Le piogge intense rappresentano un meccanismo molto importante di innesco delle frane. Le probabilità dello scatenarsi di un dissesto gravitativo sono soggette a fattori di diverso tipo, in primis meteorologici, soprattutto la quantità di pioggia, mentre dal punto di vista geomorfologico contano soprattutto la litologia e la pendenza del versante. Ci sono poi le condizioni preesistenti di saturazione del suolo (direi un fattore intermedio fra meteo e geomorfologia). Ma una discriminante importante e spesso trascurata (specialmente nella programmazione di interventi!) è l’uso del suolo: su questo qualcuno fa finta di non sapere che la suscettibilità da frana può variare in modo decisivo in caso di interventi antropici che incidono nell’uso del suolo, le cui conseguenze possono arrivare ad essere drammatiche. Vediamo come in un bacino forestato dell’Oregon variazioni antropiche nell’uso del suolo abbiano influenzato in modo consistente le conseguenze di piogge intense.
Le frane interessano soprattutto la parte occidentale degli USA, tra le Montagne Rocciose e il Pacifico, ma anche altrove. e provocano in media 25 morti e circa un miliardo di dollari di danni all’anno (stime dell’USGS, il servizio geologico nazionale). Per verificare quanto l’uso del suolo influenzi la franosità, un gruppo di ricercatori della Oregon State University ha indagato un bacino forestale interessato nel passato da pesanti interventi antropici (deforestazione e annessa realizzazione di strade) di cui si conoscono i dati su decenni di piovosità e franosità. Lo scopo della ricerca è stato il capire come queste pratiche abbiano influenzato tasso e quantità di inondazioni e smottamenti e modificato la morfologia delle aste acquifere. I risultati hanno dimostrato come tali variazioni abbiano influenzato pesantemente quantità ed entità di frane e alluvioni.
IL BACINO DEL LOOKOUT CREEK. Lo studio (Goodman et al, 2023) ha riguardato il bacino del Lookout Creek, 64 km2 all’interno della H.J. Andrews Experimental Forest, un sito di ricerca ecologica a lungo termine nella Catena delle Cascate nell’Oregon occidentale, gestito dalla National Science Foundation (l’equivalente del CNR degli USA). Il bacino è stato scelto anche perché è piuttosto variegato: sono state distinte 3 aree differenti, una in alto, in cui la morfologia è scolpita dalle ultime fasi glaciali, meno vulnerabile alle frane, una zona a quota intermedia dominata da frane di scivolamento attive e non, anche di dimensioni kilometriche, e una zona più bassa dominata da frane di crollo e annesse colate detritiche.
La vegetazione consiste in vari tipi di conifere, la quota varia tra 410 e 1630 msl, vi affiorano le classiche rocce vulcaniche che caratterizzano tutta la Catena delle Cascate, la temperatura media è 9°C e vi piove abbastanza: tra 2200 e 2700 mm all’anno, di cui più dell’80% tra Ottobre e Aprile. L’accumulo nevoso è inferiore al metro.
si nota come anche una debole riforestazione abbia diminuto il detrito nel 1996 rispetto a 30 anni prima |
Le pratiche forestali nel bacino del Lookout Creek, iniziate negli anni ‘30 del XX secolo ma decisamente incrementate con la costruzione di apposite strade negli anni ‘50, sono in gran parte cessate negli anni '80, il che ha consentito oggi agli scienziati di monitorare il loro impatto su frane e inondazioni durante e dopo il periodo di gestione attiva. In particolare la costruzione delle strade di servizio ha determinato la formazione di pendii localmente molto acclivi in corrispondenza dei tagli,
L’abbattimento di foreste secolari e la costruzione di strade di servizio hanno controllato per decenni la quantità di erosione e deposizione dei sedimenti e modificato la naturale vulnerabilità del bacino all'erosione, alle frane e agli eventi alluvionali. Insomma, la frequenza di frane e colate detritiche dipende dalle condizioni create dalle pratiche di gestione negli anni precedenti.
Per quanto riguarda le alluvioni i risultati sono quasi sorprendenti: anche le piccole inondazioni a frequenza annuale hanno generato risposte geomorfologiche importanti nel periodo del disboscamento e della costruzione di strade.
ATTIVITÀ ANTROPICA E FRANE DA ALLUVIONI. La bibliografia in materia segnala fra le conseguenze del disboscamento un enorme afflusso di detriti rocciosi e legnosi nei corsi d'acqua, un aumento del ruscellamento (il 50% in più), dell’umidità della parte più profonda del suolo per la mancanza di evapotraspirazione e del tasso di scioglimento delle nevi (Jones e Grant, 1996). E il bacino studiato non fa eccezione. Ad esempio delle 32 frane registrate nel bacino come conseguenza degli eventi del dicembre 1964 (tre impulsi in meno di 24 ore), 29 di esse erano adiacenti ai canali di ruscellamento; ma soprattutto il 93% dei circa 30.000 m3 di sedimenti spostati proveniva da frane avvenute lungo le strade. Nell’immagine si nota la differenza fra il dicembre 1964 e il febbraio del 1996, quando in assenza di attività forestale, nel detrito la presenza di grossi tronchi è molto minore. Per quanto riguarda i maggiori eventi alluvionali (tra 1965 e 1966, nel 1995 e nel 2011), quelli del 1966, contemporanei al disboscamento, hanno prodotto risposte geomorfologiche molto più ampie rispetto a quello del 1996, avvenuto più di un decennio dopo la cessazione del disboscamento; la risposta è stata addirittura trascurabile nel 2011, quando le aree deforestate si erano trasformate in piantagioni forestali di 20-70 anni.
Questo vale per tutte le tre zone geomorfologiche: la risposta alle alluvioni è stata più influenzata dalla costruzione delle strade e dei relativi tagli del bosco, dagli eventi passati e dalle dinamiche forestali, rispetto alla entità degli eventi stessi, determinando in quel periodo una maggiore movimentazione di sedimenti e legname a parità di precipitazione, rispetto alla fase di assenza delle lavorazioni.
ITALICA POSTILLA. Pertanto che le variazioni nell’uso del suolo influenzino molto pesantemente la suscettibilità da frana e da alluvione, dovrebbe entrare nella testa degli italiani, a partire dai decisori. La cosa era già nota nel XVI secolo, quando per decisione di Cosimo I, dopo l’alluvione di Firenze del 1557 fu vietato il disboscamento nelle zone alte di Mugello e Casentino, per diminuire la velocità del ruscellamento. Poi nel periodo post-unitario ci fu una seconda ondata di disboscamenti, che ha avuto pesantissime conseguenze sulla morfologia delle aste fluviali, invadendole di detrito e quindi diminuendone drasticamente la portata.
Oggi almeno in Italia a causa dell’abbandono dei versanti montani e collinari il disboscamento non è un problema delle aree montuose e lontane dai centri urbani, dove abbiamo avuto al contrario una avanzata degli alberi. Però in aree urbane o suburbane non sono purtroppo pochi i casi di interventi scellerati che hanno provocato dissesti: purtroppo in questi ultimi anni è toccato anche a me leggere diverse (troppe..) volte relazioni nelle quali si dichiarava più o meno esplicitamente che in quel versante non sarebbe successo nulla senza quegli interventi antropici….
Meditate gente, meditate
Goodman et al 2023 Seventy years of watershed response to floods and changing forestry practices in western Oregon, USA Earth Surf. Process. Landforms. 2023, 1-16.
Jones e Grant (1996) Peak flow responses to clear-cutting and roads in small and large basins, Western Cascades, Oregon. Water Resources Research, 32(4), 959–974.
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