Il Consiglio europeo delle ricerche ha appena fornito i risultati sulle ricerche premiate come “Advanced Grants” per il 2023. Non è “robetta”, perché si tratta di finanziamenti che arrivano a 2 milioni e mezzo di euro per ricerche di 5 anni. Il quadro per l’Italia è desolante, sia per il numero di ricerche premiate che, soprattutto, per il numero delle borse che verranno svolte nel nostro Paese. Vediamo perché.
Parlando dell’Italia come il Paese di santi, poeti e navigatori, ci si dimentica volutamente del fatto che nel passato la nostra nazione ha dato tantissimo anche alla ricerca scientifica e tecnologica, già agli albori di quando la Scienza ha sostituito la filosofia naturale, proprio partendo da Galileo e dalla sua mania di mettere i fatti davanti alle idee. Evito di citare dei nomi perché sarei costretto a scrivere un lungo elenco, con personaggi noti ma anche altri meno noti il cui ruolo è stato fondamentale.
Questa dimenticanza ha come grave conseguenza l’inadeguatezza del nostro Paese rispetto al mondo scientifico attuale e le classifiche ricavate in base a questi risultati spiegano più di altro il motivo del perché siamo un paese in declino: rivolta al passato, la classe dirigente non capisce che la ricerca scientifica e tecnologica è necessaria per “fare PIL” e non diventare terreno di conquista da parte di chi ha più soldi, fatti proprio grazie alla ricerca scientifica e tecnologica e alle sue ricadute (ad eccezione di chi i soldi li fa vendendo risorse minerarie, a partire dai magnati del petrolio)
A prima vista in classifica non sembriamo messi male, visto che l’Italia è quarta per numero di premiati. Ma è una pia illusione, dovuta al fatto che siamo un Paese con un numero di abitanti molto elevato per gli standard europei. In realtà andiamo MOLTO male: a nazioni piccole come Austria, Irlanda o le scandinave, bastano pochi vincitori per scendere sotto il milione di abitanti per borsa, la Germania ne ha uno ogni 1,6 milioni, mentre noi ne riceviamo uno ogni 2,7 milioni di abitanti: peggio di Portogallo e Grecia, solo la Spagna ha riportato un risultato ancora peggiore.
Se nella classifica per nazionalità dei vincitori dei grant quindi in realtà andiamo malissimo, in quella delle nazioni sede delle ricerche premiate il risultato dell’Italia è semplicemente indecente: solo 12 borse avranno sede nel nostro Paese, circa una ogni 5 milioni di abitanti. Germania, Regno Unito e Francia si collocano a circa una borsa ogni milione e mezzo di abitanti, mentre Austria e Paesi Bassi ne hanno una ogni 700.000 abitanti: con lo stesso rapporto abitanti / borsa dell’Austria, l’Italia avrebbe 85 borse, altro che 12.
Ricordo inoltre che la maggior parte dei nostri ricercatori che vivono all'estero hanno studiato in Italia e quindi utilizzato i fondi pubblici italiani. Ma lavorando all'estero "fanno PIL" per altre nazioni che se li sono ritrovati gratis. Insomma, abbiamo speso per far guadagnare altri Paesi, un grande risultato economico non c'è che dire ...
Per questo l’Italia è desolatamente in coda e non di poco alla classifica della differenza fra nazionalità dei premiati e sede dei premi. Eccellente il Regno Unito, che evidentemente Brexit o non Brexit sa benissimo come attrarre ricercatori, ma anche Austria e Francia se la passano molto bene, mentre sorprendentemente la Germania è “neutra”.
Queste classifiche sono semplicemente allarmanti, perché sanciscono il fatto che siamo un Paese in tragica sofferenza dal punto di vista della ricerca scientifica. Il tuttto succede semplicemente per la tragica mentalità imperante dal punto di vista culturale proveniente ancora dalla concezione assurda di benedetto croce (volutamente con le iniziali minuscole), la persona che nel ‘900 ha fatto dei danni incredibili con la sua riforma scolastica. Questo purtroppo ancora osannato filosofo, del quale penso tutto il peggio di cui sono capace, considerava la Scienza e la Tecnologia come saperi minori rispetto alla cultura umanistica (gli scienziati per lui erano menti minute, mica come lo storico e il flosofo e la scienza “non vivifica l’intelletto” … eh, la Peppa..). E ha sancito il suo pensiero nella riforma che all’inizio degli anni ‘20, depotenziò a scuola lo studio di Scienza e Tecnologia.
E così l'Italia è stata condannata alla decadenza da quando hanno iniziato ad andare al potere le generazioni che conoscevano bene storia e filosofia, ma poco scienza e tecnologia grazie a quella sciagurata riforma scolastica, dopo che solo pochi anni prima il nostro Paese aveva dato Marconi, Mercalli e il gruppo di Via Panisperna (tacendo del radar, scoperto da Nello Carrara 10 anni prima degli inglesi ma rifiutato dalla nostra marina militare), e che nonostante fosse prostrato da una guerra persa che lo aveva distrutto, è stato il primo a inviare un veicolo nello spazio dopo USA e URSS, era protagonista assoluto agli albori dell’informatica e fra i primi al mondo in diversi settori. Dove vogliamo andare se per molti soggetti era un vanto non saper risolvere una equazione (ovviamente di primo grado, eh, non andiamo troppo in là).
Di fatto la classe dirigente la pensa ancora così e se si vede dalle occasioni che abbiamo perso dal dopoguerra ad oggi, a partire dall’informatica, e da altri aspetti, come parlamentari di spicco che dicono che è meglio non studiare ma fare mestieri artigiani, gli stipendi bassi del personale tecnico – scientifico rispetto agli altri Paesi e pure anche dal modo in cui le notizie scientifiche sono trattate su stampa e telegiornali e quant’altro.
Ad esempio vorrei vedere se in altre nazioni stampa ed enti locali darebbero fiducia a fenomeni da baraccone come successe per Giampaolo Giuliani e le sue false previsioni sismiche fatte con una scatola di piombo, per il caso “Stamina”, per la lotta agli scienziati che lottavano in Puglia contro la Xylella o per altre nefandezze, propagandate in nome della “libertà di opinione”
Il tragico riflesso è che la politica preferisce fornire risorse una tantum per rottamazioni, bonus e quant’altro anziché a settori come ricerca & sviluppo o a investimenti strutturali (a parte qualche marchetta elettorale).
L’Europa investe di più nella ricerca, l’Italia invece di meno. In un contesto generale di più spesa per ciò che serve innovazione e competitività, il Paese taglia laddove la doppia transizione verde e sostenibile consiglierebbero invece di investire. Nel 2022 l’Ue nel suo complesso ha speso 352 miliardi di euro in ricerca e sviluppo (R&S), il 6,34 per cento in più rispetto all’anno precedente (331 miliardi di euro). In questo andamento generale l’Italia si distingue per un deficit da 76,2 milioni di euro. La spesa tricolare è scesa dai 25,991 miliardi del 2021 ai 25,915 miliardi del 2022. Nell'immagine i dati del 2021.
L’Italia del 2022 è 18esima su 27 per percentuale di Prodotto interno lordo investito in ciò che serve per accrescere il potenziale competitivo ed economico (ed era 13a nel 2021...). Ma senza ricerca & sviluppo non si inventano nuovi prodotti o nuovi processi, non si migliorano quelli esistenti e l'unico modo per restare competitivi è strizzare fornitori e dipendenti. Nel 2022 ricerca e sviluppo hanno interessato l’1,3 per cento del Pil, oltretutto in calo (-0,1 per cento rispetto al 2021). Anche qui l’Italia non regge il confronto con li Paesi più grandi della UE (Germania 3,1 per cento, Francia 2,1 per cento), ed è lontano da Belgio e Svezia, membri Ue col più alto livello di investimento nel settore (3,4 per cento del Pil).
Abbiamo sentito persino presidenti del consiglio ed economisti di grido dire “a cosa ci serve la ricerca scientifica e tecnologica quando facciamo le scarpe più belle del mondo?”.
Dove vogliamo andare? Ci bastano il turismo (peraltro non certo organizzato bene e che fa posti di lavoro con salari da fame) e “le scarpe più belle del mondo”?
A questo ultimo proposito invito questi fenomeni a visitare oggi i comparti calzaturieri di Toscana e Marche, per esempio…
EDIT: qualcuno mi ha suggerito che in Italia il settore Ricerca & Sviluppo è particolarmente ostacolato da una burocrazia spesso demenziale. È una osservazione assolutamente veritiera anche questa...
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