La discontinuità di Mohorovičić (universalmente nota semplicemente come “Moho”) divide la crosta terrestre dal mantello. Da quando il geofisico croato Andrija Mohorovičić la scoprì nel 1909, fra i vari sogni dei geologi c’è quello di arrivare direttamente al mantello. Negli anni ‘60 del XX secolo era stato lanciato il progetto Mohole (contrazione di Moho e Hole, insomma, un foro nella Moho). Ma ad oltre 60 anni da questa idea la Moho non è stata ancora raggiunta, nonostante l’ottimismo iniziale. Oggi dopo tutti questi decenni una nuova nave oceanografica cinese si appresta a coronare questi sogni e ha in programma di farlo entro il 2030. La domanda però è se questa Moho sarà rappresentativa non solo del mantello che si trova sotto gli oceani, perché quello continentale potrebbe avere una storia molto differente. Per risolvere la questione si dovrebbe appunto perforare la crosta continentale, ma la Moho attuale è troppo profonda; allora l’idea è quella di trovare una Moho fossile a bassa profondità. Questa seconda possibilità può essere realizzata proprio in Italia, in una zona alpina, la Ivrea – Verbano e c'è giusto un progetto in corso che sta carotando quell'area per arrivarci.
“Guarda! Quello non è basalto; è il mantello! Abbiamo attraversato il Moho! Ce l'abbiamo fatta!" Una dozzina di uomini sono ammassati attorno all'estremità di un pezzo di tubo sporco. Dalla sua estremità emerge lentamente un pezzo di roccia a forma di asta di circa due pollici di diametro. Le loro parole sono confuse e spazzate via dal vento, ma non c'è dubbio che questo sia un grande momento. Si danno colpi esuberanti sulla schiena come i vincitori di una scommessa azzardata. La scena è il piano di perforazione di un'enorme torre di perforazione che è molto simile a quelle che punteggiano lo skyline delle zone petrolifere. I lavori di estrazione, gli ascensori, le pompe, tutto sembra uguale al solito, ma dov'è il supporto del tubo di perforazione? È steso per tutta la sua lunghezza sul terreno, no, sul ponte. Perché questa è una nave; l'intera enorme macchina ondeggia dolcemente mentre rotola con l'onda. L'orizzonte? Nuvole e acqua.
C'è un silenzioso pulsare di motori in profondità nella stiva, il fischio del vento nel sartiame e il ronzio di un cavo che scorre veloce, ma sopra di loro tutto è il suono emozionante della conquista: pochi istanti prima un pezzo di roccia lungo circa un piede è caduto con un tonfo dall'estremità del tubo in un vassoio semicircolare poco profondo. Quando è successo, un tizio bruciato dal sole in piedi accanto al vassoio si è improvvisamente inginocchiato sulla piattaforma fangosa della grande torre di perforazione, ha afferrato il frammento e lo ha immerso in un secchio d'acqua, strofinando via il fango della perforazione con le mani.
Quando la roccia è abbastanza pulita da renderne visibili i dettagli, il tizio la osserva attentamente. Intorno a lui si accalca parecchia gente e uno dei presenti offre una lente di ingrandimento da geologo.
"Cos'è? Cosa abbiamo?"
Dopo qualche istante un uomo che ha fatto un sacco di domande e preso appunti su un pezzo di carta piegato si allontana e si dirige alla macchina da scrivere nella cabina radio della nave per battere le notizie per il mondo: alle 10:45 di questa mattina, è stata raggiunta la Moho, il limite inferiore della crosta terrestre e l'Umanità ha visto per la prima volta dei campioni del materiale di base che compone la maggior parte della Terra, perché gli scienziati, che perforano nell'oceano profondo a mille miglia dalla costa messicana, sono riusciti a recuperare delle parti del mantello terrestre. Adesso finalmente sappiamo di cosa è fatta la terra".
Questo è quello che si è immaginato sarebbe successo da lì a pochi anni Willard Bascom nel 1961, in A hole in the bottom of the sea. In questo libro l’Autore spiega appunto il Progetto Mohole e cioè quello che è quasi un Santo Graal delle Scienze della Terra: perforare la crosta terrestre per arrivare al mantello e vedere come è realmente fatto (e qundi se le ipotesi che abbiamo siano più o meno reralistiche. Nel libro Bascomb approfondisce anche le tecniche scientifiche utilizzate per comprendere la struttura della Terra, tra cui sismologia e geodesia, e introduce i principi base della perforazione, come i tubi di risalita e i dispositivi anti-esplosione.
Per Bascom realizzare il progetto Mohole era solo una questione di soldi. Invece oltre 60 anni dopo la Moho non è stata ancora raggiunta e non tanto per i problemi finanziari del progetto Mohole i cui costi erano schizzati in alto in maniera impressionante, quanto per problemi tecnici.
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Le onde sismiche che arrivano direttamente e quelle che arrivano dopo essere state riflesse dalla Moho |
LA MOHO. Il racconto con cui inizia il libro di Bascom è ambientato su una nave oceanografica, ed è una ambientazione logica in quanto la Moho sotto la crosta oceanica si trova a una profondità di 5-7 km, che diventano tra 25 e 70 sotto i continenti a seconda dell’area. Moho è il termine con cui comunemente nella letteratura scientifica e nello slang geologico si indica la discontinuità di Mohorovicich, dal nome del geofisico croato Andrija Mohorovičić che la scoprì nel 1909: analizzando i sismogrammi dei terremoti poco profondi Mohorovičić capì il motivo della presenza di due treni distinti di onde P e onde S: il primo treno arriva direttamente al sismografo dall’area di origine del sisma, il secondo invece vi arriva dopo essere stato riflesso da un mezzo in cui le onde sismiche vanno più veloci (appunto il mantello). La Moho quindi separa la crosta terrestre dal mantello, e il sogno di parecchi geologi è stato di sapere davvero la composizione del mantello. Questo livello ha implicazioni molto importanti per i processi della tettonica a placche perché si ritiene associato a importanti cambiamenti nella mineralogia e nella reologia.
ONORE ALLA JOIDES RESOLUTION, AVANTI MENG XIAN. Il progetto Mohole fu abbandonato nel 1966, ma possiamo dire che in qualche modo ha dato il via al Deep Sea Drilling Project, il progetto che ha rivoluzionato la nostra comprensione dell’evoluzione dei fondali oceanici, grazie a navi in grado di effettuare carotaggi anche profondi dei loro fondali e non solo della parte sedimentaria. Il progetto ha cambiato nome diverse volte (adesso si chiama IODP3) e questo proposito ho parlato recentemente del massiccio di Atlantis, nell’oceano a largo del Portogallo, dove sono state campionate rocce che pur appartenendo alla crosta erano nel mantello e hanno fornito interessanti indicazioni sulla sua struttura. La prima nave utilizzata per questo scopo è stata la Glomar Challenger, dal 1968 al 1983.
Nel 1985 fu varata la Joides Resolution, che ha solcato i mari fino alla sua messa in disarmo nel 2024, dopo 40 anni di onorata carriera e non so quanti giri del mondo. Fra le ultime crociere dobbiamo registrare il log 402, che ha studiato il mar Tirreno (Zitellini et al, 2023) e di cui stanno per uscire i primi risultati.
Oggi di navi oceanografiche ce ne sono diverse (per l'IODP numerose campagne hanno avuto come protagonista la giapponese Chikyu) e fra queste ce n’è una cinese appena varata, la Meng Xian. Si tratta di una nave specificamente ideata per perforare (non dite "trivellare", per favore) la crosta oceanica e raggiungere il mantello, in grado di perforare fino a 11 km utilizzando una asta di perforazione in lega di titanio e una punta diamantata, che consentono una perforazione affidabile in ambienti ad alta temperatura e alta pressione.
Uno degli obbiettivi di questa nave è proprio quello di raggiungere e superare la Moho entro il 2030 (Sun et al, 2025).
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la zona Ivrea - Verbano nel Permiano e oggi da Pistone et al, (2020) |
QUESTO PER IL MANTELLO OCEANICO. E PER QUELLO CONTINENTALE? Il mantello oceanico è molto giovane e deriva dall’attività di un margine divergente fra placche. Potrebbe quindi essere molto diverso da quello continentale ben più antico e che è stato interessato da molti altri processi. Ma come arrivare a profondità così elevate come quelle del mantello sotto i continenti? Attualmente il pozzo più profondo ha raggiunto circa 12.000 metri di profondità nella penisola di Kola, meno della metà del necessario. Ma esiste un’altra possibilità, trovare una Moho fossile, che per qualche motivo i fenomeni geologici hanno spinto verso l’alto. E questa Moho fossile si trova proprio in Italia: è la Zona Ivrea-Verbano, dove oltre alle parti più profonde della immensa caldera del vulcano della Valsesia, attivo nel permiano di 280 milioni di anni fa (Quick et al, 2009), all’interno di una serie di rocce originatesi nella crosta continentale inferiore si trova un corpo di composizione peridotitica (e quindi di composizione simile a quella del mantello). Quindi si tratta di una parte della crosta profonda che per una serie di vicissitudini tettoniche è ora esposta in superficie. Ma c’è di più: le analisi geofisiche hanno evidenziato la presenza a poca profondità di un corpo ad alta densità, conosciuto come corpo geofisico di Ivrea. Questo suggerisce che non solo la crosta profonda, ma anche una parte del mantello sia stata coinvolta nella risalita: insieme la Zona Ivrea - Verbano e il corpo geofisico di Ivrea sono stati interpretati come la crosta profonda e una parte di mantello della microplacca adriatica oggi incuneati nella crosta europea (Schmid e Kissling, 2000). È importante la giacitura di questa sezione, che non è più verticale, ma è ruotata praticamente di 90 gradi, portando quindi in esposizione livelli che in origine si trovavano a profondità molto diverse fra loro. In particolare secondo Pistone et al (2020) il Corpo Geofisico di Ivrea conserva la struttura di un complesso igneo formatosi per la cristallizzazione nel mantello superiore di magmi mafici idrati. Quindi nella zona di Ivrea - Verbano esiste una vecchia Moho, rimasta tale anche se sradicata da dove era.
A questo proposito, sotto l’egida dell’ICDP (International Continental Scientific Drilling Program) è in svolgimento nella zona dell’Ivrea-Verbano il Progetto DIVE (Drilling the Ivrea-Verbano zonE), nato per esplorare la crosta inferiore continentale e la sua transizione nel mantello, con l’ausilio di perforazioni scientifiche. A questo link trovate tutto sul progetto DIVE Gli scopi di questo progetto di perforazione, già in corso, è lo studio dei processi che si svolgono nella zona di transizione tra la crosta e il mantello, sfruttando la combinazione di indagini geologiche e perforazioni scientifiche.
In conclusione, quindi si spera in pochi anni di avere dei campioni diretti del mantello terrestre, sia di quello oceanico che di quello continentale.
BIBLIOGRAFIA
Bascomb (1962) A Hole in the Bottom of the Sea – The Story of the Mohole Project. Doubleday & Company, Inc. 1961, Garden City, New York
Pistone et al (2020). Joint geophysical-petrological modeling on the Ivrea geophysical body beneath Valsesia, Italy: Constraints,on the continental lower crust. Geochemistry, Geophysics, Geosystems, 21, e2020GC009397. Quick et al (2009). Magmatic plumbing of a large Permian caldera exposed to a depth of 25 km. Geology 37, 603-606
Schmid & Kissling (2000). The arc of the Western Alps in the light of geophysical data on deep crustal structure. Tectonics, 19, 62–85.
Sun et al (2025).The Moho is in reach of ocean drilling with the Meng Xiang. Nature Geoscience 18, 275–276
Zitellini et al (2023). Expedition 402 Scientific Prospectus: Tyrrhenian Continent–Ocean Transition. International Ocean Discovery Program. https://doi.org/10.14379/iodp.sp.402.2023