venerdì 24 gennaio 2025

finalmente in rete l'energia prodotta dal reattore EPR di Flamanville: considerazioni sulla localizzazione di eventuali nuovi impianti e sul dibattito povero di contenuti fra favorevoli e contrari al nucleare


Nel dicembre 2024 in Normandia è entrato in funzione Flamanville 3, il primo (e per adesso unico) reattore EPR realizzato in Francia. La sua costruzione è stata contrassegnata da ritardi e aumenti di costi assurdi, al pari del suo gemello di Olkiluoto in Finlandia. In questo post, dopo aver presentato la storia dei reattori EPR, faccio poi alcune considerazioni sulla situazione geografica degli impianti. Preciso comunque di non voler discutere su pro e contro dell’energia nucleare, tantomeno della questione delle scorie e del decommissioning delle centrali abbandonate. Questo perché il dibattito è alimentato solo da geni favorevoli o contrari che blaterano sull’argomento in maniera assolutamente talebana, le cui argomentazioni mi sconvolgono al punto tale di suscitarmi l’effetto opposto di quello voluto dal soggetto in questione: quanto sento i discorsi di chi è contrario l’impressione che ne ricavo è che l’energia nucleare sia cosa buona, mentre quando sento i favorevoli divento contrario. E quindi non riesco a farmi una opinione.

A luglio 2023, l'energia nucleare forniva quasi il 9,2% dell'energia elettrica mondiale totale, con 407 reattori operativi in 32 paesi e una capacità operativa netta di 365 GW. Attualmente, sono in costruzione 58 nuovi reattori che dovrebbero iniziare a produrre elettricità nei prossimi anni, con una capacità totale prevista di 60 GW.

ll reattore EPR di Flamanville in costruzione 
LA DIFFICILE COSTRUZIONE DEGLI EPR. Sabato 21 dicembre in Normandia è stato finalmente collegato alla rete elettrica francese il reattore Flamanville 3. Avevano provato a metterlo in funzione anche a settembre ma allora andò automaticamente in shutdown. 
Flamanville 3 è un EPR, un reattore nucleare di nuova generazione. La sigla EPR sta per European Pressurised Reactor (Reattore nucleare europeo ad acqua pressurizzata) sigla successivamente riutilizzata come Evolutionary Power Reactor.
Il progetto dell’EPR è stato concepito negli anni ‘90 per rilanciare l'energia nucleare in Europa dopo la catastrofe di Chernobyl del 1986. Il suo sviluppo ha avuto luogo in Francia (anche se all'inizio era coinvolta anche la Siemens) ed è pubblicizzato come più efficiente e più sicuro dei precedenti. Flamanville è il quarto EPR ad entrare in funzione, dopo due esemplari in Cina di cui ho poche notizie (entrati in funzione fra 2018 e 2019) e il gemello finlandese di Olkiluoto. Sono in costruzione almeno altri quattro reattori EPR in Gran Bretagna.
Purtroppo la definizione di bagno di sangue si applica facilmente agli EPR, in quanto la costruzione di Flamville 3  è stata afflitta da numerosi problemi: è iniziata nel 2007 per una entrata in funzione prevista nel 2012 ma l'avvio arriva 12 anni dopo a causa di una serie di battute d'arresto tecniche che hanno visto il costo del progetto salire a circa 13,2 miliardi di euro, quattro volte la stima iniziale di 3,3. Insomma da 5 a 17 anni per la costruzione a quattro volte tanto. Ai finlandesi per Olkiluoto non è andata meglio: la costruzione è iniziata nel 2005 è entrato in funzione nel 2023 anziché nel 2010, con costi passati da 3 a 11 miliardi di Euro e una serie di grane giudiziarie internazionali non da poco su chi avesse dovuto pagare per questo aumento.
Per quanto riguarda gli inglesi, il ritardo a Hinkley Point è per adesso più contenuto (appena 3 anni, dal 2027 al 2030, con diverse vicissitudini societarie) ma i costi sono saliti da 18 a 40 miliardi di Euro; a Sizewell, dove dei due reattori esistenti uno è già stato spento, verranno realizzati altri due EPR.
Annoto che gli EPR erano anche i reattori scelti per la ripresa nucleare italiana, bloccata dal referendum del 2011.


PROBLEMI NELLA COLLOCAZIONE DEGLI IMPIANTI NUCLEARI A CAUSA DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI.
Una cosa fondamentale per cui non si può costruire centrali nucleari nel deserto (tranne che lungo le coste desertiche) è che questi impianti necessitano di tanta acqua per il raffreddamento, per cui vanno realizzati solo dove ce n’è in abbondanza: infatti li troviamo sulle coste, lungo i fiumi e sulle rive dei laghi. Al di là della polemica “nucleare si, nucleare no” deve essere chiaro a tutti come la collocazione di eventuali nuovi impianti dovrà tenere conto dei cambiamenti climatici proprio a causa delle esigenze di raffreddamento dei reattori. 
Portugal-Pereira et al (2024) in un interessantissimo lavoro di review, evidenziano come tra 2010 e 2019, gli impianti nucleari siano stati soggetti a quasi 4000 interruzioni dovute a problemi meteo-climatici (interruzioni che - attenzione - non comportano praticamente mai problemi di sicurezza). Si tratta di un aumento di tre volte rispetto al periodo 1990-2009 (peraltro di durata doppia) e ha comportato una perdita di quasi 50 TWh di potenza potenziale.
Si tratta dell’ennesima conseguenza del riscaldamento globale, che ha aumentato la frequenza e l'intensità di eventi meteorologici e climatici estremi, sia come piogge che come siccità.

CENTRALI NUCLEARI SUI FIUMI: RIDUZIONE DI FLUSSO E AUMENTO DELLA TEMPERATURA DELLE ACQUE. La precipitazione massima media è aumentata dal 1950 e con questa la probabilità di inondazioni ed essendo i reattori vicini a fiumi e coste il problema li coinvolge in pieno; venendo all’estremo opposto, anche i periodi di siccità hanno implicazioni dirette sulle centrali nucleari, dato che molti fiumi non potranno più in futuro garantire l’apporto di acqua necessario, almeno nei mesi estivi. Questo vale soprattutto per i corsi d’acqua provenienti dalle catene montuose, per i quali lo scioglimento delle nevi è una componente essenziale della portata estiva, dato che il riscaldamento globale sta fortemente diminuendo le nevicate. Di fatto, nella difficile estate del 2023 se la centrale di Trino Vercellese fosse stata attiva, il suo funzionamento sarebbe stato interrotto per la magra record del Po, e nelle ultime estati di problemi per il basso livello dei fiumi ce ne sono stati diversi in Francia, rendendo reali le previsioni di Van Vliet et al (2012). 
In altri casi, per esempio per alcuni reattori lungo il Rodano e in Svizzera, la chiusura temporanea è stata dettata da un altro aspetto del Global Warming, la temperatura delle acque fluviali troppo elevata.
È quindi evidente come le eventuali nuove centrali potranno essere costruite esclusivamente o lungo i laghi o sulle rive del mare e che gli impianti su fiumi che presentano periodi di magra sono da evitare oppure da chiudere prima o poi.
le sfide climatiche che devono affrontare gli impianti nucleari, da Pereira-Portugal et al (2024)

CENTRALI NUCLEARI COSTIERE. Per quanto riguarda le centrali costiere, che rappresentano oltre il 40% dei reattori nucleari esistenti oggi, molte si trovano a pochi metri sopra il livello del mare, il che le rende particolarmente vulnerabile al suo innalzamento. Questo presenta più componenti.
  • Innanzitutto c'è una componente assoluta: l'innalzamento del livello globale dei mari
Ci sono poi delle componenti locali, che impattano molto di più anche nel breve periodo. si tratta di movimenti verticali del terreno costiero che quindi provocano una modifica relativa e locale del livello del mare:
  • subsidenza naturale: la maggior parte delle coste basse è interessata da una subsidenza naturale, dovuta alla compattazione dei sedimenti per il carico di quelli successivi che si sono depositati sopra e come risposta generale della crosta terrestre all’aumento del carico dei sedimenti che continuano ad accumularsi. 
  • subsidenza di origine antropica: dovuta ai prelievi antropici di acque dalle falde acquifere, può assumere valori estremamente elevati, come dimostra ad esempio il caso di Venezia
  • subsidenza tettonica: è facile che i terremoti più importanti provochino una subsidenza post-sismica. Fino a quando questi eventi avvengono lontano dal mare (ad esempio in Umbria nel bacino di Castelluccio dopo i terremoti del 2016) i problemi sono pochi, ma nelle aree costiere la situazione rischia di diventare complessa, in special modo nelle coste dei margini convergenti di placca (Giappone, Indonesia, costa pacifica del Nordamerica tra Canada e California settentrionale etc et), dove l'abbassamento del terreno sin e post - sismico è ampiamente documentato: anche dopo il terremoto del 2011 la costa di Fukushima si è abbassata di oltre mezzo metro. 
  • Annoto che in caso di forte terremoto possa succedere anche l’inverso, come è successo nel terremoto del novembre 2016 in Nuova Zelanda, quando intere baie si sono ritrovate sopra il livello del mare. 
Quindi se da un lato c’è il rischio di trovarsi prima o poi un impianto nucleare sotto il livello del mare (e quasi all’improvviso in caso di un sisma come quello del 2011, lungo coste che fronteggiano fosse oceaniche e quindi in area di scontro fra placche), dall’altro un ipotetico reattore potrebbe perdere improvvisamente le tubazioni che prelevano acqua dal mare.
Da tutto questo segue che non solo una centrale nucleare costiera debba rispondere agli ovvi requisiti costruttivi in riferimento alle potenzialità sismiche dell’area, ma è esposta in molti casi al rischio tsunami e deve essere resiliente alle oscillazioni del livello marino, continue o improvvise che siano.

APPUNTI SUL DIBATTITO SUL NUCLEARE. Come ho già scritto nell’introduzione non entro nel dibattito nucleare si / nucleare no perché non mi sento sufficientemente autorevole nel farlo, eppure sono tanti, tantissimi, quelli che non ne sanno nulla ma sono convinti partigiani di una o dell’altra fazione (uso esplicitamente fazione perché questo termine ha una accezione molto negativa quando si parla di un qualcosa che divide).
Insomma, trovo il dibattito sul nucleare più che altro ideologico e non tecnico-scientifico, in generale dettato da persone che non hanno le competenze necessarie per parlarne, un dibattito fatto, da una parte e dall’altra, più da imbonitori che da soggetti che vogliono serenamente informare, con un forte bias espositivo.
La cosa che mi fa impazzire è che in genere per questi signori il proprio campo ha solo pregi ed è esente da difetti. Invece trovo logico, innanzitutto, pensare che una scelta del genere, in un senso o nell’altro, comporti sia dei pregi che dei difetti. Ovviamente dato che il sentimento generale è quello della risoluzione semplice di problemi complessi queste persone destano facilmente un giudizio immediato, totalmente favorevole o totalmente contrario a seconda del bias di ognuno.
Inoltre in molti confondono (deliberatamente o per pura ignoranza) "energia elettrica" con "energia totale"

Ho avuto esperienze dirette di entrambi i campi:
  • da un lato i contrari spesso non portano dati, e quei pochi sono spesso falsati peggio di come li falsano i climascettici quando vorrebbero dimostrare che le temperature non sono in aumento. In genere presentano impressioni (ovviamente fatte per suscitare empatia per le loro idee), con una competenza simile a quelli del “no cinqueggi”. Alcuni poi sono paladini della decrescita (in)felice della peggior specie
  • dall’altro quelli favorevoli mi paiono più dei piazzisti disonesti che propongono un mondo fantastico dove "nucleare è bello e gli altri sono brutti" anziché tecnici che presentano un quadro realistico. Uno addirittura in un dibattito mi ha persino esplicitamente negato l’evidenza delle centrali francesi chiuse temporaneamente a causa dei fiumi (evidenza talmente ben comprovata da non poter essere messa in discussione)
Sono (almeno in Italia) condizioni veramente drammatiche per avviare un dibattito serio su un problema così impattante (e complesso) per il futuro dell’Umanità, che deve assolutamente "chiudere" prima possibile con i combustibili fossili.

BIBLIOGRAFIA CITATA

Portugal-Pereira et al, 2024 Exposure of future nuclear energy infrastructure to climate change hazards: A review assessment. Energy Strategy Reviews 53 (2024) 101365

Van Vliet et al (2012). Vulnerability of US and European electricity supply to climate change. Nature Climate Change 2, 676–681



venerdì 17 gennaio 2025

la storia geologia della Groenlandia e la sua importanza economica e strategica


Penso che poche volte in tutto il mondo la Groenlandia sia stata popolare nei media come negli ultimi giorni, a causa delle uscite del Presidente Trump sull'argomento. In realtà l'attenzione del mondo geopolitico ed economico verso l'isola a sovranità danese è stata sempre molto alta, in quanto la sua posizione e le sue risorse minerarie sono note, almeno agli specialisti, da parecchi decenni. Vorrei quindi in questo post parlare della storia geologica di quest'isola e del perché è considerata oggi così importante.

A causa della spessa calotta glaciale che ne ricopre la maggior parte, la geologia della Groenlandia è facilmente rilevabile solo lungo le coste. Comunque, anche solo grazie a quanto si vede lungo le coste, sono state accertate a grandi linee vari episodi di una storia di oltre 3 miliardi di anni: l’isola è costituita da un nucleo cratonico archeano, un orogene paleozoico lungo la costa orientale, mentre un rift la separa a ovest che dalla parte principale della Laurentia in Canada. Il nucleo archeano è stato ampiamente rielaborato durante il Paleoproterozoico.

a sinistra i rift terziari che hanno staccato la Groenlandia da Eurasia e America Settentrionale
a destra da Martos et al (2018) la traccia del passaggio sotto l'isola del plume mantellicoche ha provocato
nel Mesozoico la formazione dei magmi della HALIP e nel Terziario la provincia magmatica dell'Atlantico Settentrionale
LA GROENLANDIA: UN PEZZO DEL BASAMENTO PRECAMBRIANO CANADESE. Grazie ai dati geologici e geofisici si può dire che la grande isola artica sia una continuazione dell’Artico canadese: stratigrafia, spessore della crosta e il basso flusso di calore dall’interno della Terra forniscono uno schema coerente con quanto le sta ad ovest: la Groenlandia è dunque un cratone e quindi, un continente stabile senza grandi perturbazioni tettoniche da quando alcuni blocchi crustali si amalgamarono fra loro, nel lontano Proterozoico inferiore (diciamo prima di un miliardo e mezzo di anni fa). A questi eventi sono seguiti nel Fanerozoico l'orogenesi caledoniana e una serie di eventi di tettonica distensiva, grazie ai quali la Groenlandia si è poi separata da Nordamerica ed Eurasia (per un pò di tempo tra Eocene e Oligocene potrebbe addirittura essersi comportata come una placca indipendente). Ho deciso di parlare prima della parte "recente" perché mi sembrava di rendere più chiara la narrazione degli eventi.

EVENTI FRA PALEOZOICO, MESOZOICO E TERZIARIO. Dopo la amalgamazione dei vari cratoni, conclusa quasi 2 miliardi di anni fa, l’isola è stata interessata negli ultimi 500 milioni di anni da alcuni eventi importanti:
  • nel Paleozoico inferiore la costa orientale è stata deformata dall’orogenesi caledoniana quando il Nordamerica si sé scontrato con l’Europa settentrionale tra Ordoviciano e inizio Devoniano (490 – 390 milioni di anni fa), in quanto costituiva la parte orientale della Laurentia (lo è ancora adesso, dopo che nel Terziario Laurentia ed Europa si sono nuovamente seprate)
  • dal Paleozoico superiore e nel Mesozoico c’è stata a più riprese una tettonica distensiva che ha formato all'interno alcuni bacini
  • nel Terziario inferiore, quando tra Paleocene e Oligocene prima si è separata dal Labrador e parzialmente dall’artico Canadese, e poi dall’Europa
Rispetto alla situazione generale, i dati geofisici hanno evidenziato una fascia di flusso di calore elevato (Martos et al 2018) che attraversa la Groenlandia in direzione NW-SE dove anche la crosta è molto più sottile, circa 25 km conto il normale valore di 40 (Kumar et al 2007). Questa fascia probabilmente testimonia il passaggio sotto la Groenlandia del plume del mantello ora sotto l’Islanda e che aveva formato nel Cretaceo i magmi della HALIP, la grande provincia magmatica dell’Alto Artico (o il passaggio della Groenlandia sopra di esso), una delle maggiori Large Igneous Provinces della storia. I magmi della HALIP si trovano tra Artico canadese, Groenlandia settentrionale, Svalbard e sulla parte occidentale della piattaforma continentale artica dell’Eurasia.

i blocchi archeani della Groenlandia e i rapporti con l'Artico canadese
UNA TERRA ANTICA: LO SCUDO GROENLANDESE. Se qualcuno, come me, è appassionato di “roba vecchia” dal punto di vista geologico la Groenlandia è decisamente casa sua: tolta la costa orientale dove troviamo le rocce dell’orogenesi caledoniana del Paleozoico inferiore e i basalti del Terziario inferiore difficile trovare, almeno sulle coste, cose così “giovani” (dovrebbero esserci sedimenti più recenti all’interno ma è ancora tutto da scoprire). Un rapido excursus si rende quindi necessario. Innanzitutto il precambriano groenlandese sarebbe in continuità con quello dell’America settentrionale se non fosse per il rift che l’ha allontanata nel Terziario inferiore dall’Artico canadese e dal Labrador, formando la Baia di Baffin e il mare del Labrador, come si vede da questa carta presa e leggermente modificata da St-Onge et al, 2006).

La Groenlandia precambriana si divide in 3 blocchi diversi:
  1. Victoria Fjord: è considerato un terrane e non un cratone. Si trova nell’estremo nord. È composto da rocce magmatiche intrusive e da rocce metamorfiche con età che vanno da 3.5 a 2.6 miliardi di anni (Nutman et al 2019). Oltre all’artico canadese alcune rocce riferibili a questo terrane si trovano in Siberia
  2. Cratone di Rae: è uno dei costituenti fondamentali del Nord America. Anche qui le età non scherzano: alcune rocce metamorfiche derivano da graniti di 3,1 miliardi di anni fa e ci sono delle rocce magmatiche (rioliti) ancora fresche vecchie di 3 miliardi di anni tondi tondi (Thrane, 2021).
  3. Cratone Nord-Atlantico: affiora anche nel Labrador. Qui le età oscillano tra 3,9 e 3,0 miliardi di anni. Questa grande varietà di date viene spiegata con una sua origine come amalgamazione di terranes molto diversi fra loro. All’interno del cratone Nord-Atlantico troviamo una delle aree geologicamente più iconiche della Groenlandia, la Usua Greenstone Belt: si tratta di una delle varie cintura di rocce verdi (greenstone belts, appunto) inframezzate tra i blocchi archeani, composta da rocce mafiche magmatiche e sedimentarie, ovviamente metamorfosate circa 3,7 miliardi di anni fa. Le greenstone belts rappresentano l'equivalente archeano delle cinture ofiolitiche successive; testimoniano le collisioni fra i cratoni e quindi l’esistenza dei primi movimenti della tettonica placche. Nonostante che sia accessibile solo vicino alla costa, la Usua Greenstone Belt è la più grande esposizione disponibile di rocce sopracrostali eoarcheane sulla Terra. È molto interessante il fatto che questa fascia rappresenti probabilmente i resti di un arco magmatico (Szilas et al, 2015)
Questi blocchi non erano in origine in contatto fra di loro, ma si sono scontrati in tempi remotissimi e questi scontri sono conservati in diversi orogeni:
  1. la fascia mobile di Inglefield marca lo scontro, avvenuto circa 1,85 miliardi di anni fa tra il terrane di Victoria Fjord e il cratone di Rae
  2. l’orogene di Nagssugtoqidian (il nome è quello, ho fatto il classico copia-incolla…) marca lo scontro fra i cratoni di Rae e nord-atlantico, conclusasi circa 1,7 miliardi di anni fa
  3. poco a nord della punta meridionale della Groenlandia è compresa nell’orogene Ketilidiano. Originatosi circa 3 miliardi di anni fa dallo scontro fra cratone Nord-Atlantico e un blocco ora ben rappresentato solo in Scandinavia (le Svecofennidi), è stato smembrato nel Terziario inferiore quando la Groenlandia si è staccata dal Canada.
  4. lungo la costa centro-occidentale dell’isola si trova l’orogene di Rinkian, attivo tra 3,1 e 2,7 miliardi di anni fa: dovrebbe marcare il contatto fra il cratone di Rae e il microcontinente di Meta Incognita, posto attualmente nella parte meridionale dell’isola di Baffin

la divisione delle sovranità dei Paesi
che si affacciano sull'Artico
LE RISORSE DELLA GROENLANDIA. Come ho scritto nell'introduzione, la Groenlandia è un’area geopoliticamente ed economicamente strategica per diversi motivi, che il Presidente Trump evidentemente conosce bene ed è per questo che società di tutto il mondo (Europa, America, Asia - soprattutto Cina -,  e Australia) sono molto interessate a questa regione.

1. GEOPOLITICA: alla Groenlandia appartiene parte dell’Oceano Artico e anche questo è un particolare importante, sia per lo sfruttamento della sua piattaforma continentale e quindi della zona economica esclusiva, sia perché la diminuzione dei ghiacci potrebbe portare presto da quelle parti all’utilizzo di rotte marittime, il cui controllo è ambito

2. GIACIMENTI DI IDROCARBURI: condizioni per la presenza di giacimenti di idrocarburi sono presenti lungo quasi tutte le coste ad eccezione della parte sudorientale, dove sono presenti i magmi della Grande Provincia Magmatica dell’Atlantico Settentrionale. Va notato comunque che i risultati nella baia di Baffin sono stati piuttosto deludenti

le materie prime in Groenlandia da Rosa et al (2023)
3. MATERIE PRIME FONDAMENTALI: ma quello che fa capire il perché delle tante mire sul territorio groenlandese sono le risorse minerarie custodite nelle rocce dell’isola. Come è noto una buona parte dei minerali e degli elementi essenziali per la nostra economia vengono da aree la cui storia geologica si è conclusa in tempi non recenti, anche perché l’erosione ha portato a giorno parti della crosta che si erano formate in profondità e la Groenlandia non fa eccezione.

Un recente documento prodotto dal Centro per i minerali e i materiali del Servizio Geologico della Danimarca e della Groenlandia (Rosa et al, 2023) presenta il potenziale delle risorse minerarie groenlandesi di CRM (critical row materials), concentrandosi sulle materie prime etichettate come critiche dalla Commissione Europea nel 2023, nonché su alcune considerate potenzialmente critiche.

La zona libera dai ghiacci della Groenlandia, che copre circa 0,4 milioni di km2 (una superficie leggermente maggiore di quella italiana), ospita come si è visto, rocce che vanno dall’Archeano al (relativamente) recente e non solo i depositi precambriani, ma pure quelli più recenti dell’orogenesi caledoniana offrono un potenziale minerario e rendono la Groenlandia favorevole alla ricerca e allo sfruttamento di una gamma di risorse minerarie, inclusi alcuni dei minerali critici e potenzialmente critici.

Il rapporto è molto dettagliato e schematizzato nella tabella qui accanto. In particolare si nota la presenza significativa di Terre Rare, sia leggere (LREE) che pesanti (HREE), Niobio, elementi del gruppo del Platino (PGMs). Meno presente il Litio.

Quello che lascia sbalorditi è l’impatto enorme dal punto di vista quantitativo di quella fascia di territorio estremamente limitata rispetto al totale dell’isola (anche se, ripeto, rimane sempre scoperta dai ghiacci una estensione maggiore di quella di Paesi come Germania o Italia), per cui se si trasferiscono queste aspettative al suo interno, queste parrebbero enormi; è altresì probabile che se nelle coste affiora direttamente il basamento precambriano, all’interno in molti casi questo sia ricoperto da spessi strati di sedimenti. Ma c'è sempre la possibilità che l'erosine alla base dei ghiacciai abbia spazzato via molti dei sedimenti recenti

Resta inoltre sul tappeto una questione fondamentale: la Groenlandia è ancora un'area abbastanza incontaminata e le attività estrattive minacciano l'ambiente artico. E non è solo una minaccia a causa dell'inquinamento e per la fauna artica: l'incremento delle polveri antropiche che risulterebbe ovviamente dalle attività di estrazione mineraria potrebbe depositarsi sul ghiaccio, coprendolo con una patina scura la quale, trattenendo il calore più del ghiaccio bianco, ne provocherebbe una maggiore fusione. 
Aggiungo che a molti di quelli interessati, il riscaldamento globale (che spesso negano) farà molto comodo perché aumenterà l'area senza ghiacci, potenzialmente sfruttabile dal punto di vista minerario.

BIBLIOGRAFIA

Kumar et al (2007). Crustal structure of Iceland and Greenland from receiver function studies. Journal of Geophysical Research 112, B03301l

Martos et al (2018). Geothermal heat flux reveals the Iceland hotspot track underneath Greenland. Geophysical Research Letters, 45, 8214–8222.

Nutman et al (2019). The Archean Victoria Fjord terrane of northernmost Greenland and T geodynamic interpretation of Precambrian crust in and surrounding the Arctic Ocean. Journal of Geodynamics 129, 3–23

Rosa et al (2023). Review of the critical raw material resource potential in Greenland. MiMa rapport 2023/1

St-Onge et al (2009). Correlation of Archaean and Palaeoproterozoic units between northeastern Canada and western Greenland: constraining the pre-collisional upper plate accretionary history of the Trans-Hudson orogen. Geological Society Special Publications 318,193-235

Szilas et al (2015). The petrogenesis of ultramafic rocks in the N 3.7 Ga Isua supracrustal belt, southern West Greenland: Geochemical evidence for two distinct magmatic cumulate trends. Gondwana Research 28 (2015) 565–580

Thrane (2021). The oldest part of the Rae craton identified in western Greenland. Precambrian Research 357, 106139

martedì 14 gennaio 2025

ultime notizie: importante sciame sismico al Bardarbunga (Islanda). Probabile intrusione di magma ma non è detto che avvenga presto una nuova eruzione del vulcano


Niels Bohr diceva che “è difficile fare previsioni, specialmente per il futuro", e questo è un detto assolutamente ineccepibile quando si parla di vulcani. Giusto ieri avevo scritto che il Bardarbunga, che ha prodotto una eruzione importante nel 2014-2015 mostrava una certa attività sismica, essenzialmente sul margine NE della caldera ma che per adesso una eruzione non era imminente.
Il quadro forse (dico forse!)è improvvisamente cambiato, perché oggi 14 gennaio c’è stata una sequenza sismica molto importante e soprattutto caratterizzata da una buona distribuzione delle profondità ipocentrali tra 10 km e la superficie. Insomma, questo sciame ha caratteristiche simili a quelli che si verificano durante le intrusioni di magma.

UN VULCANO CHE STA PREPARANDO DA ANNI UNA NUOVA ERUZIONE. Il Bárðarbunga è sempre sotto stretta osservazione: dopo l’ultima eruzione, conclusasi nel 2015, e di cui ho parlato diverse volte, il vulcano, si sta rigonfiando e questo dimostra che il magma si sta ancora accumulando sotto l’edifico vulcanico. Monitorarlo non è semplice, perchè si trova sotto il grande ghiacciaio Vatnajokull e quindi è difficile vedere quello che succede in superficie (eventuali fumarole ed altri fenomeni tipici di un vulcano tutt’altro che quiescente). Quindi i ricercatori si basano molto su dati geofisici, in particolare la sismicità e i sensori GPS posti immediatamente al di là del limite del ghiacciaio
I sensori GPS mostrano una forte deformazione grazie alla quale viene monitorato di continuo il processo di rigonfiamento del vulcano. E a proposito della sismicità, il rigonfiamento è accompagnato da terremoti che raggiungono livelli abbastanza importanti per essere di origine vulcanica (anzi, vulcano – tettonica): infatti le Magnitudo talvolta superano il 4 (addirittura 11 eventi con M 4 o superiore negli ultimi 365 giorni) e che in generale è annidata sul bordo della caldera.
Stamattina il Bardarbunga ha fatto le cose in grande: un forte sciame sismico è iniziato poco nella parte nord-occidentale della caldera. Dall'inizio dello sciame, le 6:00 UTC, sono stati registrati circa 130 terremoti, con il più forte che ha raggiunto una magnitudo di 5.1 alle 8:05.
Inoltre, sono stati rilevati altri 17 terremoti di magnitudo 3 o superiore, tra cui almeno due di magnitudo 4 o superiore (ovviamente le stime della Magnitudo potrebbero cambiare man mano che l'analisi degli eventi è in corso).
L'attività sismica è stata più intensa fino alle 9:00 UTC circa, dopodiché ha iniziato a diminuire, anche se si stanno ancora registrando terremoti nella zona. È troppo presto per stabilire se lo sciame si stia attenuando, tantomeno se sia o no un precursore di un'eruzione, anche se ricorda quelli che si verificano durante le intrusioni di magma precedenti all’eruzione del 2014 (ne ho parlato qui quando il processo era in corso): questo perché quando l'eruzione di Holuhraun è iniziata nell'autunno del 2014, la sismicità di questo tipo è durata per settimane e tutti, tramite il servizio meteorologico islandese, abbiamo potuto osservare “in diretta” dal suo evolversi come il magma si facesse spazio in direzione NE. Potremmo essere quindi davanti ad una situazione come quella del 2014, ma i dati vanno analizzati e soprattutto bisogna vedere se la sismicità continuerà. È comunque molto probabile che l’attività di oggi sia connessa ad una iniezione di magma verso la superficie.

la sismicità della mattina del 14 gennaio 2025 al Bardarbunga.
si nota anche una certa attività al Grimsvotn, preesistente a quella del Brdarbunga:
è realistico che provochi un limitato scioglimento del ghiacciaio
e quindi è previsto un aumento dell'afflusso di acque nei torrenti

POSSIBILI CONSEGUENZE DI UNA EVENTUALE ERUZIONE. Il vulcano è lontano dagli insediamenti umani, ma in caso di eruzione ci possono essere due scenari:
  1. UNO SCENARIO CLASSICO, CIOÈ UNA ERUZIONE NELLA CALDERA: questa provocherebbe una inondazione perché provocherebbe lo scioglimento di quella parte del grande ghiacciaio, il Vatnajokull, sotto il quale giacciono anche altri 5 vulcani: il Grimsvotn. Gvarkfjoll, Oraefajokull, Thordarhyrna ed Esjufjoll (se mettiamo al centro il Grimsvotn, gli altri sono ad una distanza da esso che varia tra i 25 e i 55 km). Inoltre potrebbe esserci il rischio di una nube di ceneri come nel 2010 l’Eyiafjallayokull e allora sarebbero dolori per il traffico aereo
  2. ERUZIONE ESTERNA, COME NEL 2014: spesso, quando erutta il Bárðarbunga, il magma non emerge dalla caldera stessa, ma segue una delle tante fratture a raggera che si diramano dal vulcano, come è successo nell'eruzione del 2014 a Holuhraun. In questo caso il magma affiora in superficie ben oltre il limite del ghiacciaio e forma delle colate di lava, che essendo in aree prive di interesse antropico, non comportano rischi di nessun tipo se non possibili problemi dovuti alle emissioni gassose.
Il codice colore dell'aviazione per Bárðarbunga è stato aumentato a giallo, ma è un provvedimento normale quando un vulcano da segni di attività sopra il livello di fondo. 
Vedremo comunque molto presto se avverrà presto una nuova eruzione oppure dovremo ancora aspettare. Di sicuro la dinamica del vulcano ci dice che il magma vi sta affluendo dalla crosta inferiore

 

lunedì 13 gennaio 2025

Islanda: mentre si aspetta il nuovo episodio vulcanico nella penisola di Reykjanes, una intrusione di magma è in corso nella penisola di Snaefellsnes


l'estensione del sistema vulcanico di Ljósufjöl con indicate
  • l'ultima colata del IX secolo EV
  • e l'area attualmente interessata dalla sismicità
In Islanda è estremamente nota l'attuale fase di attività vulcanica nella penisola di Reykjanes. Questa attività, che ha interrotto 780 anni di quiete vulcanica nell’area, e che andrà probabilmente avanti per decenni (ne ho parlato diverse volte, per esempio qui quando avvenne la prima eruzione), è iniziata con una intrusione non arrivata in superficie all’inizio del 2020 ed è proseguita dal 2021 con una decina di eruzioni a partire dalla primavera del 2021. Adesso è realistico pensare ad un prossimo evento tra la fine di gennaio e febbraio 2025. Ma non è l’unica area dell’isola in cui c’è attività magmatica: in questi mesi la penisola di Snaefellsnes nell’Islanda occidentale è interessata da una sismicità importante come numero di eventi, la cui origine è una intrusione di magmi che si sta mettendo in posto nella crosta profonda a circa 15-20 km di profondità.

L'INTRUSIONE MAGMATICA ATTUALMENTE IN ATTO NELLA PENISOLA DI SNAEFELLSNES. All'estremità orientale della penisola di Snaefellsnes nell’Islanda occidentale si trova il sistema vulcanico di Ljósufjöl. Si tratta di un gruppo di colate laviche provenienti da alcune fessure lungo una linea WNW-ESE lunga circa 90 km. È interessante notare che oltre ai basalti troviamo vulcaniti con più silice, come rioliti e trachiti, eruttate durante il Pleistocene medio-tardo (Flude et al, 2008).
L’ultima eruzione del sistema è avvenuta nel X secolo d.C., ed è quindi successiva alla colonizzazione dell’isola: nell'occasione fu prodotto un campo di lava di circa 13 km2. In media, negli ultimi 10.000 anni, questo sistema vulcanico è entrato in eruzione ogni 400 anni e quindi siamo statisticamente in ritardo. Lo scenario più probabile in caso di eruzione è una colata lavica di dimensioni paragonabili a quelle attuali della penisola di Reykjanes, magari leggermente esplosiva, con fontane di lava, flussi di lava e modesta produzione di ceneri.
In quell’area l'ultima significativa attività sismica era stata rilevata nel 1992, con due terremoti di magnitudo M3 e M 3.2, accompagnati da diversi altri superiori a M 2.0 (dati del sistema SIL).
Dopo quasi 20 anni di attività sismica “di fondo”, dalla primavera del 2021 il numero dei terremoti è sensibilmente aumentato, con un picco nell’autunno di quell’anno, quando avvennero due eventi a M 3. L’attività poi è proseguita con un succedersi di fasi più intense e fasi di quiete, con Magnitudo basse, fino a quando il 18 dicembre 2024 si è verificato un terremoto di M 3.2.
Già a settembre 2024, vista la situazione in evoluzione e che il sismometro più vicino si trovava a circa 30 km dall'area attiva, il servizio meteorologico islandese, competente anche per i terremoti e i vulcani, ha deciso di aumentare il monitoraggio dell'area con un sismometro a cui è seguita l’installazione di una stazione GNSS. Il nuovo sismometro non solo ha migliorato la capacità di rilevare terremoti con M inferiore a 1, ma anche di determinare con maggiore esattezza la profondità degli eventi, cosa notoriamente non semplicissima. La profondità della maggior parte dei terremoti nell'area è ora ben vincolata a una profondità compresa tra 15 e 20 km. Da quando la stazione GNSS è stata installata a Hítardalur, i dati non mostrano alcuna deformazione rilevabile in superficie. Anche l'analisi dei dati satellitari (InSAR) dal periodo 2019 all'estate 2024 non mostra alcuna prova di deformazione superficiale.
il tremore sismico del 2 gennaio 2025

In una riunione il 19 dicembre c’erano due ipotesi sulla sequenza sismica: accumulo di magma in profondità o movimenti tettonici.
La situazione è cambiata il 2 gennaio 2025, quando si è evidenziato un episodio di tremore sismico, durato circa 40 minuti. Quel giorno furono registrati in totale circa 20 terremoti, tutti a profondità comprese tra 15 e 20 km e con una Magnitudo compresa tra 0,1 e 2,0. A questo punto è diventato ovvio attribuire questa crisi sismica ad una intrusione di magma posta tra 15 e 20 km di profondità, nella crosta inferiore che da quelle parti è spessa poco più di 25 km (Kumar et al, 2007).  Un’altra circostanza che porta a rendere realistico è la proporzione molto alta di piccoli terremoti rispetto ad un quadro di terremoti dovuti a cause tettoniche.
Attualmente non vi sono prove di migrazione del magma a profondità ridotte, ma ovviamente un rapido aumento nel numero e nella magnitudo dei terremoti e una migrazione degli ipocentri verso la superficie saranno la eventuale spia di una propagazione del magma verso la superficie, cosa che attualmente non è detto che avverrà. Altrettanto ovviamente il servizio meteorologico islandese sta anche provvedendo a installare stazioni aggiuntive (sismiche e GNSS) per monitorare con più accuratezza l’evoluzione del fenomeno. Purtroppo le osservazioni con i dati radar satellitari non sono attualmente utilizzabili a causa della copertura nevosa.

evoluzione della sismicità del Ljósufjöl dal 2021

la sismicità sotto al monte Upptyppingar nel 2006,
anche essa dovuto ad una intrusione magmatica
che non ha raggiunto la superficie

UN ANALOGO ISLANDESE NEL 2006 E LE DIFFERENZE INVECE CON LA SISMICITÀ DEI CAMPI FLEGREI. Quindi il meccanismo che causa la sismicità profonda è la spinta  nella crosta dovuto all'intrusione magmatica.
Una cosa simile è successa in Islanda nel 2007, vicino al monte Upptyppingar, nella parte NE del sistema vulcanico Kverkfjöll, il cui apparato principale si trova sotto alla parte settentrionale del grande ghiacciaio Vatnajökull (Jakobsdóttir et al, 2008). Durante gli sciami di Upptyppingar le stazioni GPS avevano anche documentato una deformazione crostale entro 25 km dall'area dello sciame. La sequenza sismica di Upptyppingar del 2007 assomiglia a quella attuale in quanto:
  • i terremoti si erano concentrano a profondità focali di 14-22 km;
  • la proporzione di piccoli terremoti rispetto ad un quadro di terremoti dovuti a cause tettoniche è molto alta e simile al caso odierno
  • l’area interessata è di dimensioni simili, anche se a Upptyppingar si è assistito ad una migrazione nel tempo degli eventi, mentre a Snaefellsnes gli eventi si trovano contemporaneamente in tutta l’area.
Sismicità e deformazione hanno suggerito quindi che l’origine del fenomeno fosse una risalita di magma risalito dal mantello fino alla base della crosta. In quel caso l'intrusione si è fermata in profondità senza risalire in superficie.
Giova osservare, inoltre, che la situazione nella penisola di Snaefellsnes è diversa da quanto succede ai Campi Flegrei, dove il magma, peraltro più superficiale, non da segni di risalita e il sollevamento è dovuto all’afflusso verso l’alto di fluidi magmatici.

PENISOLA DI REYKJANES: NUOVA ERUZIONE FORSE GIÀ DA FINE GENNAIO? I dati sulla deformazione fino al 30 dicembre 2024 pubblicati dal servizio meteorologico islandese indicano che continua l'accumulo di magma sotto Svartsengi. Il tasso di afflusso di magma, stimato in base alla deformazione del terreno, è poco più di 3 m³/s, simile al tasso osservato prima dell'ultima eruzione. Se l'accumulo di magma continua al tasso attuale, si prevede che il volume di magma sotto Svartsengi raggiungerà le soglie critiche di 12 milioni di m³ entro la fine di gennaio e circa 13,5 milioni di m³ entro la prima settimana di febbraio. Pertanto, le probabilità di un'eruzione a Svartsengi stanno aumentando.

APPUNTO FINALE: AL BARDARBUNGA CONTINUANO I TERREMOTI MA PER ADESSO NIENTE MAGMA IN MOVIMENTO. La caldera del Bardarbunga, celebre per la nota eruzione del 2014-2015 continua a mostrare una certa attività sismica, ma per adesso nulla fa pensare a movimenti di magma e quindi una eruzione non è all’ordine del giorno.

EDIT: con i vulcani non si può mai dire! Ieri ho scritto queste note sul Bardarbunga. E stamattina c'è stato uno sciame sismico che potrebbe essere stato causato da una risalita di magma: https://aldopiombino.blogspot.com/2025/01/ultime-notizie-importante-sciame.html

BIBLIOGRAFIA

Flude et al (2008) Silicic volcanism at Ljósufjöll, Iceland: Insights into evolution and eruptive history from Ar–Ar dating Journal of Volcanology and Geothermal Research 169 (2008) 154–175

Jakobsdóttir et al (2008) earthquake swarms at Upptyppingar, North-East Iceland: a sign of magma intrusion? Stud. Geophys. Geod., 52, 513-528

Kumar et al 2007 Crustal structure of Iceland and Greenland from receiver function studies Journal of Geophysical Research 112, B03301l


giovedì 9 gennaio 2025

il terremoto del Tibet del 7 gennaio 2025: il sistema di rift sud-tibetano, una fascia in estensione molto particolare subito alle spalle dell'Himalaya


Il terremoto M 7.1 del 7 gennaio 2025 nel Tibet è un evento che merita una particolare attenzione non solo per il bilancio delle vittime e di morti ma anche per il meccanismo focale: a nord della catena himalayana, la fascia dove adesso avviene la collisione fra l'India e il bordo dell'Eurasia, si trova una vasta area del Tibet caratterizzata da una tettonica distensiva, nota come il sistema di rift sud-tibetano. Il terremoto pare proprio essersi generato lungo una delle più importanti (e lunghe) faglie che lo compongono. Non è ancora chiaro il motivo dell'esistenza di questo sistema distensivo, anche se la maggior parte dei ricercatori pensano che le cause vadano trovate nel mantello sottostante e dei movimenti in profondità del cuneo della placca indiana che sta scorrendo sotto l'Eurasia. 
 
l'evento principale (cerchietto rosso)
e le maggiori replichefino al giorno dopo
LA SISMICITÀ DIFFUSA ASIA TRA INDIA, CINA E SIBERIA: La regione vicino al confine tra le placche indiana ed eurasiatica ha una storia di grandi terremoti. Negli ultimi 100 anni si sono verificati 10 terremoti di magnitudo 6 e superiore entro 250 km dal terremoto del 7 gennaio 2025. Tra questi, il terremoto M7.8 del 25 aprile 2015 a circa 160 km a sud-ovest (ne ho parlato qui), e il terremoto M 8.0 del 1934, tutti nel Nepal e dovuti alla compressione in atto
La collisione continentale tra le placche indiana ed eurasiatica ha provocato un forte ispessimento crustale, i cui effetti sulla superficie sono noti, data l’altezza non solo della catena himalayana, ma di tutto l’altopiano del Tibet posto immediatamente a nord della catena.
Tutta l’area tra India e Siberia è soggetta a una forte sismicità definibile come intraplacca. Anzi, meglio, intraplacca ma non troppo. Perché la definisco così?
Perché la collisione fra India e Tibet, iniziata nel Paleocene e che fra l’altro ha determinato importanti cambiamenti nella biogeografia e nell’evoluzione dei mammiferi, non è altro che l’ultima di una lunga lista di collisioni lungo il bordo meridionale dell’Asia che si protraggono da metà del Paleozoico, quando ha iniziato a formarsi l’enorme orogene dell’Asia centrale, il CAOB, (ne ho parlato qui) ad oggi: tra India e Siberia si trova una vasta serie di suture fra masse continentali appartenute a diverse placche (e probabilmente anche non continentali: i bacini di Tarim e Junggar dovrebbero essere delle parti di crosta e litosfera oceaniche rimaste intrappolate fra gli orogeni (Morgan e Vannucchi, 2022, ne ho parlato qui). L’incunearsi dell’India nell’Asia ha rimobilizzato questi vecchi limiti convergenti fra placche, che ancora si comportano come linee di debolezza litosferica nel senso di Heron et al (2014). Ne è testimone la grande sismicità dell’area (ne ho parlato qui). Addirittura i dati GPS evidenziano come la catena del Tien-Shan, dove giusto un anno fa avvenne il terremoto M 7.0 del 22 gennaio 2024 stia a sua volta assorbendo anche essa in parte la deformazione dettata dalla collisione (Zubovich et al 2010, ne ho parlato qui).

La pagina dell'evento sul sito di USGS: il meccanismo del terremoto è estremamente chiaro

UNA ZONA IN DISTENSIONE SUBITO A NORD DELL’HIMALAYA. Il terremoto di magnitudo 7.1 del 7 gennaio 2025 nel Tibet è avvenuto circa 80 km a NE dell’Everest e 300 Km SSW di Lhasa. Il meccanismo focale indica che l'evento è associato a una faglia normale quasi verticale a bassa profondità, all’incirca perpendicolare al limite di placca fra India e Eurasia, a nord delle montagne himalayane e pertanto all'interno della placca eurasiatica, poco più a nord della zona dove si registra la compressione massima lungo l’Himalaya, a cui ad esempio è associato il terremoto nepalese del 2015. Un meccanismo di questo genere potrebbe stupire ma invece questo regime compressivo è una caratteristica prominente dell’area immediatamente a nord dell’Himalaya, dove si sviluppa il South Tibetan Rift System (in breve STRS). Lo STRS riflette l'attuale estensione est-ovest dell'altopiano tibetano ed è costituito da diverse strutture distensive parallele che si trovano a circa 150–200 km l'una dall'altra, in un’area caratterizzata da un flusso di calore più elevato del normale.

la carta di Taylor e Yinn (2009) modificata con evidenziati i 4 blocchi che costituiscono il Tibet:
le linee bianche sono le suture che li dividono e lungo le quali si è amalgamato l'altopiano, mentre le ellissi evidenziano le faglie prinicpali del sistema di rift: l'evento del 7 gennaio 2025 pare annidato lungo una di queste 

Vediamo nella carta presa da Taylor e Yin (2009) le varie faglie del Tibet. La maggior parte di queste faglie sono trascorrenti, ma il quadro è ancora non del tutto chiaro, al punto tale che nel 2024 ne è stata identificata una lunga ben 1000 km (Li et al, 2024). La stella indica il terremoto. 
La cosa più sorprendente di queste faglie distensive è che tagliano le due suture principali del Tibet: 
  • la notissima sutura dell’Indo-Yarlung/Tsampo (IYS) che marca il confine fra i terreni dell’Himalaya tetidea e il blocco di Lhasa, attiva all’inizio della collisione India – Eurasia (adesso il fronte attivo è più a sud) e per tutto il Terziario inferiore
  • la Sutura di Bangong-Nujiang (BNS), che marca più a nord la collisione mesozoica fra il blocco di Lhasa e quello del Qiangtang.
Lo sviluppo del sistema di rift sud-tibetano è iniziato nel Miocene superiore, circa 18 milioni di anni fa, accompagnato all’inizio dalla effusione di lave basaltiche.
Anche questo sistema distensivo è un riflesso della ampia collisione in corso. Quello che rende particolare il STRS rispetto ai sistemi distensivi in area di scontro fra placche che normalmente si trovano dietro la zona di convergenza è che le faglie principali di questi sistemi normalmente sono paralleli ad essa e non perpendicolari. Nessuno ovviamente dubita della sua esistenza, ma sul perché questo sistema di rift si sia formato c’è ancora un ampio dibattito in corso. Sono invocati in genere processi profondi annidati nel mantello, ma siccome non ci sono altre situazioni simili, le motivazioni reali della sua presenza non sono ancora chiare e le interpretazioni sono molto diverse fra loro.

BIBLIOGRAFIA CITATA

Heron et al (2016). Lasting mantle scars lead to perennial plate tectonics. Nature communications DOI: 10.1038/ncomms11834

Li et al (2024). Previously unrecognized, 1000 km-long Qixiang Co fault governs eastward escape of central Tibet Earth and Planetary Science Letters, Volume 644, 118928

Morgan e Vannucchi (2022) Transmogrification of ocean into continent: implications for continental evolution. PNAS 119/15 e2122694119

Zhu et al (2017). Analysis of the seismicity in central Tibet based on the SANDWICH network and its tectonic implications Tectonophysics 702, 1–7

Zubovich et al (2010). GPS velocity field for the Tien Shan and surrounding regions. Tectonics 29, TC6014