lunedì 16 giugno 2025

due onde sono rimbalzate per giorni dentro a un fiordo in Groenlandia: come si sono formate e perchè sono durate così tanto

il sismogramma con l'onda che si ripeteva
da Monahan et al (2025)
Dopo un po' di incertezza, è stato dimostrato che un fenomeno sismico piuttosto strano (un segnale che si è ripetuto ogni 92 minuti per 9 giorni e seguito poco tempo dopo da un altro fenomeno simile) è stato causato da una onda anomala (sessa) che è rimbalzata per giorni in una sezione del fiordo di Dickson, in Groenlandia. Questa onda è stata provocata da una frana nelle pareti del fiordo. Le frane possono aumentare a causa della rapida perdita di ghiaccio della calotta groenlandese e le conseguenze di eventi del genere, fino a quando restano confinati all’interno di un fiordo possono interessare solo aree limitate (ma con possibili gravi danni e perdite umane come nel 2017). Nel caso però che uno tsunami del genere si verificasse in un’area più esposta, conseguentemente l’onda potrebbe raggiungere l’oceano, con le possibili conseguenze anche più a lungo raggio. Si impone quindi una sorveglianza importante della calotta e delle coste groenlandesi, sorveglianza che date le dimensioni dell’area, non potrà essere che satellitare. 

UN SEGNALE SISMICO PARTICOLARE. Il 16 settembre 2023 i sismografi hanno osservato un segnale sismico che si è puntualmente verificato ogni 92 secondi per nove giorni consecutivi, preceduto da un segnale iniziale ad una frequenza maggiore. Poco meno di un mese dopo, l’11 ottobre 2023, è apparso un segnale simile, che è durato per un'altra settimana, con una magnitudo e una durata approssimativamente dimezzate rispetto all'evento iniziale.

ALLA CACCIA DEL SIGNIFICATO DI QUESTO SEGNALE: FRANA E SUCCESSIVO TSUNAMI "INTRAPPOLATO". Passato un primo momento di stupore è iniziata la ricerca del motivo di questi strani segnali. 
la modellazione della frana di roccia
che si è abbattuta sul ghiacciaio sottostante
(Svennevig et al, 2024)
Ci è voluto quasi un anno per venirne a capo: due studi scientifici, arrivando alle stesse conclusioni, hanno proposto che la causa di queste anomalie sismiche fossero due mega tsunami innescati nel fiordo di Dickson, una lunga insenatura della costa della Groenlandia orientale. Entrambe le onde iniziali si sarebbero poi trasformate in una onda stazionaria, una sessa. 
Questa la sequenza degli eventi:
  1. il 16 settembre 2024 un grande corpo di roccia metamorfica (spessore fino a 150 m, largo 480 m e lungo 600 m) è precipitato verso ovest lungo un piano di rottura parallelo alla foliazione, inclinato di 45° 
  2. la frana si è abbattuta sul sottostante ghiacciaio, frantumandolo e ha percorso un canalone sotto forma di valanga di roccia e ghiaccio 
  3. Inoltre una penisola di 80 x 220 m che sosteneva il fronte di distacco del ghiacciaio è scomparsa, indicando che la valanga di roccia e ghiaccio potrebbe aver innescato una frana sottomarina in un cono di sedimenti depositato al termine del ghiacciaio del canalone e quindi lo tsunami
  4. l’onda dello tsunami sarebbe rimasta intrappolate nel sistema del fiordo, formando onde stazionarie (note come sesse) che oscillavano avanti e indietro, causando i misteriosi segnali. Per Svennevig et al (2024) il segnale precursore è stato provocato dalla valanga, che ha innescato uno tsunami alto 200 metri. Le loro simulazioni mostrano che lo tsunami si è stabilizzato in una sessa di lunga durata di 7 metri di altezza. 
Carrillo-Ponce et al (2024) sono arrivati, indipendentemente alla stessa conclusione.

carta del fiordo di Dickson da Carrillo-Ponce et al (2024): come si nota la parte coinvolta nelle onde
potrebbe essere considerata esattamente come un bacino quasi chiuso, ideale per la formaazione di sesse

IL FIORDO DI DICKSON E LE SESSE, ONDE STAZIONARIE CHE OSCILLANO IN UN CORPO IDRICO. Chi va in piscina, quando l’acqua è sufficientemente calma perché all’interno c’è poca gente che si muove, osserva comunemente delle onde che quando arrivano ai bordi rimbalzano con un meccanismo che, banalmente, rispetta la legge della riflessione delle onde. Lo stesso fenomeno si verifica a scala molto più ampia in masse d'acqua grandi come baie e laghi. La condizione necessaria per la formazione di una sessa è che il corpo d’acqua sia almeno in buona parte chiuso.
Le sesse possono essere formate da varie cause: ad esempio quando un vento piuttosto forte cessa, l'acqua rimbalza verso l'altro lato dell'area chiusa e continua a oscillare avanti e indietro per ore o addirittura giorni; anche i terremoti possono causare sesse e questo a distanze estremamente lunghe dall’epicentro. Sono note quelle associate al terremoti di Lisbona del 1755 verificatesi un po' in tutta l’Europa settentrionale, ma addirittura ne sono state osservate in Norvegia e Scozia a causa del terremoto di  Tibet e Assam del 1950. Il recente terremoto del Myanmar ha provocato delle sesse, oltrechè in zona, ampiamente documentate, anche in Bangladesh.
Il fiordo di Dickson è un corpo idrico lungo, stretto e composto da diversi segmenti autonomi, quindi possiede le caratteristiche ideali per la formazione le persistenza delle sesse
Tutto risolto? Non propriamente perché era rimasto un problema non di poco conto: non esistevano osservazioni di queste sesse che confermassero l’ipotesi. Persino una nave militare danese che ha visitato il fiordo tre giorni dopo il primo evento sismico non ha osservato l'onda che stava scuotendo la Terra. Decisamente strano. 

la simulazione di una istantanea della sessa, con le elaborazioni dei dati di SWOT, da Monahan et al (2025) 
LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA CON LE IMMAGINI SATELLITARI di SWOT. Qui troviamo l’ennesima utilità delle immagini satellitari, che sono venute in soccorso ai ricercatori. Ormai esiste una copertura satellitare in una vasta gamma di frequenza di tutta la superficie terrestre, che oltretutto presenta il non trascurabile pregio di poter analizzare le immagini di un determinato periodo. La domanda da porsi è se esistono davvero immagini utili per un determinato problema
Di satelliti che studiano la superficie del mare ce ne sono diversi, ma fino ad oggi gli altimetri convenzionali non erano in grado di catturare le tracce di una singola onda, perché (1) campionano i dati direttamente sotto la sonda, producendo profili ad una sola dimensione lungo la superficie marina e anche (2) hanno un determinato tempo di rivisitazione, cioè forniscono due immagini diverse a distanza di qualche giorno. 
Tutto ciò li rende incapaci di rappresentare le differenze di altezza dell'acqua necessarie per individuare delle onde specifiche. 
Però è venuto in soccorso un nuovo satellite della NASA, SWOT. SWOT è l’acronimo di Surface Water Ocean Topography ed è il satellite ideale per osservazioni del genere (a patto che passi dove serve per una determinata ricerca e da lì ci passa). Lanciato nel 2022, SWOT è dotato di uno strumento chiamato KaRIn, che come dice il nome è un Radar Interferometrico che lavora all’interno della banda Ka, nello specifico a una frequenza di 35 GHz (quindi lunghezza d’onda di 8,39 mm): rispetto ai precursori SWOT è dotato di due antenne montate su un braccio di 10 metri su entrambi i lati del satellite. Queste due antenne lavorano insieme per triangolare i segnali di ritorno che rimbalzano dall'impulso radar, consentendo loro di misurare i livelli delle acque oceaniche e superficiali con una precisione senza precedenti (fino a 2,5 metri di risoluzione) lungo una fascia di 50 chilometri di larghezza
Utilizzando i dati di KaRIn, Monahan et al (2025) hanno realizzato mappe altimetriche del fiordo di Dickson in vari punti temporali successivi ai due tsunami, che sono state confrontate con le condizioni meteorologiche e di marea per confermare l’indipendenza delle osservazioni da alterazioni causate da venti o maree
L’analisi ha evidenziato pendenze evidenti, trasversali al canale, con dislivelli fino a due metri, in direzioni opposte nel tempo, e questa è la dimostrazione del fatto che l'acqua si muoveva avanti e indietro attraverso il canale a causa di una sessa.

effetti dello tsunami del 2017 a Nuugaatsiaq, da Strzelecki e Jaskólski (2020)
FENOMENI COME QUESTO RISCHIANO DI RIPETERSI. Come è noto il riscaldamento globale non è uniforme e soprattutto è maggiore alle alte latidudini, in armonia ad esempio con quanto è successo al PETM, il massimo termico al passaggio Paleocene – Eocene, quando la superficie del mare si riscaldò di 5°C ai tropici e di 9° alle alte latitudini (Zachos et al, 2005). ora non siamo ancora a quei valori, ma si osservano sempre di più nuovi massimi delle temperature. Stiamo osservando anche dei minimi ma è evidente come il numero dei record di caldo sia nettamente superiore ai record dei minimi, mentre fino a qualche decennio fa il numero di record caldi e record freddi si equivaleva.
E siccome la Groenlandia sta perdendo velocemente parte della sua calotta glaciale, fenomeni del genere rischiano di ripetersi. Sono passati solo 6 anni da quando, nel 2019, uno tsunami provocato da una frana ha colpito il villaggio di Nuugaatsiaq, nella baia di Baffin e quindi dalla parte opposta della Groenlandia, provocando diversi morti (ne ho parlato qui). 
Il verificarsi e la propagazione degli tsunami, in particolare nelle zone dei fiordi, sono considerati tra i disastri naturali più devastanti. Fino a quando succedono in luoghi chiusi come il fiordo di Dickson le conseguenze rimangono localizzate, anche se possono comunque essere gravi come a Nuugaatsiaq, ma se si abbattesse nella parte più esterna dei fiordi o addirittura in mare aperto gli tsunami potrebbero rappresentare un rischio importante anche a distanze notevoli nell’oceano Atlantico.

BIBLIOGRAFIA

Carrillo-Ponce et al (2024). The 16 september 2023 Greenland megatsunami: analysis and modeling of the source and a week-long, monochromatic seismic signal. Seism. Rec. 4, 172–183

Monahan et al (2025). Observations of the seiche that shook the world. Nature Communications (2025)16:4777

Svennevig et al (2024). A rockslide-generated tsunami in a Greenland fjord rang Earth for 9 days. Science 385, 1196–1205 

Strzelecki e Jaskólski (2020). Arctic tsunamis threaten coastal landscapes and communities – survey of Karrat Isfjord 2017 tsunami effects in Nuugaatsiaq, western Greenland. NHESS 20, 2521–2534

Zachos et al (2005). Rapid Acidification of the Ocean During the Paleocene-Eocene Thermal Maximum. Science 308, 1611-1615


venerdì 6 giugno 2025

Le impronte in Australia che provocano un radicale cambiamento delle conoscenze sulla storia dei primi vertebrati terrestri


Fino a ieri le tracce fossili più vecchie dei primi Amnioti (definizione che comprende rettili, uccelli e mammiferi) appartenevano al Carbonifero medio; da oggi una nuova serie di impronte ritrovate in Australia modifica pesantemente la cronologia della comparsa del gruppo e possibilmente ribalta il paradigma di una origine dei tetrapodi in Euramerica: l’età di queste impronte e considerazioni paleogeografiche rendono molto fondata l’ipotesi che la culla degli amnioti sia stata il Gondwana, il grande continente meridionale del Paleozoico. In questa storia restano ancora diversi dubbi, in particolare (1) perché non hanno lasciato discendenti gli “steam tetrapoda”, cioè quelle forme in cui le pinne si stavano trasformando in arti, pur non essendo in competizione con i loro discendenti terrestri e (2) come è stato possibile che i tetrapodi francamente terrestri siano arrivati in Europa e America Settentrionale, allora unite in Euramerica. Le soluzioni migliori sono le estinzioni di massa del Devoniano superiore e terminale per la prima e l’orogenesi varisica quando Armorica, parte del Gondwana, è andata a scontrarsi appunto con Euramerica per la seconda.

alcune delle impronte attribuibili ad amnioti primitivi lasciate in un blocco di arenaria a grana fine
nella contea di Taungurung (Long et al, 2025)
I PRIMI VERTEBRATI TERRESTRI. Nel Devoniano (420 ÷ 359 milioni di anni fa) si colloca un evento fondamentale nella storia della vita sulla Terra: in alcuni pesci polmonati, affini a celacanti e dipnoi, le pinne carnose si sono rafforzate, consentendo prima a questi animali di sorreggersi sul fondo, per poi diventare gli arti, che hanno reso possibile una vita in condizioni subaeree. Contemporaneamente tra la testa e il torace si è sviluppato il collo, consentendo la mobilità della testa, le branchie si sono trasformate in orecchie, mentre torace e addome si sono trasformati per assicurare il sollevamento da terra. 
Attualmente le impronte di tetrapodi più antiche conosciute sono del Devoniano medio e precisamente del Givetiano (Lucas, 2024). 
Inizialmente i tetrapodi necessitavano ancora di acqua per riprodursi, come ancora gli anfibi attuali, ma l'evoluzione dell'uovo e la fecondazione interna portarono ai primi vertebrati veramente terrestri. Alcuni di questi animali, noti come amnioti, divennero i primi antenati di mammiferi, rettili e uccelli. Oltre agli scarsi fossili, una fonte indipendente di informazione sui primi tetrapodi francamente terrestri proviene dalle impronte, che addirittura è più ricca di quella degli scheletri. Diversamente dagli anfibi, gli amniotes sono caratterizzati dalla presenza delle unghie e quindi si posono distinguere agevolmente le loro impronte da quelle degli anfibi. Marchetti et al (2021) hanno eseguito un riesame di una vasta serie di impronte trovate in America settentrionale ed Europa, riclassificandole e suggerendo una origine dei rettili nel Carbonifero medio – superiore di Euramerica, sulla morfologia di Hylonomus lyelli, fossile già noto nel XIX secolo.

LE IMPRONTE AUSTRALIANE RETRODATANO L’ORIGINE DEGLI AMNOTI. Ora, però la situazione è bruscamente cambiata: Long et al (2025) hanno appena presentato nuove impronte fossili trovate nel SE dell’Australia, nello stato di Victoria. La Snowy Plains Formation si è deposta all’inizio del Tournaisiano e quindi del Carbonifero, poco meno di 360 milioni si anni fa. Le impronte di piedi sono dotate di artigli e quindi appartengono probabilmente ad un rettile primitivo. Si tratta di un ritrovamento fondamentale dal punto di vista evolutivo e molto interessante dal punto di vista della "Citizen Science" perchè la scoperta non è stata fatta da ricercatori, ma da appassionati, il cui ruolo nel lavoro è stato sancito inserendo i loro nomi nell'articolo ed essere fra gli Autori di un articolo su Nature non è certo cosa da poco.

le conseguenze della scoperta australiana sulla storia dei primi tetrapodi: il vecchio e il nuovo schema a confronto

Questo ritrovamento ha tre conseguenze importanti:
  1. sposta indietro la probabile origine degli amnioti di almeno 35-40 milioni di anni, dalla metà del Carbonifero (323 MA) alla fine del Devoniano (355 MA) con la differenziazione quasi immediata fra antenati di rettili/uccelli e mammiferi
  2. implica che i primi tetrapodi terrestri sono comparsi non dopo il Devoniano superiore, datazione che si accorda meglio con l'albero molecolare che suggerisce un'età approssimativa di circa 370 milioni di anni nel Devoniano superiore, precisamente nel Frasniano
  3. l'evoluzione dei tetrapodi ha proceduto molto più velocemente e la documentazione di fossili e impronte del Devoniano sia molto meno completa di quanto si pensasse (il mio sesto senso mi dice che nuove ricerche a breve ci forniranno lumi in merito)

cladogramma degli steam Tetrapoda da Ahlberg (2029):
si nota come i tetrapodi terrestri di Euramerica conosciuti
non appartengano al ramo dei tetrapodi attuali
STEAM E CROWN TETRAPODA. Da qui in poi provo a contestualizzare questo ritrovamento con la paleogeografia e gli avvenimenti biotici tra Devoniano e Carbonifero. Ma prima occorre ricordare un paio di definizioni:
  1. Crown group: è il gruppo che comprende il più antico antenato comune di due linee ancora viventi e tutti i suoi discendenti, sia essi estinti o no. Attenzione che gli estremi del gruppo devono essere ancora vivi e vegeti.
  2. Stem group: comprende invece quei taxa che sono sì più vicini al Crown Group che non ad altri gruppi, ma che non hanno membri attualmente viventi.

Quindi nei tetrapodi:
  1. il crown group comprende Anfibi, Diapsidi (rettili e uccelli) e Sinapsidi (mammiferi)
  2. gli Stem Tetrapoda sono tutte quelle forme di passaggio fra i pesci con le pinne carnose (Celacanti e Dipnoi) da un lato e i tetrapodi decisamente terresti. Fra essi occupano un posto importante gli Elpistostegidi, il cui più classico esempio è il Tiktaalik rosae, e forme già in grado di camminare con la coda e il corpo sollevati come Ichtyostega e Acantosthega. Si veda la figura tratta da Ahlberg (2019), uno scienziato che per me rappresenta un guru sull’origine dei tetrapodi.
  3. il complesso delle forme steam + crown forma il clade Tetrapodomorpha

paleogeografia al passaggio fra Devoniano inferiore e medio:
si nota come Euramerica e Gondwana fossero lontani fra loro
anche se la distanza non era enorme  
PALEOGEOGRAFIA DEL DEVONIANO E DEL CARBONIFERO. Nel Devoniano oltre al continente meridionale, il Gondwana, c’erano diverse masse continentali separate come Euramerica (America settentrionale e Europa, il continente nato con l’orogenesi caledoniana dall’unione di Laurentia e Baltica), Siberia, e le due Cine (settentrionale e meridionale). Successivamente, nel Carbonifero, l’orogenesi Varisica (quella che noi geologi boomer conoscevamo come orogenesi Ercinica) testimonia la collisione fra Euramerica e il Gondwana di NW (America meridionale e Africa). La collisione è stata preceduta dalla chiusura dell’oceano Reico, ed era attiva da tempo.

L’ESTINZIONE DEGLI “STEAM TETRAPODA” E GLI EVENTI DELLA FINE DEL DEVONIANO E DEL CARBONIFERO. Nel Devoniano sono comuni gli “stem tetrapoda”, come gli Elpistostegidi, con una distribuzione abbastanza cosmopolita. Sono note già dal Devoniano superiore impronte di tetrapodi in facies non marine, e che indicano una deambulazione in sequenza laterale e una locomozione completamente terrestre (subaerea) e sollevata. Si trovano sia in Euramerica (Irlanda e Scozia) che nel Gondwana (Australia), anche se non è detto che siano state prodotte da antenati degli attuali tetrapodi, perché ad esempio Ichtyostega o Acanthostega, come si vede dalla figura di Ahlberg (2019) rappresentano rami laterali estinti.
Di fatto gli Elpistegidi e in genere gli “stem tetrapoda” del Devoniano superiore dopo la loro importante fioritura scompaiono improvvisamente. Dato che i loro discendenti tetrapodi (ma anche i loro contemporanei Ichtyostega e compagnia) vivevano già in ambienti subaerei è difficile pensare ad una competizione ecologica fra i due gruppi, come per esempio è successo quando si è formato l’istmo di Panama e i mammiferi placentati dell’America settentrionale hanno invaso l’America Meridionale, distruggendone le faune endemiche.
È importante notare che il Devoniano superiore è stato contrassegnato da ben due eventi di estinzione di massa, il primo 372 milioni di anni fa al passaggio Frasniano – Famenniano (considerato una delle “big Five”, i 5 maggiori eventi di estinzione di massa) e un secondo 359 milioni di anni fa al passaggio Devoniano – Carbonifero. Questi due eventi sono contrassegnati da sedimenti marini scuri con alto contenuto di materia organica, importante segnale della mancanza di ossigeno nell’acqua). È quindi probabile uno scenario nel quale le anossie abbiano interessato tutti gli “steam tetrapoda” ancora legati al mare, mentre una parte di quelli che vivevano in un ambiente subaereo o fluviale se la siano sfangata.

schema tratto da Pieruccioni et al (2025) sugli avvenimenti tettonici:
la collisione fra Gondwana ed Euramerica all'inizio del Carbonifero
ha permesso contatti terrestri fra i due continenti
LE NOVITÀ SULLA AFFERMAZIONE DEI CROWN TETRAPODA E LA PALEOGEOGRAFIA DEL CARBONIFERO. Anche se non ci sono evidenze di tetrapodi (né steamcrown) per tutto il Carbonifero inferiore europeo da quando erano presenti nel Devoniano Superiore Ichtyostega e Acanthostega, proprio la presenza in Euramerica di questi due "steam tetrapoda" francamente terrestri e di varie impronte (molto successive) di veri amnioti ha reso plausibile uno scenario in cui la conquista definitiva della terraferma da parte dei tetrapodi sia avvenuta in questo continente. Ma ci sono alcuni problemi:
  • se vediamo il cladogramma di Ahlberg (2019) questi due fossili rappresentano linee estinte precocemente e non si collocano nella linea che ha portato ai tetrapodi terresti attuali. 
  • Inoltre in Euramerica le più antiche impronte e fossili di veri amnioti sono della metà del Carbonifero. 
Le impronte australiane quindi:
  • riescono a colmare il gap in Euramerica fra i primi steam tetrapoda del Devoniano e le impronte di Crown tetraoda del Carbonifero medio
  • provocano una rivoluzione decisamente epocale nella storia dei crown tetrapoda, perché apparentemente spostano l’origine del gruppo nel continente meridionale e in tempi più antichi, nonostante la ricca (ma più recente!) documentazione di steam tetrapoda di Euramerica.
La distribuzione cosmopolita degli steam tetrapoda non è un problema: erano forme marine quindi potevano in qualche modo attraversare i non larghissimi oceani interposti fra il Gondwana e le altre masse continentali. Per i tetrapodi terrestri la faccenda si fa più complessa, a meno che non fossero capaci di nuotare, come quegli esponenti di Crocodylus niloticus che hanno conquistato le Americhe dove si sono diversificati (ne ho parlato qui) o l’attuale australiano C. porosus e le sue capacità di navigazione oceanica (ne ho parlato qui). Noto comunque che nel Terziario hanno attraversato l’Atlantico dall’Africa verso l’America meridionale gli antenati di roditori e scimmie del nuovo mondo e probabilmente anche di uno stranissimo uccello, l’Hoatzin (ne ho parlato qua).

La paleogeografia però ci viene in aiuto nell’evitare possibili (anche se improbabili) traversate oceaniche. In particolare le ricostruzioni dell’orogenesi Varisica: è possibile che non sia casuale il fatto che le impronte della Slesia siano successive alla collisione fra l’Armorica, blocco di provenienza gondwaniana e Euramerica, avvenuto nel Carbonifero inferiore (Pieruccioni et al, 2025). In questo quadro i Crown Tetrapoda si sarebbero originati nel Gondwana e sarebbe stata proprio questa collisione a permettere ai primi veri rettili di diffonderli (magari scalzando i discendenti di Icthyostega). Una origine dal Gondwana inoltre giustifica molto bene il fatto che tetrapodi terrestri di Euramerica come Ichtyostega non abbiano lasciato discendenti. Notiamo inoltre che l’Australia era sufficientemente lontana dalla Sibera, dove si sono messi in posto i basalti della Yacuzia, responsabili sicuramente della estinzione del Devoniano superiore e forse anche di quella del passaggio Devoniano – Carbonifero. Anche questo potrebbe aver permesso maggiori possibilità di sopravvivenza ai tetrapodi australiani. 

BIBLIOGRAFIA

Ahlberg (2019). Early Vertebrate Evolution. Follow the footprints and mind the gaps: a new look at the origin of tetrapods. Earth and Environmental Science Transactions of the Royal Society of Edinburgh, 109, 115–137

Long et al (2025). Earliest amniote tracks recalibrate the timeline of tetrapod evolution. Nature, 641, 1193–1200

Lucas (2024). Devonian tetrapod footprints and the origin and early evolution of tetrapods. Ichnia 2024 – the 5th international congress of Ichnology

Marchetti et al (2021). Tracking the Origin and Early Evolutionof Reptiles. Front. Ecol. Evol. 9:696511

Pieruccioni et al (2025). Microstructural Investigation of Variscan Late-Collisional Granitoids (Asinara Island, NW Sardinia, Italy): New Insights on the Relationship Between Regional Deformation and Magma Emplacement  Geosciences 2025, 15, 108




martedì 20 maggio 2025

Great Unconformity e Snowball Earth: presentate convincenti prove sulla connessione fra i due fenomeni


La stratigrafia del Grand Canyion da Karlstrom & Timmons (2012):
sono indicate le durate degli intervalli di tempo
 fra le unità che si sovrappongono

Le Tapeat Sandstones sono alla base del Tonto Group
Qualche anno fa avevo parlato dellaGreat Unconformity”, una discordanza comune su tutta la Terra in cui i sedimenti glaciali del Criogeniano o più recenti poggiano su rocce di crosta profonda, in diversi casi di età poco più antica. Quindi sembra che in quel periodo la Terra sia stata caratterizzata da una fase di erosione estremamente accelerata. Nel 2019 fu avanzata l’ipotesi che il collegamento fra questa fase erosiva e i ghiacci delle fasi a Terra palla di neve (Snowball Earth) del Criogeniano non sia casuale, ma causale: insomma, alla base della Great Unconformity ci sarebbe stata l’intensa azione erosiva delle grandi calotte glaciali. È appena uscito un lavoro che fornisce ottime indicazioni su questo legame, attraverso lo studio degli zirconi contenuti in una delle più celebri serie sedimentarie dell’epoca, lo scozzese supergruppo Darlradiano.

LA GREAT UNCONFORMITY E LA RAPIDA ESUMAZIONE A SCALA MONDIALE DI CROSTA PROFONDA. Ci sono diversi casi recenti di esumazione di parti molto profonde della crosta; uno di questi è a casa nostra, nelle Alpi Occidentali, ma si tratta di “casi isolati” dovuti a circostanze tettoniche particolari. Invece nel Criogeniano, il periodo dell’era Neoproterozoica che abbraccia l’intervallo fra 720 e 635 milioni di anni fa, questo processo appare sistematico a scala mondiale, portando all’esumazione di crosta profonda praticamente in tutte le successioni dell’epoca, provocando quella caratteristica nota come “Great Unconformity”: una enorme lacuna nel registro stratigrafico della Terra spesso evidente sotto la base del Cambriano. Ad esempio i sedimenti glaciali del Criogeniano, le diamictiti e i sovrastanti "carbonati di copertura" “cap carbonates” (o, in loro mancanza, i sedimenti del Paleozoico inferiore), si sono deposti in buona parte dei casi sopra rocce metamorfiche o magmatiche formatesi a grande profondità, talvolta in tempi di poco più antichi, come ad esempio in Oman (Bowring et al., 2007) o nella zona del Grand Canyon (Karlstrom & Timmons, 2012),

la carta di Li et al (2013) evidenzia come durante il Criogeniano
la maggior parte delle masse continentali
fosse a medie e basse latitudini
LE FASI DI SNOWBALL EARTH (TERRA A PALLA DI NEVE. Ho parlato di sedimenti glaciali: durante il Criogeniano il nostro pianeta è stato interessato da 2 fasi in cui i ghiacci hanno raggiunto le zone tropicali: sono gli episodi noti come Snowball Earth (letteralmente: Terra a palla di neve) in cui la Terra sarebbe stata completamente ricoperta da ghiacci (Hoffman e Schrag, 2000). C'è poi una terza fase di breve durata (Gasker) nell'Ediacarano, circa 580 milioni di anni fa. Il livello globale di glaciazioni raggiunto almeno nello Sturtiano e nel Marinoano è attestato dai depositi glaciali che si trovano in tutte le successioni rimaste dell’epoca e come si vede da questa carta tratta da Li et al (2013) una buona parte delle terre emerse e ricoperte dalle calotte glaciali si trovava in posizioni tropicali o subtropicali (Li et al, 2013), a differenza delle glaciazioni del permo-carbonifero e di quelle attuali in cui le calotte si trovano in masse continentali collocate ad alte latitudini (il Gondwana al polo sud e la Siberia al polo nord 300 miloni di anni fa, Antartide e Groenlandia adesso e fino a 20.000 anni fa anche Nordamerica e Scandinavia)
L’idea è che durante gli oltre 60 milioni di anni di glaciazione totale le calotte glaciali abbiano promosso la denudazione continentale direttamente attraverso l'erosione operata dagli stessi ghiacciai, ma anche abbassando il livello del mare a scala globale ed esponendo qundi i continenti a una maggiore erosione subaerea (Brenhin Keller et al, 2019).
Le cause degli eventi di Snowball Earth del Neoproterozoico rimangono ancora controverse: sono state ipotizzate diverse possibili cause extraterrestri, geodinamiche, oceanografiche e biotiche, alcune delle quali potrebbero essere correlate fra loro attraverso vari meccanismi di feedback. Quindi se una causa scatenante principale potrebbe essere la diminuzione improvvisa del tenore atmosferico di CO2 (toh..) è difficile individuare il perché sia successo e comunque quali possano essere altri meccanismi correlati e quindi mai come in questo caso le “soluzioni semplici a problemi complessi” sono da evitare ed è una questione complessa che non compete a questo post. Ma spero di parlarne a breve.

IL DALRADIAN SUPERGROUP, UNA FINESTRA SUL NEOPROTEROZOICO. Il Dalradian supergroup dell'Irlanda e della Scozia è una delle successioni sedimentarie più note e più complete dell’epoca che va tra il Neoproterozoico e il Cambriano, accumulatasi tra il tardo Toniano (circa 800 milioni di anni fa) e il Cambriano lungo il margine continentale della Rodinia. Poco dopo, tra l’Ordoviciano e il Devoniano, durante l’orogenesi caledoniana questi sedimenti sono stati metamorfosati, in facies a basso (scisti verdi) o medio grado (anfiboliti).
L’evoluzione geodinamica ha guidato l’evoluzione sedimentaria del Dalradian supergroup, che per questo è suddiviso in gruppi diversi, ciascuno con il proprio significato geodinamico :
  • la parte più antica appartiene al gruppo dei Grampiani, composto da sedimenti deposti nel Toniano in un bacino di avampaese davanti all’orogene Knoydartiano, un sistema attivo fra 820 e 725 milioni di anni fa (Krabbendam et al, 2021), di cui rimangono tracce nella Scozia occidentale
  • Il sovrastante Gruppo di Appin si è deposito nella successiva fase postorogenica
  • i Gruppi di Argyll e delle Southern Highlands si sono accumulati in bacini di rift formatisi durante la disgregazione della Rodinia, nel contesto delle prime fasi dell'apertura dell'Oceano Giapeto
La cosa molto interessante per capire le cause della Great Unconformity è che il gruppo di Argyll conserva una documentazione ben documentata delle glaciazioni criogeniane:
  • la Formazione di Port Askaig è correlata alla lunga glaciazione Sturtiana (717-658 milioni di anni fa),
  • la Diamictite di Stralinchy e il sovrastante Calcare di Cranford (un classico carbonato di copertura) sono correlati alla glaciazione Marinoana (645-635 milioni di anni fa)
  • gli strati detritici trasportati dal ghiaccio all'interno dei Fahan Grits sono correlati alla più recente glaciazione Gaskiers (580 milioni di anni fa)
GLI ZIRCONI COME “FIRMA” DEI BLOCCHI CRUSTALI. Uno zircone è per sempre: gli zirconi resistono praticamente a tutto e sopravvivono per miliardi di anni dopo che si sono cristallizzati: refrattari nel mantello e nella crosta alla fusione durante la formazione intorno ad essi di nuovi magmi, non si alterano né con gli agenti atmosferici né con il metamorfismo, né con altri agenti all'interno della crosta. Insomma, dal punto di vista geochimico il sistema viene "chiuso" all'atto della formazione del cristallo. Essendo quindi “impermeabili” a fattori esterni e contenendo uranio, sono una delle fonti principali delle datazioni radiometriche. Di conseguenza nelle rocce magmatiche di ambiente orogenico o nei loro derivati sedimentari e metamorfici esistono zirconi di varia età che vengono riciclati nel tempo in rocce magmatiche, metamorfiche o sedimentarie successive.
Così, ad esempio, è stato visto che l'abbondanza nel tempo degli zirconi non è costante e da questo è stato facile capire che se ne formano di più in corrispondenza delle fasi più acute di magmatismo orogenico, in genere durante la formazione dei supercontinenti (Nance et al, 2014).
Ogni successione sedimentaria ha la sua propria “firma zirconica” e cioè è caratterizzato da una sua peculiare distribuzione delle età degli zirconi, che vengono conferiti con l’erosione ai sedimenti del bacino che li raccoglie. Quando in una serie sedimentaria cambia la firma zirconica è evidente quindi che è cambiata l’area di provenienza dei sedimenti.

le brusche variazioni dell'indice di varianza in corrispondenza della fine degli episodi di 
Snowball Earth (S: Sturtiano, G: Gasker). Da Kirkland et al (2025)

GLI ZIRCONI DEL DALRADIAN SUPERGROUP PROVANO IL COLLEGAMENTO FRA GREAT UNCONFORMITY E GLI EPISODI DI SNOWBALL EARTH. Per testare l’ipotesi di Brenhin Keller et al, (2019) e quindi verificare la connessione causale e non casuale fra erosione accelerata e glaciazioni, Kirkland et al (2025) hanno studiato le età degli zirconi del Dalradian supergroup, i quali ovviamente non hanno subito nessuna conseguenza dal metamorfismo a cui sono stati sottoposti i sedimenti durante l’orogenesi caledoniana. Sono stati esaminati in particolare il coefficiente di varianza (e cioè quante età degli zirconi si trovano in un determinato strato) e la quantità di zirconi più antichi: una erosione glaciale diffusa degli interni continentali dovrebbe riflettersi in cambiamenti nella provenienza dei sedimenti e quindi della firma zirconica.
Sono stati rilevati due chiari trend: l’aumento nel tempo della percentuale degli zirconi più antichi e della varianza delle età. Il tutto implica che l’erosione abbia progressivamente nel tempo interessato un numero sempre maggiore di unità tettoniche più antiche.

Se l’aumento dell’età è progressivo, il valore della varianza aumenta bruscamente e soltanto nei sedimenti deposti alla fine delle fasi di Snowball Earth. In questo contesto Kirkland et al (2025) che significativamente intitolano l’articolo “la ramazza glaciale del Neoproterozoico” interpretano queste variazioni in due modi:
  • l’aumento graduale della frazione più antica degli zirconi è dovuto all’instabilità tettonica dovuta al rifting, che provoca un sollevamento e quindi l’arrivo in superficie di parti sempre più profonde della crosta
  • l’aumento improvviso della varianza è troppo veloce per attribuirlo a cause tettoniche e siccome si ripete dovunque e soltanto alla fine delle fasi di Snowball Earth è dovuto invece alla erosione accelerata che a scala globale ha provocato la Great Unconformity,
Questa dunque è una prova sostanzialmente molto a favore dell’ipotesi di uno stretto legame fra le glaciazioni del Criogeniano e la formazione della Great Unconformity

BIBLIOGRAFIA

  • Bowring et al. (2007) Geochronologic constraints on the chronostratigraphic framework of the Neoproterozoic Huqf Supergroup, Sultanate of Oman. Am J Sci 307:1097–1145.
  • Brenhin Keller et al (2019). Neoproterozoic glacial origin of the Great Unconformity, PNAS 116(4) 1136-1145
  • Hoffman e Schrag (2000). “The Snowball Earth”, Scientific American 282/1, 68-75
  • Karlstrom & Timmons (2012). Many unconformities make one ‘Great Unconformity’. Grand Canyon Geology; Two Billion Years of Earth’s History, GSA Special Paper 489, pp 73–79
  • Krabbendam et al (2022). A new stratigraphic framework for the early Neoproterozoic successions of Scotland. Journal of the Geological Society, 179, 2021-054
  • Kirkland et al (2025). The Neoproterozoic glacial broom Geology, v. 53, p. 435–440
  • Li et al (2013). Neoproterozoic glaciations in a revised global palaeogeography from the breakup of Rodinia to the assembly of Gondwanaland. Sedimentary Geology 294,219–232
  • Nance et al (2014). The supercontinent cycle: A retrospective essay. Gondwana Research 25, 4–29


mercoledì 14 maggio 2025

un delta fluviale come in laboratorio, ma sul terreno



Il "delta" provocato dalla "mini-fiumara": si evidenziano i due delta,
 al centro il primo, che successivamente è stato poi abbandonato
 in favore di quello sulla sinistra 
Alle volte andare in giro per i monti fa vedere cose piuttosto curiose. In questo caso siamo sopra a La Panca, nel comune di Greve in Chianti, zona notoriamente a tasso alcolico di buona qualità, e dal punto di vista geologico morfologicamente piuttosto particolare,  dove il reticolo fluviale racconta di catture ispirate da movimenti tettonici, corsi d’acqua impostati su faglie e quant’altro.
L’area è nota dal punto di vista stratigrafico perché vi affiorano gli Scisti Policromi, soprattutto perchè siamo dove la cosiddetta “scaglia toscana” dei tempi che furono raggiunge i massimi spessori. È inoltre ben presente anche il sovrastante Macigno del Chianti, una tipica arenaria flyschoide.
Siamo a Montescalari, sopra la località detta "La Panca". Poco a NE di La Panca c’è Cintoia, località dove affiorano anche i calcari della Serie Toscana e dove noi, da studenti, abbiamo imparato a fare il rilevamento geologico.
Sulla riva di una pozzanghera lungo una strada parzialmente in trincea alimentata dalle piogge della notte precedente, si è formato un sistema fluviale in miniatura, che ricorda molto quelli prodotti in laboratorio. Il Macigno spesso si altera sgranandosi e in tale modo si forma un detrito sabbioso che si accumula sul terreno. E si, alle volte sembra di essere su una spiaggia e questo fa pensare alla ciclicità della natura: graniti che esumati in superficie sono stati erosi perdendo i loro grani, i quali trascinati dai fiumi sono diventati sabbie, a loro volta consolidate in arenarie le quali da ultimo alterandosi ritornano a formare sabbie. E in tutto questo, tenacissimi grani di zirconi di miliardi di anni continuano ad essere riciclati tra sedimenti, subduzioni e nuovi magmi che alterandosi li riportano in superficie.
In questo caso i grani derivati dal Macigno si sono accumulati sul fondo di questa strada.

Le forti piogge della notte precedente (oltre 50 mm, parecchio per queste parti ma non certo per la Liguria o l’Alta Toscana di Versilia, Riviera Apuana e bacini di Magra e Alto Serchio) hanno portato nella strada altro detrito e all’interno della strada stessa si sono formati dei piccoli rii che hanno trasportato i grani. In particolare la prima immagine evidenzia un delta che si è formato all’interno di una vasta buca riempita dall’acqua, delta che si staglia nettamente nella pozzanghera con una forma che ricorda proprio le conoidi lungo le rive dei laghi. 
Da notare che in realtà il delta è composto da due lobi, quello più avanti e uno più a sinistra: il secondo sembra essersi formato dopo il primo quando, diminuendo l’acqua che trascinava i grani il primo ha raggiunto una elevazione tale che la corrente non è più riuscita a scavalcarlo. Si notano anche i canali più recenti che vanno appunto verso il nuovo delta. Questo secondo delta ha ancora all'interno ben visibile il canale principale, che forse addirittura ha leggermente eroso un pò dei depositi, mentre la "linea di costa" del primo non evidenzia più a prima vista dei canali

Nella seconda immagine si vede invece come a monte del delta la sua alimentazione detritica provenga da quella che sembra proprio una fiumara in miniatura. Anzi, se non fosse per il martello che fornisce il riferimento per le dimensioni e per le piante sulla sinistra questa immagine potrebbe essere quasi spacciata per una ripresa di una fiumara dall’alto. Si vedono benissimo gli ultimi dei vari canali lungo i quali l'acqua si è mossa trascinando i sedimenti e come si è evoluto il loro reticolo. 
Insomma, un "modello naturale in scala" di quello che succede in Natura a scala "normale". 

la mini-fiumara vista "da valle": sono evidenti vatri canali
come realmene succede nelle fiumare 


venerdì 2 maggio 2025

Dopo oltre 60 anni dal Progetto Mohole, finalmente dovrebbe essere raggiunto con delle perforazioni il mantello terrestre


La discontinuità di Mohorovičić (universalmente nota semplicemente come “Moho”) divide la crosta terrestre dal mantello. Da quando il geofisico croato Andrija Mohorovičić la scoprì nel 1909, fra i vari sogni dei geologi c’è quello di arrivare direttamente al mantello. Negli anni ‘60 del XX secolo era stato lanciato il progetto Mohole (contrazione di Moho e Hole, insomma, un foro nella Moho). Ma ad oltre 60 anni da questa idea la Moho non è stata ancora raggiunta, nonostante l’ottimismo iniziale. Oggi dopo tutti questi decenni una nuova nave oceanografica cinese si appresta a coronare questi sogni e ha in programma di farlo entro il 2030. La domanda però è se questa Moho sarà rappresentativa non solo del mantello che si trova sotto gli oceani, perché quello continentale potrebbe avere una storia molto differente. Per risolvere la questione si dovrebbe appunto perforare la crosta continentale, ma la Moho attuale è troppo profonda; allora l’idea è quella di trovare una Moho fossile a bassa profondità. Questa seconda possibilità può essere realizzata proprio in Italia, in una zona alpina, la Ivrea – Verbano e c'è giusto un progetto in corso che sta carotando quell'area per arrivarci.

“Guarda! Quello non è basalto; è il mantello! Abbiamo attraversato il Moho! Ce l'abbiamo fatta!" Una dozzina di uomini sono ammassati attorno all'estremità di un pezzo di tubo sporco. Dalla sua estremità emerge lentamente un pezzo di roccia a forma di asta di circa due pollici di diametro. Le loro parole sono confuse e spazzate via dal vento, ma non c'è dubbio che questo sia un grande momento. Si danno colpi esuberanti sulla schiena come i vincitori di una scommessa azzardata.
La scena è il piano di perforazione di un'enorme torre di perforazione che è molto simile a quelle che punteggiano lo skyline delle zone petrolifere. I lavori di estrazione, gli ascensori, le pompe, tutto sembra uguale al solito, ma dov'è il supporto del tubo di perforazione? È steso per tutta la sua lunghezza sul terreno, no, sul ponte. Perché questa è una nave; l'intera enorme macchina ondeggia dolcemente mentre rotola con l'onda. L'orizzonte? Nuvole e acqua.

C'è un silenzioso pulsare di motori in profondità nella stiva, il fischio del vento nel sartiame e il ronzio di un cavo che scorre veloce, ma sopra di loro tutto è il suono emozionante della conquista: pochi istanti prima un pezzo di roccia lungo circa un piede è caduto con un tonfo dall'estremità del tubo in un vassoio semicircolare poco profondo. Quando è successo, un tizio bruciato dal sole in piedi accanto al vassoio si è improvvisamente inginocchiato sulla piattaforma fangosa della grande torre di perforazione, ha afferrato il frammento e lo ha immerso in un secchio d'acqua, strofinando via il fango della perforazione con le mani.
Quando la roccia è abbastanza pulita da renderne visibili i dettagli, il tizio la osserva attentamente. Intorno a lui si accalca parecchia gente e uno dei presenti offre una lente di ingrandimento da geologo.
"Cos'è? Cosa abbiamo?"
Dopo qualche istante un uomo che ha fatto un sacco di domande e preso appunti su un pezzo di carta piegato si allontana e si dirige alla macchina da scrivere nella cabina radio della nave per battere le notizie per il mondo: alle 10:45 di questa mattina, è stata raggiunta la Moho, il limite inferiore della crosta terrestre e l'Umanità ha visto per la prima volta dei campioni del materiale di base che compone la maggior parte della Terra, perché gli scienziati, che perforano nell'oceano profondo a mille miglia dalla costa messicana, sono riusciti a recuperare delle parti del mantello terrestre. Adesso finalmente sappiamo di cosa è fatta la terra".
Questo è quello che si è immaginato sarebbe successo da lì a pochi anni Willard Bascom nel 1961, in A hole in the bottom of the sea. In questo libro l’Autore spiega appunto il Progetto Mohole e cioè quello che è quasi un Santo Graal delle Scienze della Terra: perforare la crosta terrestre per arrivare al mantello e vedere come è realmente fatto (e qundi se le ipotesi che abbiamo siano più o meno reralistiche. Nel libro Bascomb approfondisce anche le tecniche scientifiche utilizzate per comprendere la struttura della Terra, tra cui sismologia e geodesia, e introduce i principi base della perforazione, come i tubi di risalita e i dispositivi anti-esplosione.
Per Bascom realizzare il progetto Mohole era solo una questione di soldi. Invece oltre 60 anni dopo la Moho non è stata ancora raggiunta e non tanto per i problemi finanziari del progetto Mohole i cui costi erano schizzati in alto in maniera impressionante, quanto per problemi tecnici.

Le onde sismiche che arrivano direttamente
 e quelle che arrivano dopo essere state riflesse dalla Moho
LA MOHO.
Il racconto con cui inizia il libro di Bascom è ambientato su una nave oceanografica, ed è una ambientazione logica in quanto la Moho sotto la crosta oceanica si trova a una profondità di 5-7 km, che diventano tra 25 e 70 sotto i continenti a seconda dell’area. Moho è il termine con cui comunemente nella letteratura scientifica e nello slang geologico si indica la discontinuità di Mohorovicich, dal nome del geofisico croato Andrija Mohorovičić che la scoprì nel 1909: analizzando i sismogrammi dei terremoti poco profondi Mohorovičić capì il motivo della presenza di due treni distinti di onde P e onde S: il primo treno arriva direttamente al sismografo dall’area di origine del sisma, il secondo invece vi arriva dopo essere stato riflesso da un mezzo in cui le onde sismiche vanno più veloci (appunto il mantello). La Moho quindi separa la crosta terrestre dal mantello, e il sogno di parecchi geologi è stato di sapere davvero la composizione del mantello. Questo livello ha implicazioni molto importanti per i processi della tettonica a placche perché si ritiene associato a importanti cambiamenti nella mineralogia e nella reologia. 

ONORE ALLA JOIDES RESOLUTION, AVANTI MENG XIAN. Il progetto Mohole fu abbandonato nel 1966, ma possiamo dire che in qualche modo ha dato il via al Deep Sea Drilling Project, il progetto che ha rivoluzionato la nostra comprensione dell’evoluzione dei fondali oceanici, grazie a navi in grado di effettuare carotaggi anche profondi dei loro fondali e non solo della parte sedimentaria. Il progetto ha cambiato nome diverse volte (adesso si chiama IODP3) e questo proposito ho parlato recentemente del massiccio di Atlantis, nell’oceano a largo del Portogallo, dove sono state campionate rocce che pur appartenendo alla crosta erano nel mantello e hanno fornito interessanti indicazioni sulla sua struttura.
La prima nave utilizzata per questo scopo è stata la Glomar Challenger, dal 1968 al 1983. 
Nel 1985 fu varata la Joides Resolution, che ha solcato i mari fino alla sua messa in disarmo nel 2024, dopo 40 anni di onorata carriera e non so quanti giri del mondo. Fra le ultime crociere dobbiamo registrare il log 402, che ha studiato il mar Tirreno (Zitellini et al, 2023) e di cui stanno per uscire i primi risultati.
Oggi di navi oceanografiche ce ne sono diverse (per l'IODP numerose campagne hanno avuto come protagonista la giapponese Chikyu) e fra queste ce n’è una cinese appena varata, la Meng Xian. Si tratta di una nave specificamente ideata per perforare (non dite "trivellare", per favore) la crosta oceanica e raggiungere il mantello, in grado di perforare fino a 11 km utilizzando una asta di perforazione in lega di titanio e una punta diamantata, che consentono una perforazione affidabile in ambienti ad alta temperatura e alta pressione.
Uno degli obbiettivi di questa nave è proprio quello di raggiungere e superare la Moho entro il 2030 (Sun et al, 2025).



la zona Ivrea - Verbano nel Permiano e oggi da Pistone et al, (2020)
QUESTO PER IL MANTELLO OCEANICO. E PER QUELLO CONTINENTALE?
Il mantello oceanico è molto giovane e deriva dall’attività di un margine divergente fra placche. Potrebbe quindi essere molto diverso da quello continentale ben più antico e che è stato interessato da molti altri processi. Ma come arrivare a profondità così elevate come quelle del mantello sotto i continenti? Attualmente il pozzo più profondo ha raggiunto circa 12.000 metri di profondità nella penisola di Kola, meno della metà del necessario. 
Ma esiste un’altra possibilità, trovare una Moho fossile, che per qualche motivo i fenomeni geologici hanno spinto verso l’alto. E questa Moho fossile si trova proprio in Italia: è la Zona Ivrea-Verbano, dove oltre alle parti più profonde della immensa caldera del vulcano della Valsesia, attivo nel permiano di 280 milioni di anni fa (Quick et al, 2009), all’interno di una serie di rocce originatesi nella crosta continentale inferiore si trova un corpo di composizione peridotitica (e quindi di composizione simile a quella del mantello). Quindi si tratta di una parte della crosta profonda che per una serie di vicissitudini tettoniche è ora esposta in superficie. Ma c’è di più: le analisi geofisiche hanno evidenziato la presenza a poca profondità di un corpo ad alta densità, conosciuto come corpo geofisico di Ivrea. Questo suggerisce che non solo la crosta profonda, ma anche una parte del mantello sia stata coinvolta nella risalita: insieme la Zona Ivrea - Verbano e il corpo geofisico di Ivrea sono stati interpretati come la crosta profonda e una parte di mantello della microplacca adriatica oggi incuneati nella crosta europea (Schmid e Kissling, 2000). È importante la  giacitura di questa sezione, che non è più verticale, ma è ruotata praticamente di 90 gradi, portando quindi in esposizione livelli che in origine si trovavano a profondità molto diverse fra loro. In particolare secondo Pistone et al (2020) il Corpo Geofisico di Ivrea conserva la struttura di un complesso igneo formatosi per la cristallizzazione nel mantello superiore di magmi mafici idrati. Quindi nella zona di Ivrea - Verbano esiste una vecchia Moho, rimasta tale anche se sradicata da dove era.
A questo proposito, sotto l’egida dell’ICDP (International Continental Scientific Drilling Program) è in svolgimento nella zona dell’Ivrea-Verbano il Progetto DIVE (Drilling the Ivrea-Verbano zonE), nato per esplorare la crosta inferiore continentale e la sua transizione nel mantello, con l’ausilio di perforazioni scientifiche. A questo link trovate tutto sul progetto DIVE
Gli scopi di questo progetto di perforazione, già in corso, è lo studio dei processi che si svolgono nella zona di transizione tra la crosta e il mantello, sfruttando la combinazione di indagini geologiche e perforazioni scientifiche. 
In conclusione, quindi si spera in pochi anni di avere dei campioni diretti del mantello terrestre, sia di quello oceanico che di quello continentale.

BIBLIOGRAFIA

Bascomb (1962) A Hole in the Bottom of the Sea – The Story of the Mohole Project. Doubleday & Company, Inc. 1961, Garden City, New York

Pistone et al (2020). Joint geophysical-petrological modeling on the Ivrea geophysical body beneath Valsesia, Italy: Constraints,on the continental lower crust. Geochemistry, Geophysics, Geosystems, 21, e2020GC009397.

Quick et al (2009). Magmatic plumbing of a large Permian caldera exposed to a depth of 25 km. Geology 37, 603-606

Schmid & Kissling (2000). The arc of the Western Alps in the light of geophysical data on deep crustal structure. Tectonics, 19, 62–85.

Sun et al (2025).The Moho is in reach of ocean drilling with the Meng Xiang. Nature Geoscience 18, 275–276

Zitellini et al (2023). Expedition 402 Scientific Prospectus: Tyrrhenian Continent–Ocean Transition. International Ocean Discovery Program. https://doi.org/10.14379/iodp.sp.402.2023


giovedì 24 aprile 2025

il terremoto del 23 aprile 2025 del Mar di Marmara e il gap sismico lungo la faglia nord anatolica


Il terremoto M 6.2 del 23 aprile 2025 del Mar di Marmara è avvenuto lungo una delle faglie più note al mondo, la faglia dell’Anatolia settentrionale. Il segmento del Mar di Marmara interessata dal terremoto è stato riconosciuto da diversi anni come sede di un gap sismico, come lo era il settore della faglia di Sagaing interessato dal terremoto del 28 marzo 2025, il che potrebbe far tirare un respiro di sollievo. Purtroppo se in Myanmar la Magnitudo è stata compatibile con quella ipotizzata dagli studi, nel mar di Marmara è stata molto minore di quanto ipotizzato e per questo probabilmente insufficiente a coprire il gap. In questo caso l’evento del 23 aprile non modifica le condizioni che prevedono la presenza di questo gap, con i relativi seri interrogativi sulla reazione degli edifici e delle altre strutture della città di Istambul.

L'Anatolia e le due faglie che la delimitano
GEODINAMICA DELLA TURCHIA. Al di là di una storia estremamente complessa nel passato, che determina all’interno dell’Anatolia la presenza di diversi blocchi che si sono scontrati fra loro, la tettonica odierna della Turchia è abbastanza semplice ed è dominata da due principali contesti deformativi: l’estensione del Mar Egeo a W e la spinta del blocco arabico da sud.
In particolare la spinta del blocco arabico che si incunea dentro l’Eurasia provoca uno “strizzamento” dell’Anatolia, che viene spinta verso ovest, principalmente attraverso due faglie trascorrenti:
  1. la faglia dell’Anatolia settentrionale: una delle più famose faglie al mondo, corre più o meno parallela al Mar Nero ed è ed è ben visibile anche nella immagine più sotto
  2. la faglia dell’Anatolia orientale, nella zona fra Turchia, Siria ed Iraq, balzata alle cronache per i terremoti del febbraio 2023
Le due faglie e il limite con la placca egea individuano quindi il blocco anatolico che ormai, dopo tutte le vicissitudini e le amalgamazioni passate, può essere considerato una microplacca a se stante.
Come succede spesso, queste faglie trascorrenti si impostano lungo una vecchia zona di convergenza fra placche e difatti:
  1. la faglia dell’Anatolia settentrionale è impostata lungo il margine convergente fra l’Eurasia e un microcontinente, quello delle unità Pontidi, staccatosi circa 200 milioni di anni fa dalla placca adriatica (tardo Triassico - primo Giurassico); l’apertura dell’oceano è durata poco (circa 30 milioni di anni) e poi i due blocchi si sono di nuovo scontrati
  2. la faglia dell’Anatolia orientale coincide con il margine fra la placca arabica e l’Eurasia (considerando la Turchia all’interno di quest'ultima) ed è stata fino a qualche decina di milioni di anni fa la zona di convergenza sotto la quale si consumava la crosta della Tetide, l’oceano mesozoico frapposto fra Eurasia e Africa / Arabia
Della faglia anatolica orientale ho parlato a proposito dei tragici terremoti del febbraio 2023.


il meccanismo focale del terremoto
del 23 Aprile 2025 
LA FAGLIA DELL’ANATOLIA E IL TERREMOTO DEL 23 APRILE. Il terremoto M 6.2 del Mar di Marmara del 23 aprile 2024 ha ovviamente registrato un movimento trascorrente lungo la faglia dell’Anatolia settentrionale. Come detto si tratta di una faglia trascorrente destra che separa la placca euroasiatica da quella anatolica. Questa struttura si estende per oltre 1500 km, tra la Fossa dell'Egeo Settentrionale nel Mar Egeo e la giunzione tripla Eurasia-Anatolia-Arabia nella Turchia orientale. I dati GPS indicano un movimento di poco superiore ai 20 mm l’anno (Parsons et al, 2000). La Faglia dell’Anatolia settentrionale non è una struttura continua, ma è suddivisa in vari segmenti, e quelli contigui si possono muovere simultaneamente durante i terremoti principali: ad esempio nel terremoto di Izmit del 17 agosto 1999 è stata interessata un’area lunga 145 km composta da ben cinque segmenti separati da zone di svincolo.

I TERREMOTI PIÙ RECENTI LUNGO LA FAGLIA DELL’ANATOLIA. Gli eventi sismici più recenti ad ovest di Istambul e del Mar di Marmara che hanno interessato la porzione occidentale della faglia dell’Anatolia sono avvenuti nel 1999: i terremoti M 7.2 di Düzce e M 7.4 di Izmit nel 1999, che hanno causato circa 18.000 vittime. 
A ovest di Istambul, nel mar di Marmara, l’ultimo terremoto importante è stato quello M 7.4 di Ganos nel 1912. 
Nel Mar di Marmara quindi si nota una lacuna sismica lungo un segmento lungo 150 km, la cui ultima rottura si presume sia avvenuta nel 1766, mentre tutti i segmenti terrestri della faglia marina dalla provincia di Erzincan nell'Anatolia orientale al Mar di Marmara si sono rotti negli ultimi 100 anni (Stein et al., 1997). Purtroppo essendo coperto dal mare, questo tratto non può essere studiato mediante dati satellitari InSAR e GPS e la presenza di vari segmenti rende difficile la modellazione dello stato di stress del fondo marino. L’immagine tratta da Lange et al (2019) evidenzia la situazione. Da notare nel riquadro oltre alla parte contraddistinta dal gap sismico, anche la progressione verso ovest dei terremoti principali tra il 1939 e il 1999. Questa progressione verso ovest sembra esistere anche nella faglia est-anatolica. 

L’EVENTO DEL 23 APRILE RISOLVE IL GAP SISMICO? PURTROPPO NON È DETTO. A questo punto la domanda che viene spontanea è se questo terremoto possa aver riempito il gap (scenario ottimistico) oppure no (scenario pessimistico). Quindi il caso negativo comporta che il "big one" dell'area debba ancora arrivare. Aochi e Ulrich (2015) hanno modellato le possibili rotture della sezione della faglia nord-anatolica all’interno del mar di Marmara. I risultati della simulazione, pur nell’incertezza della presenza di vari settori della faglia e di quanti possano essere interessati dal movimento, suggeriscono che la probabilità di un terremoto di magnitudo superiore a 7 sia elevata. La maggior parte di questi grandi eventi è caratterizzata da epicentri situati nella parte centrale o orientale del Mar di Marmara (insomma, vicini a Istambul).
il gap tra il terremoto del 1912 e quello del 1999: il terremoto del 23 Aprile
si colloca esattamente all'interno del gap. 
Notare nel riquadro sia il gap che la progressione degli eventi verso ovest

Tuttavia, non si può escludere la possibilità di una rottura con inizio molto a est (al limite con la zona interessata dal terremoto del 1999) che si propaghi verso ovest, che sarebbe lo scenario peggiore per la città e la sua regione. Questo perché molte simulazioni hanno portato a rotture molto estese, come è successo con gli oltre 140 km del terremoto di İzmit.
Tutti questi dati pongono enormi interrogativi visto che se la progressione degli epicentro verso ovest continua il settore del Mar di Marmara è geograficamente quello più prossimo ai due settori interessati dai terremoti del 1999, e si parla di un’area dove la sola Istambul conta 16 milioni di abitanti e dove in tempi recenti le prestazioni di diverse costruzioni in caso di terremoti si sono rivelate insoddisfacenti.
A questo si deve aggiungere le possibilità di uno tsunami, visto che sebbene di limitate dimensioni, uno tsunami ha colpito le coste anche oggi.


BIBLIOGRAFIA CITATA

Aochi e Ulrich (2015). A probable earthquake scenario near Istanbul determined from dynamic simulations. Bull. Seismol. Soc. Am. 105, 1468–1475

Lange et al (2019). Interseismic strain build-up on the submarine North Anatolian Fault offshore Istanbul. Nature Communications (2019)10:3006

Parsons et al (2000). Heightenined odds of large earthquake near Istanbul: an interaction-based probability calculation. Science 288, 661–666

Stein et al (1997). Progressive failure on the North Anatolian fault since 1939 by earthquake stress triggering. Geophys. J. Int. 128, 594–604

lunedì 14 aprile 2025

La cementazione della parte più profonda dei pozzi di reiniezione come provvedimento a successo per riduzione della sismicità indotta dalla reiniezione dei fluidi pompati insieme agli idrocarburi in Oklahoma


Torno dopo una decina di anni a parlare dell’Oklahoma e dei terremoti indotti dalla reiniezione in profondità dei fluidi derivati dall’estrazione di idrocarburi. Dopo che è stata evidenziata la correlazione fra terremoti e reiniezione i principali provvedimenti adottati dalle autorità dopo gli eventi sismici più importanti sono consistiti nella chiusura di alcuni pozzi di reiniezione e/o limitazioni nel tasso di smaltimento in altri. Con l’evidenza della correlazione fra la vicinanza della zona di reiniezione al basamento metamorfico, in Oklahoma è iniziata la cementazione della parte più profonda dei pozzi in modo da evitare che i fluidi reiniettati si fermassero nella loro discesa lontani dal basamento e dalle sue faglie. Un nuovo studio, modellando la sismicità, ha dimostrato la validità dei provvedimenti presi dal governo di questo Stato, in particolare la cementazione dei pozzi nei sedimenti cambriani del gruppo di Arbuckle, che sono quelli più vicini al basamento. 

in rosa l'area studiata da Skoumal et al (2024) e l'evolversi della sismicità

IL PROBLEMA DELL’ACQUA ESTRATTA INSIEME AGLI IDROCARBURI. I fluidi provenienti dalle attività di estrazione di idrocarburi si dividono grossolanamente in due categorie:
  1. nelle coltivazioni tradizionali di idrocarburi le cosiddette acque di strato: i fluidi che vengono vengono estratti insieme a petrolio e gas dai pozzi petroliferi 
  2. quando si usa invece la tecnica del fracking, una parte dei fluidi immessi in pressione nella roccia torna indietro e deve essere smaltita (i fluidi di “flow-back”)
Il volume delle acque di strato varia da giacimento a giacimento ed è particolarmente notevole in Oklahoma e nel Texas. Ad esempio nel texano Permian Shale a fronte di 6,5 milioni di barili al giorno di idrocarburi ne vengono prodotti 20 di acque reflue, dove 20 milioni di barili è pure la quantità di petrolio equivalente utilizzata in tutto gli USA. Il problema è che non solo le acque di strato sono fino a nove volte più salate dell'acqua di mare, ma sono spesso caratterizzate anche dalla presenza di livelli elevati di benzene e altri idrocarburi, tracce di petrolio, metalli pesanti, materiali radioattivi naturali e persino elementi oggi essenziali come il litio. Nel caso delle acque di flowback del fracking poi, si aggiungono pure composti chimici di sintesi quali acidi ed altri. È chiaro ed evidente come queste acque non possano essere rilasciate nell’ambiente e debbano quindi essere smaltite in qualche modo, una questione sempre più impattante per gli operatori e gli enti regolatori, sia pure in un clima non certo sfavorevole al settore da parte della classe politica statunitense. 
La depurazione sarebbe la soluzione più ovvia, ma ha un costo talmente elevato da essere ritenuta almeno nel sudovest degli USA economicamente insostenibile e desta pure parecchie perplessità dal punto di vista ambientale. Pertanto reiniettare queste acque nel sottosuolo in migliaia di pozzi di smaltimento per stoccarle in formazioni geologiche adatte allo scopo è attualmente la soluzione migliore. 
Purtroppo, come è noto, questa pratica sta aumentando in maniera preoccupante la sismicità in alcune delle zone dove viene effettuata. In attesa quindi di una nuova tecnologia in grado di trattare queste acque reflue super salate in modo economicamente e ambientalmente sostenibile, si rende necessario implementare delle soluzioni per diminuire la sismicità, come è successo in Oklahoma settentrionale e nel Kansas, dove la diminuzione del tasso di iniezione ha ridotto il numero di terremoti indotti. 

LA SISMICITÀ DA REINIEZIONE IN OKLAHOMA. L’Oklahoma ha una lunga tradizione di sismicità indotta dalle attività di coltivazione di idrocarburi (l’ho ripercorsa qui). Come ho spesso fatto notare, solo in pochissimi e noti casi la sismicità è direttamente collegata al fracking; fra questi ci sono proprio alcuni casi nell’Oklahoma meridionale, nei Woodford Shales, che come si vede dalla carta della prima figura sono situati a sud-ovest e a sud-est di quest'area (Skoumal et al., 2018), e non sono al centro dello studio di cui sto parlando. Nella stragrande maggioranza dei casi infatti, come in Oklahoma, i terremoti sono correlati alla reiniezione dei fluidi. Il fenomeno è in drammatico aumento in aree degli Usa che ne erano sostanzialmente prive ed è un problema piuttosto importante con cui le autorità devono confrontarsi.
Dopo una serie di studi è stato accertato che l’aumento della sismicità è stato causato dalla reiniezione di acque reflue derivante dalla produzione di petrolio e gas, a causa dell’aumento della pressione dei pori nelle zone di faglia, al quale corrisponde una diminuzione dell’attrito che le teneva ferme (Frohlich,2012) (ne ho parlato qui). È il più classico esempio di sismicità indotta dalle attività antropiche. 
In Oklahoma la situazione è stata estremamente difficile, con un drammatico aumento dell'attività sismica tra il 2009 e il 2015. Tuttavia, gli sforzi normativi per riempire alcuni pozzi di iniezione con cemento e ridurre i volumi di iniezione sono stati efficaci nell'abbassare il tasso di terremoti indotti nello Stato. 

in alto la produzione di petrolio dell'Olkahoma, in basso i terremoti. 
È evidente il crolo della simicità dopo le operazioni di cementazione
dei pozzi, soprattutto nella parte inferiore del gruppo di Arbuckle
L’AUMENTO DELLA SISMICITÀ TRA KANSAS E OKLAHOMA FINO AL 2015. Non è soltanto il Texas occidentale ad essere particolarmente flagellato dal problema: nel nord dell'Oklahoma e nel sud del Kansas tra il 1973 e il 2007, sono stati registrati soltanto sette terremoti di magnitudo ≥ 3 e come si vede dalla seconda figura, dopo il 2007 il loro numero è aumentato a dismisura fino ad un massimo di 940 nel 2015. Ci sono stati anche cinque terremoti con Mw ≥ 5, il primo a Prague nel 2011 - Mw 5.7, poi il massimo nel 2016 con quelli Mw 5.1 di Fairview, Mw 5.8 di Pawnee, Mw 5.8 di Cushing. La figura evidenzia anche come dal 2016 la sismicità sia diminuita notevolmente, nonostante l'aumento della produzione di petrolio, ma attualmente (2024) l’attività in corso è ancora ben al di sopra del tasso di fondo precedente: tra il 2019 e il 2023, mediamente si verificano oltre 20 terremoti di magnitudo ≥ 3 all'anno nell'area e addirittura dopo ben 8 anni dai precedenti così forti, nel 2024 è avvenuto un nuovo evento a Prague di M 5.1. 
È stato accertato che la stragrande maggioranza di questi recenti terremoti è stata indotta dallo smaltimento delle acque reflue nei sedimenti del gruppo di Arbuckle: sono carbonati con inframmezzate delle arenarie, deposti fra Cambriano e Ordoviciano in acque poco profonde sopra i primi e sottili sedimenti che ricoprono il basamento metamorfico di circa 1.400 milioni di anni fa. Siccome il gruppo di Arbuckle si è deposto prima della differenziazione nell’area fra Texas, Kansas, Oklahoma e Arkansas in vari bacini sedimentari paleozoici, questi sedimenti del gruppo di Arbuckle sono quindi alla base di varie successioni sedimentarie differenti note per il loro contenuto di idrocarburidi bacini come Anadarko, Ardmore e Arkoma. 
Ritornando in Oklahoma sopra il gruppo di Arbuckle si è deposta una spessa serie sedimentaria estesa su gran parte dello Stato e di quelli limitrofi che comprende alcune delle più importanti formazioni contenenti idrocarburi, come i Woodford shales del Devoniano e i calcari del Mississippi del Carbonifero. Questi ultimi in particolare sono caratterizzati da un non trascurabile rapporto volumetrico tra acqua e idrocarburi di circa 10:1 (Mitchell e Simpson, 2015): insomma insieme agli idrocarburi viene pompata molta più acqua della media.
È quindi necessario smaltire in profondità un volume enorme di fluidi che non possono certo essere scaricati in superficie. Trasporto e smaltimento di così grandi quantità di fluidi possono rappresentare un onere economico mica da poco, ma nell’Olkahoma i sedimenti del gruppo di Arbuckle, diverse centinaia di metri sottostanti a quelli che forniscono gli idrocarburi, sembravano fatti apposta per questo scopo, avendo una permeabilità elevata: in buona sostanza i fluidi immessi possono fluire rapidamente via dal pozzo, lasciando spazio a nuove iniezioni e sono usati in tutti i bacini delle cui serie fanno parte. A causa dell'aumento delle attività di produzione di idrocarburi dal 2010, i tassi di smaltimento nell'Arbuckle sono aumentati e il tasso di terremoti pure. Il picco del tasso di iniezione è stato raggiunto nel 2015. Negli anni successivi al calo del tasso di iniezione è stato osservato un corrispondente calo del tasso di sismicità (Langenbruch et al., 2018). 

PROVVEDIMENTI DELLE AUTORITÀ E MODELLIZZAZIONE DELLA SISMICITÀ. Skoumal et al (2024) hanno esaminato i fattori responsabili della diminuzione della sismicità indotta dallo smaltimento delle acque reflue, fornendo un ulteriore supporto all'idea che la riduzione della profondità dell'iniezione di acque reflue possa ridurre l'attività sismica in quanto si evita l’aumento della pressione idrostatica nelle faglie del basamento metamorfico e della parte bassa della serie sedimentaria. Queste faglie, in genere subverticali, interessano sia il basamento metamorfico che la parte più bassa della serie sedimentaria, contraddistinta appunto dal gruppo di Arbuckle (Kolawole et al,2020) sono state attive essenzialmente durante l’orogenesi di Ouachita, equivalente alla orogenesi varisica in Europa, oroginatasi dallo scontro fra Carbonifero e Permiano fra Euroamerica e il bordo settentrionale del Gondwana, nei settori che poi sono diventati il Sudamerica e l’Africa. Queste faglie non sarebbero dunque più attive da un bel pezzo, ma appunto la riduzione dell’attrito dovuta all’aumento della pressione dei pori ne ha provocato la nuova mobilitazione. 
la modellistica di Skoumal et al (2024) evidenzia come senza
la cEmentazione dei pozzi la diminuzione della reiniezione
da sola non sarebbe stata sufficiente per diminuire la sismicità
Riconosciuta l’origine della sismicità, a partire dal 2015, la Oklahoma Corporation Commission (OCC) ha emanato 33 direttive relative alla mitigazione della sismicità indotta dallo smaltimento delle acque reflue. Tali direttive spaziavano da ordini regionali per ridurre i volumi in tutto l'Oklahoma a ordini mirati in risposta a singole sequenze di terremoti. Ad esempio, in seguito al terremoto di magnitudo 4.5 di gennaio 2022 vicino a Clyde sono stati chiusi sette pozzi entro circa 10 km dall’epicentro e è stata ridotta la portata di reiniezione del 50% in altri 15, situati entro circa 16 km. In seguito al terremoto di magnitudo 5.8 di Pawnee del 2016, sono stati chiusi 32 pozzi e ridotte le portate in altri 35 che nelle contee di Pawnee e Osage iniettavano nell'Arbuckle. 
La stessa OCC e la corrispondente autorità del Kansas hanno inoltre imposto il riempimento con cemento dei pozzi che iniettano nella parte basale del gruppo di Arbuckle in modo che l’iniezione avvenga in formazioni più superficiali. 
La modellistica di Skoumai et al (2024) ha dimostrato che se la cementazione avesse interessato solo la metà dei pozzi il tasso di sismicità del 2024 in Oklahoma sarebbe stato circa 2,5 volte maggiore rispetto allo scenario attuale, valore che sarebbe stato addirittura di 4,4 volte maggiore senza prendere alcun provvedimento del genere.
A dimostrazione di tutto questo, dove questa operazione non è stata effettuata, ad esempio nel bacino del Permiano del Texas occidentale (salito alla ribalta petrolifera negli ultimi anni) e del Nuovo Messico sud-orientale la sismicità è in aumento, fino a raggiungere il livello di sei terremoti di magnitudo 5 e superiori dal 2020. 
Quanto realizzato in Oklahoma quindi potrebbe consentire anche in queste zone la mitigazione della sismicità indotta. 

BIBLIOGRAFIA 

Frohlich (2012). Two-year survey comparing earthquake activity and injection-well locations in the Barnett Shale, Texas. PNAS 109;13934–13938

Kolawole et al (2020). Basement‐controlled deformation of sedimentary sequences Anadarko Shelf Oklahoma. Basin Research 32,1365–1387.

Langenbruch et al (2018). Physics-based forecasting of man-made earthquake hazards in Oklahoma and Kansas. Nat. Comm. 9, no. 1, 3946,

Mitchell e Simpson (2015).  A regional re-evaluation of the Mississippi Lime Play, South-Central Kansas: The risks and rewards of understanding complex geology in a resource play. SPE/AAPG/ SEG Unconventional Resources Technology Conference, URTEC, URTEC-2154477

Skoumal et al (2018). Earthquakes induced by hydraulic fracturing are pervasive in Oklahoma. J. Geophys. Res. 123, no. 12, 10–918

Skoumal, et al (2024). Reduced Injection Rates and Shallower Depths Mitigated Induced Seismicity in Oklahoma. The Seismic Record. 4(4), 279–287