è stata cancellata la home page del sito climate.gov, il portale federale, un tempo pubblicizzato come "sportello unico" per la comprensione del riscaldamento globale, diventato un'altra vittima della guerra alla scienza di Trump. Chi digita www.climate.gov adesso viene ridiretto sulla home page della NOAA, che ancora resiste, e almeno mentre l'ho appena consultato (6 settembre 2025) parla ancora di Global warming, ma non presenta la ricca messe di dati del vecchio sito.

Un gruppo di ex dipendenti che lavoravano al vecchio sito sta lavorando per riportare in vita il portale, semplicemente passando da climate.gov a climate.us. Il nuovo sito climate.us, è online da qualche giorno, anche se per ora non ospita dati, ma funge solo da segnaposto, presenta un po' di rassegna stampa e precisa di essere un sito noprofit, indipendente e apolitico.
L’iniziativa è coordinata da Rebecca Lindsey, ex caporedattrice di climate.us, anche lei licenziata a febbraio insieme a centinaia di altri dipendenti della NOAA (la National Oceanic and Atmospheric Administration, insomma, la NASA del clima). Lindsey coordina un gruppo di divulgatori scientifici, meteorologi e visualizzatori di dati, oltre ad alcuni dipendenti pubblici ancora in servizio che si offrono volontari sotto la copertura dell'anonimato per l’ovvio timore di ritorsioni. Questa iniziativa sarebbe stata resa difficile dalla cancellazione dei dati dai portali delle varie agenzie, ma per fortuna quando gli scienziati hanno visto che le cose si mettevano male hanno scaricato quanto hanno potuto e quindi buona parte dei dati sono stati messi in salvo. Inoltre la notizia ha stimolato varie persone, da scienziati a insegnanti, ad offrirsi volontari.

Il PRIMO OBIETTIVO è ripubblicare la grande quantità di materiale finanziato dai contribuenti che è stata rimossa ma volontariamente salvata in tempo, comprese le Valutazioni Climatiche Nazionali, obbligatorie per legge, studi scientifici fondamentali prodotti ogni quattro anni, attualmente sospesi.
C’è poi un SECONDO OBIETTIVO, più ambizioso: ricostruire le risorse e gli strumenti tecnici che hanno reso climate.gov, lanciato per la prima volta nel 2012 sotto Barack Obama, così indispensabile, ad esempio:
  • dashboard interattive che monitoravano l'innalzamento del livello del mare, la perdita di ghiaccio artico e le temperature globali
  • spiegazioni in linguaggio semplice su fenomeni come il vortice polare
  • un blog dedicato all'oscillazione meridionale di El Niño, il più influente fattore climatico naturale del pianeta e tanti altri
Attualmente la pagina mostra quasi 50.000 dollari raccolti, su un obiettivo di 500.000, che si spera arrivino alla svelta. Naturalmente tutto questo dipende dall'ottenimento di finanziamenti sufficienti, che spaziano da quelli provenenti da è importanti enti filantropici e finanziatori a una campagna di crowdfunding.
Se tutto andrà bene, il progetto potrebbe diventare un punto di riferimento per molti gruppi di altre agenzie scientifiche federali che hanno contenuti o dati che sono rimasti inosservati o sono stati rimossi, ma che sono stati comunque scaricati.
Il nuovo sito web climate.us, è online da qualche giorno. È importante cliccarlo e aderire alle sue pagine nei social, per dimostrazione l’interesse nell’iniziativa e nella situazione climatica (ma tanto ai fenomeni climascettici non la si fa… sono troppo intelligenti)

Note:


2. il factchecking preliminare sul rapporto del DOE uscito a metà di agosto si trova qui: https://interactive.carbonbrief.org/doe-factcheck/index.html

3. il report completo di risposta del gruppo di Dessler è citabile così: 
Dessler, A.E. and R.E. Kopp (Ed.). (2025). Climate Experts’ Review of the DOE Climate Working Group Report. In attesa del DOE, è scaricabile qui: https://drive.google.com/file/d/1PwAR8I9YYmPhbQ6CRekHkroJGMbjbX7l/view
  



martedì 2 settembre 2025

il quadro tettonico del terremoto dell'Afghanistan del 31 agosto 2025


Nella notte fra il 31 agosto e il 1° settembre 2025 un terremoto M 6.0 ha investito la provincia di Kunar, nell’Afghanistan orientale al confine con il Pakistan. La provincia prende il nome dal fiume omonimo, che scorre lungo una valle sostanzialmente rettilinea, la quale quindi potrebbe corrispondere ad una faglia. Il Paese asiatico è un mosaico di blocchi formatisi in una varietà di contesti geodinamici che si sono giustapposti durante l'evoluzione dell'Oceano Tetideo e quindi anche blocchi adiacenti possono presentare rocce e storia molto diverse fra loro e ad aumentare la confusione, spesso blocchi e faglie sono chiamati con nomi differenti. Insomma, se da un punto di vista generale il quadro tettonico è noto, i rapporti fra i blocchi sono spesso ancora incerti. Non è ancora nemmeno chiaro se il terremoto del Kunar possa essere addebitato alla omonima faglia.

terremoti dell' Afghanistan di NE con M>4 degli ultimi 50 anni
UN EVENTO DISTRUTTIVO ANCHE SE RELATIVAMENTE DI BASSA MAGNITUDO IN UNA TERRA STORICAMENTE DEVASTATA DAI TERREMOTI. L’Afghanistan è regolarmente interessato da forti terremoti, gli ultimi dei quali sono avvenuti nel novembre 2023 (ne ho parlato qui) lungo la faglia di Herat. Tutte le agenzie concordano sul meccanismo dell’evento sismico: il terremoto M 6 del 31 agosto 2025 si è verificato a causa di una faglia inversa e quindi il meccanismo è compressivo. I dati sull’epicentro sono ancora incerti: ad esempio GEOFON lo colloca a N del fiume Kumar, INGV e USGS a sud. 
Il sisma, come è noto, ha provocato oltre 1000 morti (il bilancio è ovviamente provvisorio). Quando il terremoto è comparso sui database si è diffusa un po' di apprensione pensando a magnitudo, orario ed edilizia locale. Di fatto il PAGER nella pagina dedicata all’evento nel sito di USGS all’inizio era “non troppo pessimista” e segnalato con il colore giallo. Poi con l’andare del tempo è diventato prima arancione e poi rosso, a significare il netto peggioramento della situazione.

La sua distruttività è dovuta ad una coincidenza di cause naturali e antropiche.
Le cause naturali sono (1) la sua energia, paragonabile a quella del terremoto di Amatrice del 24 agosto 2016 e (2) la sua profondità davvero ridotta (meno di 10 km)
Venendo alle cause antropiche, siccome come è noto i danni e i morti non li fa un terremoto in se, ma le costruzioni della zona colpita, ecco che il bilancio si spiega con la pessima qualità degli edifici: la maggior parte delle case è costruita in fango, mattoni, legno e pietra non legati, proprio la tipologia edilizia peggiore dal punto di vista antisismico.
Inoltre il terremoto è avvenuto alle 23.47 locali, quindi in piena notte e la gente era praticamente tutta in casa. Il bilancio sarebbe stato decisamente meno grave se fosse avvenuto di giorno.
Ad ora si sono verificate anche diverse repliche, tutte per fortuna di Magnitudo minore.
I terremoti sono comuni in quel settore posto tra Afghanistan orientale e Pakistan occidentale e si verificano entro una ampia gamma di profondità. Sempre nella pagina su questo terremoto l'USGS riporta come in un raggio di circa 250 km dal terremoto del 31 agosto dal 1950, si sono verificati altri 71 terremoti di M 6 o superiore (in media uno all’anno, quindi), e la M di 6 di questi è stata di 7 o superiore.

Carta dei terranes dell'Afghanista e del suo intorno, da  Sihel (2015)
a destra un ingrrandimento dell'area interessata dal sisma
L'AFGHANISTAN: UN’AREA GEOLOGICAMENTE MOLTO COMPLESSA. Geologicamente l’Afghanistan e i suoi dintorni rappresentano un’area fra le più complesse essendo stata interessata da almeno 3 episodi di collisione fra l’Eurasia e blocchi continentali derivati dal Gondwana negli ultimi 300 milion di anni, di l'ultimo è ancora in corso. Il tutto si vede bene nella nella carta di Sihel (2015):
  1. Dapprima i terranes galatiani, noti in letteratura anche come ercinici o varisici, come  si sono scontrati con i primi nuclei di quella che diventerà l’Asia centrale, chiudendo la Paleotetide e costituendo il bordo meridionale del continente tra Carbonifero e Permiano (diciamo mediamente 300 milioni di anni fa). Si tratta di unità molto eterogenee e dalle origini varie (frammenti continentali, archi magmatici ed altro)
  2. poi nel mesozoico, più propriamente nel Triassico superiore (quindi un po' più di 200 milioni di anni fa), sono stati i terranes cimmerici a collidere con i terranes galatiani, diventando a loro volta il nuovo bordo meridionale dell’Eurasia (ne ho parlato qui)
  3. Si capisce che tra Paleocene ed Eocene, quando a sua volta l’India ha iniziato a scontrarsi con l’Eurasia, l’arrivo di questa massa continentale così importante abbia provocato la riattivazione di buona parte delle strutture che dividono i vari blocchi, specialmente di quelli cimmerici ma non solo. 
Ne deriva una sismicità molto complessa in un quadro geologico ancora di difficile decifrazione.

TERREMOTI PROFONDI. Di fatto l’Hindu Kush è una delle poche aree in cui si verificano terremoti molto profondi (ne ho parlato qui).
E proprio a causa della scadente tipologia degli edifici che i terremoti possono risultare distruttivi anche se profondi: il terremoto M 7,5 nel 2015 di cui ho parlato nel post appena linkato, nonostante la ragguardevole profondità di 231 km di profondità, ha causato 115 vittime a Jalalabad, pochi km a SW dell’area ora colpita e posta a quasi 100 km dall'epicentro (ma con tali Magnitudo l'area interessata dal movimento è grande decine di km). Nella stessa zona una parte dei 150 morti registrati in occasione del terremoto M 7.4 del 3 marzo 2002 fu dovuta a edifici distrutti da frane direttamente innescate dal sisma.
Questi terremoti si verificano all'interno di una porzione di crosta subdotta fino a quella profondità, di cui quando scrissi il post non era ancora chiara l’origine perché manca di continuità verso la superficie. Successivamente sono comparsi articoli come quello di Kuffner et al (2016) per i quali questa è una parte della crosta della placca indiana arrivata a quella profondità.

la faglia di Kunar nell'interpretazone di Shnizai (2020) 
e gli epicentri principali della crisi innescata il 31 agosto
TERREMOTI SUPERFICIALI COME QUESTO DEL 31 AGOSTO. I terremoti a bassa profondità non hanno una relazione diretta con quelli profondi e si producono all'interno della placca euroasiatica in quell’incredibile mosaico di blocchi.
Ho già parlato in questo post dell’area meridionale di questo scontro, lungo il Pakistan, dove l’India scorre accanto al settore iraniano dell’Eurasia, lungo un limite fra le placche sostanzialmente trascorrente (anzi, con un pò di compressione e qundi è trans-pressivo), che prende il nome dalla struttura più conosciuta, la faglia di Chaman.

Più a nord il limite fra le placche diventa convergente e quindi da faglie trascorrenti come la Chaman si passa nel settore afghano a faglie compressive. Di queste una delle più note è proprio la faglia di Kunar, uno dei diversi sovrascorrimenti presenti nell’area che assorbono il tremendo sforzo dell’India che si incunea nell’Eurasia e che si trova nell'area interessata da questo eventoÈ una faglia molto importante, tanto da essere commentata nello specifico dal lavoro di Shnizai (2020) che s è occupato d diverse faglie dell'Afghanistan. Da notare che se il sistema di Chaman corrisponde al limite fra Eurasia e India, la faglia di Kunar è all'interno dei terranes cimmerici e quindi è probabilmente il ringiovanimento di una struttura attiva già nel Triassico.
Non è però ancora chiaro se il terremoto si sia verificato sulla faglia di Kunar o no. Addirittura per Geofon il terremoto è avvenuto nei monti a nord della valle del Kunar, mentre per USGS e INGV a sud. Le repliche secondo l'Iris Earthquake Browser (per il quale l'evento principale è a sud del fiume) individuano un allineamento perpendicolare alla valle, dove Shnizai (2020) pone la faglia. Ma il dato è estremamente parziale, perché mancano tutti gli eventi con M inferiore a 4.5 e quindi il trend reale potrebbe essere molto diverso

la nuova collocazione dell'epicentro di USGS e di conseguenza
di IEB, rende più realistico un movimento lungo la faglia del Kunan
EDIT: USGS il 2 settembre (notte fra il 2 e il 3 in Italia)  ha modificato la posizione dell'epicentro, collocandolo ora a N del fiume, più o meno in corrispondenza dell'epicentro già indicato da GEOFON. Di conseguanza è stato modificato anche  quello dell'Iris Earthquake Browser. La nuova collocazione rende più plausibile  l'attribuzione del terremoto al movimento lungo la faglia del Kunar.

BIBLIOGRAFIA

Kufner et al (2016). Deep India meets deep Asia: Lithospheric indentation, delamination and break-off under Pamir and Hindu Kush (Central Asia). Earth and Planetary Science Letters 435 (2016) 171–184

Shnizai (2020). Mapping of active and presumed active faultsin Afghanistan by interpretation of 1-arcsecond SRTM anaglyph images. J Seismol https://doi.org/10.1007/s10950-020-09933-4
 
Sihel (2015). Structural setting and evolution of the Afghan orogenic segment – a review. Geological Society, London, Special Publications, 427

























venerdì 22 agosto 2025

La logica "normale" e quella dell'UCAS (Ufficio Complicazioni Affari Semplici)


È un periodo di ferie in cui anche io mi prendo un pò una pausa. E allora, esulando dalla Geologia e da cose vicine, voglio raccontarvi qualcosa che va "oltre" la Scienza che racconto di solito, sperando che poi gli amici comunicatori e psicologi mi possano spiegare perché la mente umana alle volte partorisce mostri e/o si dimentica provvedimenti semplici che come nel caso che vi racconto avrebbero evitato un disastro. Se in genere alla iutiùb iunivèrsiti si presentano soluzioni semplici a problemi complessi, che ovviamente non funzionano, succede talvolta nel mondo reale che a volte burocrati o tecnici burocratizzati partoriscono sulla carta delle soluzioni complesse (o addirittura impossibili) quando la soluzione del problema sarebbe semplicissima (addirittura nel caso che vi presento basterebbe imporre di premere un pulsante). Questo succede troppo spesso ed è talvolta fonte di guai, come appunto nel caso che vi racconto adesso.

Vorrei farvi notare un classico esempio di UCAS (Ufficio Complicazioni Affari Semplici) a proposito non di comunicazione istituzionale scientifica o altro, ma in un caso tecnico in cui un volo pindarico di qualcuno ipotizzò l’implementazione di un sistema assurdo facendo ipotizzare una soluzione complessa da realizzare per risolvere un grave (anche se raro) problema, quando invece la sua risoluzione sarebbe di una semplicità devastante consistendo, appunto, nel premere un bottone.
Siamo nelle ferrovie, dove l'UCAS burocratico è spesso attivo contribuendo ad ingessare la circolazione e/o a rendere troppo cari i trasporti che utilizzano i binari.

L'INCIDENTE FERROVIARIO DI TRENTO DEL 20 AGOSTO 2025. La questione prende corpo dall’incidente ferroviario avvenuto il 20 agosto 2025: un treno merci che era fermo all'interno dello scalo di Roncafort, posto a nord della stazione di Trento, è partito da solo in discesa senza personale a bordo, sfruttando la pendenza della linea, fino a quando non si è scontrato a bassa velocità con un regionale che saliva verso Bolzano.
Alla fine è andata quasi bene:
  • il treno regionale procedeva a bassa velocità perché il sistema di gestione della linea aveva rilevato la presenza di un treno nel tratto successivo, e quindi non era possibile per il regionale avanzare oltre il segnale che avrebbe incontrato di lì a poco; 
  • quanto al treno merci sfuggito, anche la sua velocità era bassa e per fortuna le locomotive dall’altro lato, quindi il muso dell'elettrotreno si è scontrato con l’ultimo carro e non con le due pesanti E 412 che avrebbero trainato il convoglio verso il Brennero.

1. LE POSSIBILI CONCAUSE DELL'INCIDENTE

Ovviamente quando succede una cosa del genere, classificabile come un Epic Fail ci sono delle concause che si sommano:

1. IL CONVOGLIO. In particolare ieri la cosa che apparve ovvia è che il convoglio fosse "sfrenato" (vedi NOTA 1) (altrimenti non sai sarebbe mosso da solo per la pendenza)
  • è probabile che non ci fosse personale sulla locomotiva (non si capisce come mai una locomotiva possa “decidere di muoversi da sola” senza essere fermata se il personale è a bordo)
  • secondo alcune ricostruzioni è possibile che sul treno fosse in corso la prova-freno (prima di partire su un convoglio deve sempre essere fatta questa prova per accertarsi che il sistema frenante funzioni senza problemi)

Queste due considerazioni sono “probabili” perché ovviamente c’è una inchiesta in corso, ma rappresentano - diciamo così - lo scenario più probabile, ma c'è anche la possibilità che per qualche motivo il convoglio si sia sfrenato da solo (per esempio per guasto al freno e mancato posizionamento delle apposite staffe di interfaccia fra rotaia e ruota, precauzione in genere fondamentale che dovrebbe essere sempre eseguita. Attendiamo la conclusione dell'inchiesta ricordando che ora come ora l'unica certezza è quella di un treno che si è mosso da solo in discesa.  
NB: per le ultime agenzie erano state avviate le procedure per la partenza del treno, che quindi non sarebbe stato, almeno da quel momento in stazionamento nello scalo.  


2. LA DISPOSIZIONE DEI DEVIATOI. La cosa sicura, invece, è che la coppia di deviatoi (NOTA 2) di collegamento fra la linea e lo scalo era configurata in deviata, cioè consentiva il passaggio dalla linea allo scalo, perché l'ultimo movimento lungo quegli scambi è stato una entrata da Trento di una LIS (locomotiva isolata) e non era stato ancora ripristinata la configurazione normale: se invece i deviatoi fossero stati in configurazione normale avrebbero consentito ad un treno di proseguire lungo la linea e al treno sfuggito al controllo di fermarsi in un binario tronco realizzato appositamente per queste evenienze (noto appunto come tronchino di salvamento)
Nello schema, modificato dal sito www.segnalifs.it vi faccio vedere le due configurazioni:
  • nella configurazione A, quella “normale” i treni passano regolarmente sul binario “pari”, quello per i treni provenienti da Trento in direzione Bolzano. Se lo scambio 1 è in posizione normale, è in posizione normale anche lo scambio 2: in questo caso se un treno nello scalo sfuggisse al controllo lo scambio 2 in posizione normale lo dirigerebbe nel binario tronco. A quel punto il convoglio al limite sfonderebbe il respingente finale ma non invaderebbe la linea. Questo binario che inizia dal deviatoio 2 è appunto chiamato “tronchino di salvamento”
  • nella configurazione B sia lo scambio 1 che lo scambio 2 sono in deviata, consentendo l’entrata nel raccordo di un treno proveniente da Trento o l’ uscita di un treno diretto verso Trento e oltre
Ovviamente in linea ci sono anche altri due deviatoi per consentire ad un treno diretto verso Trento di andare sull’altro binario della ferrovia, il “dispari” , quello che normalmente compete ai treni diretti verso sud.
La stessa situazione si trova dall’altro lato dello scalo, quella verso Bolzano / Brennero.

lo scontro dei due treni: la scarsa deformazione evidenzia
la bassa velocità a cui è avvenuto
CRONACA DI UN EPIC FAIL. Siamo quindi davanti ad un classico epic fail, dovuto al sommarsi di due circostanza sfavorevoli: 
  • un treno che inizia a muoversi da solo in discesa in uno scalo
  • la disposizione dei deviatoi per la quale il convoglio è potuto entrare in linea anziché dirigersi nell'apposito tronchino di salvamento. 
Annoto poi che:
  • se il treno fosse stato in stazionamento e non a fare le prove di partenza, allora la mancanza delle staffe di interfaccia ruota-rotaia costituirebbe una terza circostanza sfavorevole.
  • e che per somma di sfortuna i deviatoi sarebbero stati rimessi in posizione normale pochi minuti dopo per consentire il passaggio del regionale. 
2. IL VULNUS NON RISOLTO CHE HA PROVOCATO L'INCIDENTE 
E LE SUE POSSIBILI SOLUZIONI FANTASIOSE O SEMPLICI

Ma è questo il vulnus: per prassi i deviatoi, compresi quelli di ingresso a uno scalo come Roncafort, rimangono nella stessa posizione fino a quando non si presenta la necessità di muoverli per consentire il passaggio di un treno che debba andare nell’altra direzione. Resta da capire a questo proposito quanto tempo è passato tra il momento in cui la locomotiva isolata è entrata nello scalo e il momento in cui il treno merci ha iniziato a muoversi da solo

UNA LOGICA DISPOSIZIONE DI SICUREZZA. È chiaro ed evidente che una disposizione logica di sicurezza sarebbe quella di:
  • tenere sempre per principio i deviatoi che consentono la comunicazione fra linea e raccordo nella condizione normale (configurazione A)
  • usare la configurazione B soltanto nel ristretto lasso di tempo in cui serva la comunicazione fra linea e raccordo
  • ripristinare immediatamente la configurazione A appena un convoglio ha utilizzato il raccordo, senza aspettare che diventi necessario ripristinarla 
In questo modo un qualsiasi treno che per errore di manovra o altro si muovesse nello scalo verso la linea finirebbe sul tronchino di salvamento senza quindi entrare nella linea.

ECCO LA PROPOSTA ASSURDA DI CUI VI PARLO. Potrà sembrare strano, ma questa disposizione non esiste!  E qui viene il bello: quando succede un incidente, entra in campo DIGIFEMA, l’ufficio per le investigazioni ferroviarie e marittime del ministero; DIGIFEMA interviene facendo indagini anche su incidenti non ferroviari (anche per le funivie, per esempio). Le sue indagini servono a raccomandare delle azioni volte a prevenire nuovi incidenti del genere (un pò quello che succede a livello internazionale nel trasporto aereo). 
Ebbene, nella discussione su questo incidente sul forum di ferrovie.it è venuto fuori che dopo un analogo incidente successo anni fa DIGIFEMA abbia emesso delle raccomandazioni un pò (oddio.. un pò..) fantasiose ed assurde, proponendo la realizzazione di apparati senzienti che dovrebbero capire da soli (a) quando un treno o anche un solo carro va in fuga in linea a farsi una gita autonoma, (b) dare l'allarme, (c) bloccare gli altri treni, (d) chiudere eventuali passaggi a livello e persino (e) “avvisare i viaggiatori sulle banchine delle stazioni". Insomma, mancava solo l'intervento del raggio traente dell'Enterprise di James Kirk. Ovviamente un qualcosa macchinosissimo e tutto da inventare.

un moderno banco per regolare la circolazione di Rete Ferroviaria Italiana
da cui vengono impostati gli itinerari dei treno impostando i deviatoi nella direzione giusta 
ED ECCO IL RIMEDIO SEMPLICE. Ma la cosa "fantastica" è che mentre Rete Ferroviaria Italiana sbandiera l'utilità dei tronchini di salvamento per prevenire fughe accidentali (imponendone la realizzazione anche in casi di dubbia utilità di cui evito di parlare per non annoiarvi), come ho appena detto non ha appunto mai emesso la semplicissima norma che preveda  di ripristinare la configurazione “normale” immediatamente dopo il passaggio di un treno in una comunicazione tra una linea e un raccordo, senza aspettare che diventi  necessario perchè sulla linea deve passare un treno!

Dalla prassi di lasciare stare le cose in attesa che serva modificarle e dalla mancanza di questa disposizione ne consegue il rischio che nel momento del bisogno, come è successo ieri, il treno “fuggito” vada in linea e non nel tronchino di salvamento, perché ancora non si era verificata la necessità di riportare il deviatoio in posizione normale (lo avrebbero fatto presto, comunque, altrimenti il regionale per Bolzano si sarebbe infilato anche esso nello scalo…)
Fra parentesi le fughe accidentali sono ormai impossibili con treni in linea grazie ai sistemi automatici che sovrintendono la marcia dei treni e dei quali in Italia siamo stati i primi a dotarsi e possono succedere solo in casi come questo o pochi altri, con evidente errore umano, come per esempio a Paderno quando i macchinisti scesero dal treno dimenticandosi di frenarlo: in quel caso c'era già l'itinerario pronto e quindi quando il treno partì da solo il sistema di bordo ha visto il convoglio andare nella direzione giusta e quindi non è intervenuto.

3. LA MORALE DELLA FAVOLA E CIOÈ  L'UCAS  IN AZIONE:
IMMAGINARE SOLUZIONI COMPLESSE QUANDO PER RISOLVERLE BASTEREBBE UNA COSA SEMPLICE

Insomma, mi chiedo (e chiedo agli amici comunicatori e psicologi) perché per risolvere un problema del genere si ipotizzino dei futuribili metodi complicatissimi quando per impedire incidenti basterebbe semplicemente e banalmente obbligare chi di dovere a “premere un pulsante” appena il treno è passato sul raccordo fra una linea e uno scalo….
Inoltre si può pure notare come il sistema ipotizzato (e ovviamente caduto nel dimenticatoio) sarebbe costosissimo e servirebbe solo ad avvisare di un problema in corso, mentre la soluzione “premere un bottone” evita direttamente, e a costo zero, che il problema si ponga!!!

Mi piacerebbe che qualcuno mi spiegasse - scientificamente - perché da un lato la mente umana partorisca mostri quando c'è una soluzione semplicissima davanti ed evidente (soluzione complessa a problemi semplici) e perchè dall'altro ci sono tanti aficionados delle soluzioni semplici a problemi complessi


NOTA 1: in ferrovia “sfrenato” vuol dire che nessun sistema (umano o automatico) tiene fermo il treno
NOTA 2: i deviatoi sarebbero banalmente gli scambi, ma in ferrovia si chiamano così

mercoledì 6 agosto 2025

No, non c'è una "caverna" suborizzontale ai Campi Flegrei, ma una frattura subverticale (peraltro come spesso succede nei vulcani)


Allora, riguardo alla notizia di ieri sui Campi Flegrei, siccome non mi fidavo molto dei comunicati stampa (in particolare quella della “cavità orizzontale” prospettata da tanti non mi tornava un gran chè), tantomeno di quello dell’Università di Pisa dove evidentemente parlare di “frattura subverticale” sarebbe stato troppo difficile, ho preferito andare subito a vedere l’articolo originale (Rapagnani et al, 2025). Ebbene, come dice il riassunto dell’articolo, si tratta di una “frattura inclinata, piena di gas, attiva da almeno 7 anni, che collega il serbatoio in espansione con i processi fragili superficiali e le fumarole superficiali” (inclinata, non orizzontale). 

Ma andiamo con ordine.
Iniziamo dicendo che al solito i media (e purtroppo non solo i siti acchiappaclick che la sparano grossa di loro) si sono scatenati e no, non c'è assolutamente dopo questa scoperta un aumento delle possibilità di una eruzione. Per chi lo dice si possono ipotizzare 3 patologie di informazione:
  • parla di cose che non sa e non intende (molto facile)
  • non ha capito nulla (possibile) 
  • esagera mentendo sapendo di mentire (e purtroppo amche questa è una posizione possibile)
  • dobbiamo inoltre considerare una somma di queste possibilità, in percentuali variabili
la tomografia sismica di Giacomuzzi et al (2024)

QUADRO GENERALE DEI CAMPI FLEGREI. La fonte di deformazione dell'attuale stato di agitazione della caldera flegrea è stata localizzata a circa 4 km sotto il centro di Pozzuoli, in corrispondenza del maggiore sollevamento. Grazie ai tanti terremoti che investono l’area, vari metodi geofisici hanno fornito diverse ricostruzioni del sottosuolo dei Campi Flegrei, che concordano “in generale” ma differiscono in alcuni particolari. Quella che giudico più attendibile è la tomografia sismica di Giacomuzzi et al (2024). Per chi volesse approfondire ne ho parlato in questo post. Recentemente hanno fornito un quadro abbastanza simile De Landro et al (2025). Sostanzialmente la situazione è questa:
  • una zona caratterizzata da una anomalia a bassa velocità delle onde sismiche che suggerisce la presenza di fluidi geotermici in stato supercritico
  • uno strato di roccia al di sopra di essa a bassa permeabilità e alta resistenza a 1,5–2 km di profondità
In particolare lo strato a bassa permeabilità è quello che fa nascere i problemi, perché impedisce la propagazione verso l'alto dei fluidi che vengono dalla camera magmatica (o da più sotto); questo causa la sovrapressurizzazione delle formazioni sottostanti, e da qui la deformazione (il bradisismo che sta innalzando Pozzuoli e i suoi dintorni). Ho parlato qui di come hanno ben spiegato la situazione Danesi et al (2024): un aumento della pressione provoca un inarcamento delle rocce soprastanti, che sua volta provoca terremoti che (ri)aprono delle fratture, lungo le quali i gas del sistema idrotermale riescono a risalire: in questo modo la pressione nel sistema diminuisce e il suolo smette di risalire o quasi. Ma poi le fratture si richiudono perché i fluidi vi depositano il loro elevato contenuto minerale e quindi la pressione nel sistema ricomincia a rialzarsi e riprende il sollevamento.

alcuni esempi di onde a lungo periodo che si sovrappongono
alle normali onde dei terremoti vulcano-tettonici
OSCILLAZIONI PARTICOLARI ALL’INTERNO DEI SISMOGRAMMI DEI TERREMOTI FLEGREI. Lo stillicidio di terremoti vulcano-tettonici a cui stiamo assistendo adesso nell’area flegrea, con la popolazione comprensibilmente preoccupata (li ho provati anche io quando sono stato lì a lavorare una settimana, e vi assicuro che è una cosa tutt’altro che piacevole) produce onde sismiche normali.
Questi terremoti sono di tipo vulcano-tettonico, cioè sono dovuti al movimento lungo delle faglie, che però anziché da un campo di stress regionale come i terremoti tettonici normali è dovuto a un campo di stress indotto dalla deformazione in corso nella caldera.

In realtà i vulcani però possono fornire anche delle onde sismiche a periodo più lungo rispetto ai terremoti tettonici e vulcano-tettonici. Sono generalmente attribuite alla presenza di fratture riempite da fluidi magmatici o idrotermali. 
Spiego in breve per i non addetti: fisicamente tra i parametri di un’onda (come appunto una onda sismica) ci sono la frequenza e il suo inverso, il periodo. Nei vulcani, oltre a quelle normali (sia prodotte all'interno del sistema che fuori da esso)  troviamo delle onde sismiche caratterizzate da un periodo ben più lungo di quello che caratterizza le onde dei terremoti tettonici, note come LP (Long Period) e VLP (Very Long Period). Questi segnali particolari rappresentano la risposta dinamica di una frattura riempita di fluidi al transito di onde sismiche generate da una rottura fragile che si verifica altrove.

in bianco le aree da dove provengono i segnali VLF, ben diverse
dalle aree interessate dai terrmoti vulcano-tettonici 
Rapagnani et al (2025) riportano per la prima volta nei Campi Flegrei delle oscillazioni VLP (Very Long Period): per farlo hanno utilizzato i sismogrammi dei 136 terremoti a M maggiore dei Campi Flegrei degli ultimi anni (ovviamente tutti vulcano-tettonici), osservando come molti di questi, indipendentemente dalla loro posizione ipocentrale, siano accompagnati da un chiaro segnale a lungo periodo. Non è stato semplice evidenziare questi segnali VLP perché:
  • se i terremoti vulcano-tettonici iniziano molto chiaramente, non c’è un inizio chiaro dei segnali VLP e quindi è difficile individuarne la sorgente
  • il loro segnale è mascherato dalle onde dei corrispondenti terremoti vulcano-tettonici

L'ORIGINE DI QUESTI SEGNALI A LUNGO PERIODO. Ma da dove provengono questi segnali VLP? La loro ampiezza massima è costantemente osservata nelle stazioni situate a Pozzuoli e quindi l’area di origine si trova più o meno da quelle parti. 
Sono stati selezionati 14 segnali VLP associati a terremoti vulcano-tettonici in diverse aree della caldera, avvenuti dal 2018 al 2025, con profondità comprese tra 2,3 e 4,2 km. 
Nella figura qui accanto vediamo gli epicentri della sismicità a Pozzuoli, con i tensori colorati (i cosiddetti “beach ball”, che fornisco informazioni sul tipo di terremoto):
  • si notano 3 zone di massima sismicità con epicentri in cui i tensori dello sforzo sono colorati: quella a Pozzuoli, quella nel golfo e quella nei dintorni del Monte Nuovo (che penso sia una estensione della fascia sismica del golfo). 
  • i sono poi dei tensori in bianco, che rappresentano gli epicentri dei terremoti a lungo periodo. Questi ultimi epicentri sono lontani dalle zone a massima sismicità vulcano-tettonica.
Per Rapagnini et al (2025) i segnali VLP provengono da una sorgente attiva negli ultimi 7 anni, che molto probabilmente è rappresentata da una frattura piena di fluido. La sua localizzazione media è approssimativamente al di sotto di Pozzuoli e dell'area della Solfatara, come si vede nell'immagine sottostante. 
Tramite l’analisi degli eventi VLP gli Autori suggeriscono che la fessura sia subverticale, lunga circa1000 m, larga 650 e spessa circa 35 cm.
Non è quindi una caverna orizzontale come qualcuno ha scritto, e dopotutto la presenza di fratture di questo tipo nelle aree vulcaniche è comune.
Nessun allarmismo dunque. Semplicemente un ennesimo miglioramento delle conoscenze scientifiche.

A sinistra la carta degli epicentri delle onde VLP
a destra la sezione, dove si evidenzia la frattura che produce le onde VLP  



BIBLIOGRAFIA

questo post si riferisce soprattutto a:
Rapagnini et al (2025). Coupled earthquakes and resonance processes during the uplift of Campi Flegrei caldera. Communications Earth and Environment (2025) 6:607


ALTRI LAVORI CITATI:

Danesi et al (2024) Evolution in unrest processes at Campi Flegrei caldera as inferred from local seismicity Earth Planet. Sci. Lett. 626 (2024) 118530

De Landro et al (2025) 3D structure and dynamics of Campi Flegrei enhance multi-hazard assessment Nature Communications, (2025)16:4814

Giacomuzzi et al (2024). Tracking transient changes in the plumbing system at Campi Flegrei Caldera Earth Planet. Sci. Lett. 637 (2024) 118744