mercoledì 29 luglio 2015

Le emissioni gassose dell'eruzione del Bardarbunga


L'eruzione del Bardarbunga, iniziata alla fine di agosto del 2014 e conclusasi nel febbraio successivo, ha appassionato i vulcanologi all'inizio per gli eventi che l'hanno preparata, poi per le sue dimensioni, nonostante le quali per fortuna ha avuto poca incidenza sulle attività antropiche e sulla salute per tutta una serie di motivi. Ora è tempo di bilanci, soprattutto sulla qualità e sulla quantità delle emissioni gassose. C'è stato un attento monitoraggio dell'SO2, il cui tenore in atmosfera in alcuni momenti è stato piuttosto elevato. Inoltre si evidenziano differenze significative nelle percentuali di emissione dei volatili fra questa eruzione e quella del Laki del 1783: segnatamente il livello di CO2 è stato nettamente inferiore a quello che ci si poteva aspettare.

UNA GRANDE ERUZIONE

Le fontane di lava del Bardarbunga, alte fino a 50 metri 
L'eruzione in Islanda del Bardarbunga è durata circa 6 mesi tra il 31 agosto 2014 e il 27 febbraio 2015. Nell'agosto scorso ho scritto diversi post sulla situazione proprio perchè era possibile che avvenisse qualcosa di davvero importante. Qui ho presentato il vulcano: dopo mesi di forte sismicità sotto l'edificio principale del vulcano, che è sepolto sotto il Vatnajokull, il più grande ghiacciaio europeo, l'apparato centrale ha emesso solo una piccola frazione di magma il 23 agosto. Successivamente la sismicità ha evidenziato che la lava si stava incuneando lungo una frattura preesistente appartenente ad un sistema di fratture, il Trollagigar, che in qualche modo collega il Bardarbunga ad un altro vulcano, l'Askja. A 35 km di distanza dal Bardarbunga il magma non ha potuto più espandersi lungo quella frattura lineare, probabilmente perchè aveva incontrato il sistema radiale dell'Askja, ed è emerso in superficie il 31 agosto nella zona di Holuhraun, a nord del Vatnajokull dopo che una prima emissione di lava,sempre lì, 2 giorni prima.
Durante l'eruzione sono stati messi in posto più di un km e mezzo cubo di lave basaltiche, che ne fanno il maggior evento islandese dopo la forte eruzione del Laki degli anni 1783 / 84, che - comunque - ne aveva emessi ben 15 in un tempo più o meno simile. La colata è avanzata di 17 km in due settimane.
Ho anche scritto un post per smentire le dicerie catastrofistiche che si trovavano in giro, scritte da chi con voglia di sensazionalismo ma realismo zero immaginava scenari come quelli del Laki.
La fine dell'eruzione ha anche interrotto il processo di subsidenza della caldera del Bardarbunga, accompagnata da sismi piuttosto forti. Il rischio di un suo collasso definitivo si è per fortuna rivelato soltanto teorico.

TUTTO SOMMATO È ANDATA BENE: POCHI DANNI

Ora è tempo di bilanci.
Il problema maggiore di questi mesi non è stato la produzione di lava a Holuhraun, una zona deserta e quindi con uno scarsissimo impatto sulle attività umane e sull'ecosistema: diciamolo francamente, meglio di così non poteva andare... se l'eruzione fosse avvenuta sotto il Vatnajokull anzichè sfruttare la frattura propagandosi per chilometri oltre il limite del ghiacciaio, ci sarebbero stati due rischi

  • una drammatica alluvione  provocata dal suo improvviso scioglimento (fenomeni del genere sono talmente “comuni” in Islanda da avere un nome, Jokulhlaups)
  • e un blocco del traffico aereo per le ceneri che si sarebbero diffuse in aria a causa del contatto fra la lava e il ghiaccio, come per l'eruzione dell'Eyjafjallajokull nel 2010


È stata anche scongiurato il possibile collasso della caldera del vulcano, che durante l'attività a Holuhraun si è abbassata continuamente di circa 60 metri. Oltre ad un lento movimento continuo, se ne sono verificati di improvvisi in coincidenza di terremoti, di cui alcuni con M uguale o superiore a 5.
Inoltre il fatto che sia avvenuta d'inverno, in una fase di bassa crescita dei vegetali e in cui gli animali vivono ad altezze minori (i valori di inquinamento aumentano con l'elevazione del terreno) ha contribuito a diminuirne ulteriormente l'impatto.

LE EMISSIONI DI GAS DEL BARDARBUNGA

Un articolo appena uscito ha presentato un sommario dei primi dati sull'inquinamento provocato da questa eruzione su Geochemical Perspectives Letters, la rivista della European Association of Geochemistry (1).

Le emissioni di SO2 risultano essere state oltre una decina di milioni di tonnellate, un quantitativo superiore alle emissioni antropiche europee di tutto il 2011. In particolare è stata passata in molte occasioni la soglia di 350 μg al metro cubo di SO2 nell'aria in varie zone dell'isola; concentrazioni anomale di questo composto sono state misurate persino in Europa continentale in settembre, durante la fase iniziale in cui le emissioni erano superiori a 1400 kg al secondo (alla fine erano appena 100). 
La figura, proveniente dall'articolo citato, evidenzia in particolare la drammaticità della situazione a Hofn, cittadina posta a un centinaio di km a SE di Holuhraun. Naturalmente il gioco dei venti ha spostato continuamente l'area di massima concentrazione dei volatili: si nota per esempio come le concentrazioni massime nell'aria di Rejkjavik, a SW, siano contemporanee a basse concentrazioni a Hofn.
A causa delle emissioni combinate di CO2, SO2 (idratato in H2SO4), HCl e HF, la neve nella zona ha un pH medio di circa 3.3 (e scusate se è poco) e un contenuto di metalli pesanti ampiamente al di sopra dei limiti ammessi per le acque minerali
Per fortuna un parte dell'acidità è stata soppressa dalle reazioni con le polveri generate dall'eruzione stessa.

Quanto alle piogge, anche queste hanno mostrato dei valori significativamente molto acidi. Vediamo in questo diagramma la situazione a Borgir, sempre vicino a Hofn. L'area in blu rappresenta il pH medio delle piogge in quell'area in assenza di fenomeni eruttivi. Le forti oscillazioni dipendono soprattutto dalle variazioni dei venti prevalenti, mentre si nota, in perfetto accordo con quello che ci si aspetterebbe, che i valori più bassi di pH si hanno nella fase iniziale dell'eruzione quando le emissioni di SO2 erano alle stelle. 
Le interazioni fra polveri, gas e acqua hanno portato i tenori di ione solfato e fluoruro a oltre 60 volte il normale. I valori maggiori li abbiamo a ovest del sito eruttivo.

Bassi valori di pH aumentano la solubilità dei sali di diversi metalli, pesanti e non, e quindi l'acidità elevata aumenta la concentrazione di ioni metallici nelle acque, un fattore importante per la biologia dei corsi d'acqua perchè la loro presenza a livelli anche molto meno elevati di questi riduce ad esempio l'aspettativa di vita di molti pesci.

LE BASSE EMISSIONI DI CO2 DELL'ERUZIONE DEL BARDARBUNGA

In questa eruzione le emissioni di CO2 sono state piuttosto basse: sarebbe stato lecito aspettarsi un valore intorno ai 20 milioni di tonnellate e invece ne sono state prodotte solo 6, meno di quelle di SO2. La cosa mi ha spinto a contattare uno degli Autori, il quale mi ha detto che non è una situazione inedita in Islanda, anche se non è chiaro ancora perché – nello specifico – il magma del Bardarbunga si è comportato così.  
A questo hanno fatto da contraltare i primi giorni dell'attività, in cui il CO2 era decisamente molto maggiore di SO2
Le possibilità aperte sono due: 

  • eterogeneità della sorgente (in questo caso con pochi volatili) 
  • degassamento durante l'evoluzione del magma 

Non è ancora possibile sapere quale delle due soluzioni sia quella giusta


(1) Gíslason et al. (2015) Environmental pressure from the 2014–15 eruption of Bárðarbunga volcano, Iceland. Geochemical Perspective Letters (2015) 1, 84-93 | doi: 10.7185/geochemlet.1509

mercoledì 22 luglio 2015

New Horizons incontra Plutone: perchè tanta gente ne ha sparate di tutti i colori?



Sono passate da poco le idiozie sparate sui giornali e sul web quando Rosetta ha sganciato il modulo Philae verso la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko e le prese di posizione demenziali su Samantha Cristoforetti: purtroppo in occasione del passaggio ravvicinato di New Horizon su Plutone ancora una volta assistiamo in Italia allo scatenarsi di opinioni su quanto ci costano queste missioni e sulla loro inutilità. Lo avevamo previsto in diversi, non solo quelli de "l'opinionista polemico". Ed era una facile previsione. Naturalmente gli autori di questi capolavoro non hanno la minima idea delle cose su cui stanno pontificando e non si rendono conto che usano in modo quotidiano oggetti e sistemi nati proprio grazie alle esigenze dei voli spaziali. Il problema non è solo italiano, ma da noi è particolarmente diffuso a causa della cultura imperante nel nostro Paese, secondo la quale la vera Cultura è quella umanistica e che la scienza è una cosa inutile, per "menti minute" come diceva Benedetto Croce. È quella mentalità che ha causato il non riconoscimento dell'importanza della tecnologia (che ci importa di scienza e tecnologia quando facciamo le scarpe più belle del mondo?), una delle cause della decadenza che l'Italia attraversa, la cui punta dell'iceberg sono la disoccupazione, specialmente giovanile e la fuga dei cervelli. Nonostante i successi che l'italia tecnologica riesce comunque a mietere nonostante tutto e tutti.

Avevo già scritto un post un po' alterato quando morì Neil Armstrong, sottolineando come per la “cultura” italiana media la Scienza sia una cosa di serie B e che chi protesta per lo spreco di soldi destinati alle missioni spaziali non protesta per esempio per i soldi buttati “a babbo morto” negli enti lirici (attenzione, io a teatro ci vado e sono stato persino per diversi anni fra gli organizzatori di un festival musicale) o per i contributi al cinema italiano....

DUE SIMPATICHE DISCUSSIONI SU PLUTONE LETTE SU FACEBOOK

Iniziamo con questo intervento segnalatami da un amico: “sarebbe bastato orientare Hubble su Plutone e si sarebbe visto benissimo risparmiando centinaia di milioni di dollari e 9 anni di tempo”.
È evidente che chi scrive non sa assolutamente come si vede Plutone da Hubble. E per non farsi mancare niente, ha rimarcato un possibile aspetto complottistico: “secondo me c'è qualcos'altro sotto per cui hanno mandato la sonda, forse per scopi militari... chissà.." La risposta più bella è stata “Sei un genio. Chissà come mai alla NASA non ci hanno pensato. Fossi in te mi farei assumere”. Il divertente è che dopo altri interventi dello stesso tono, culminati in un “No, aspetta che punto Hubble” il tizio ha sclerato di brutto: “Te lo devi ficcare in culo Hubble coglione!!!”. Segue una conversazione animata in cui il nostro amico cade nel ridicolo parlando di cose che non c'entrano minimamente con lo spazio, a partire dai politici corrotti...
È uno schema noto: il solito delirio in cui casca una persona mediocre che pensa di sapere tutto appena si rende conto di non aver capito niente....

In un'altra discussione si legge: "E adesso che si vede bene, che cosa hanno risolto di così importante per la sopravvivenza umana???!!! ci sono problemi enormi sul nostro pianeta. Cosa serve vedere un pianetino piccolo come la luna, pieno di rocce, ghiacciato e con un avvallamento simile ad un cuore??!!"
La prima risposta è oggettivamente un po' seccata: "A te nulla. Vai al mare e lascia certe questioni a chi le capisce. Moltissime cose di uso comune sono nate grazie alla ricerca spaziale. Mi fermo qui perché sarebbe troppo complicato spiegarti e non ti vorrei mandare in surriscaldamento".

Un altro, argutamente, osserva che "se tutti seguissero il vostro ragionamento a quest'ora saremmo ancora a dipingere sui muri delle caverne". Frase da scolpire nel cervello di certa gente.

Poi il Nostro la spara grossa: "le tecnologie per poter viaggiare alla velocità della luce non ci sarà per almeno altri 100 anni! Ma pensiamo al nostro pianeta invece di stare dietro a pianeti che distano 5 miliardi di anni! Ma pensate ai vostri figli che non avranno neanche un lavoro! Come si fa a sperare in un altro universo quando al nostro non ci pensa nessuno!  Sai che in Italia sono 4 milioni gli italiani che non hanno da mangiare?"
Oltre all'immensa castroneria dei viaggi alla velocità della luce (che dimostra la preparazione scientifica del soggetto) mi sfugge il nesso fra progetto spaziale della Nasa e popolo italiano.

Sono però ottime le risposte che vengono date successivamente:
1. le tecnologie che oggi usiamo che derivano dallo sviluppo delle sonde spaziali sono tantissime, tra le quali computer e telefoni, cellulari compresi. Sarai d'accordo con me che queste cose hanno migliorato il mondo, pur trasformandolo. Questo balzo tecnologico é dovuto allo sforzo tecnico-ingegneristico che i viaggi spaziali richiedono. Sono sfide molto costose in termini di tempo, di denaro, di studio, di inventiva. Semplicemente per riuscire a fare certe cose si inventano protocolli e tecnologie che sono poi ampiamente sfruttabili dalle persone di ogni giorno. Quindi chissà. Magari una delle tecnologie in sviluppo per studiare un corpo celeste della nube di Oort servirà anche a sfamare il mondo
2. La ricerca di base, quale l'esplorazione spaziale fatta in questi termini, serve ad arricchirci di conoscenze teoriche. Continuare lo studio del cosmo ci nobilita come razza, come esseri pensanti. Non so tu ma io in futuro vorrei essere ricordato perché la mia specie ha esplorato i meandri dello spazio. La ricerca soddisfa la voglia di sapere degli scienziati poiché essi si fanno domande che le persone meno istruite non comprendono neppure. Ma dalle risposte a queste domande si hanno quasi sempre ricadute pratiche positive o dirette o per serendipity.

Pensare che c'è gente che pensa così fa davvero male... ma fondamentalmente il problema è quello di non sapere come stanno le cose. Bene, di Plutone al nostro amico non gliene frega niente (e trovo lecito che a qualcuno non interessi!), però lo scrive con un computer o con uno smartphone che se non c'erano il CERN e le missioni spaziali non ci sarebbero e usa l'energia elettrica che quando fu scoperta era usata per divertimento e considerata una curiosità....

LA PAROLA AL REGISTA CINEMATOGRAFICO

Da ultimo cito Vincenzo Salemme che su Repubblica scrive
La sonda New Horizons ha raggiunto Plutone! Ha impiegato nove anni per percorrere più di 5000 miliardi di chilometri! (sono milioni di km, non miliardi, NdR) Siamo certamente di fronte ad una grande conquista. Ma di che cosa, sinceramente, non capisco bene.Quanto ci è costato per esempio arrivare sulla luna? Tantissimo. Come tantissimo sono costate tutte le missioni spaziali successive. E va bene, l'uomo è per natura curioso, esploratore ma, per esempio, per quanto riguarda la prima volta di un Apollo nello spazio, a parte quel primo passo umano sul terreno lunare e la voce di Tito Stagno, cosa ha dato a noi umanità, quel dispendioso seppure audacissimo viaggio sul nostro satellite? Tutti i minerali raccolti su quella superficie immobile e secca di quale utilità ci sono stati?
prosegue scrivendo:
Abbiamo forse sconfitto il raffreddore? No. Abbiamo forse sconfitto le zanzare? Nemmeno. È finita la Salerno Reggio Calabria? Figurarsi! E allora?!?! Ripeto, entusiasma anche me l’avventura dell’uomo (e della donna, diciamolo, grazie a Cristoforetti) nello spazio, però stiamo attenti a non farci ingannare dalle false speranze.
Anche Salemme confonde i risultati scientifici con le ricadute tecniche e c'è da chiedersi quanto abbiano contribuito a risolvere i problemi dell'umanità i finanziamenti per la cultura dispensati dal governo italiano (per esempio, parlando di Salemme stesso, quelli per il cinema).

Poi viene spontanea una riflessione: nessuno di questi soloni si scandalizza a proposito del calcio, per gli stipendi dei calciatori e su quanto spenda la collettività per il campionato italiano solo per i costi di Pubblica Sicurezza. Come non si scandalizza per i reduci del Grande Fratello che prendono migliaia di euro solo per apparire qualche ora in una discoteca.

IL PROBLEMA DELLA CULTURA SCIENTIFICA IN ITALIA

Il discorso parte da lontano.
Prima o poi scriverò qualcosa sulla storia della società italiana di Filosofia, che fra i soci fondatori annovera anche importanti scienziati che poi furono buttati fuori da Benedetto Croce, perché li considerava "menti minute", mica grandi cervelli come i filosofi. Ed è un concetto molto diffuso nella cultura italiana che la scienza e la tecnica siano cose inferiori alla filosofia e alle arti, per cui questi commenti sono normali.
Ricordo che Croce nel 1939 scrisse che: 
mettere innanzi alla Storia una sezione di “paleostoria”, magari preceduta da un'altra di storia “della Natura” o di storia “della Terra”, non solo non vivifica l'intelletto ma mortifica l'animo, il quale alla storia chiede la nobile visione delle lotte umane e nuovo alimento all'entusiasmo morale e riceve invece l'immagine di fantastiche origini animalesche e meccaniche dell'umanità e con essa un senso di sconforto e di depressione e quasi di vergogna a ritrovarci nei discendenti di quegli antenati.
Questo è stato un ministro della Pubblica Istruzione nonché ispiratore della riforma scolastica di Gentile... poi ci si stupisce della Moratti e della Gelmini....

Signori, questa è l'Italia: nel Paese dove la scienza e la tecnica sono considerate cose inferiori alla filosofia e alle arti questi commenti sono normali... 
Giova ricordare che in Italia prima degli altri furono inventati il radar, la penicillina e il personal computer. Tutte cose di cui la nostra classe dirigente non poteva capire l'importanza: il radar? La Marina italiana non si nasconde perchè combatte di giorno e a viso aperto
Poi venne Capo Matapan: gli inglesi con il radar osservarono le navi italiane che, prive di questo strumento, non si accorsero quella notte che stavano andando letteralmente in bocca ai cannoni inglesi. Il terribile risultato fu di 5 navi affondate e 2500 marinai morti (ringrazio il lettore Vittorio per la precisazione).

MUSICA E MUSICISTI: 
GLI INGLESI SONO I CAMPIONI E NOI MORDIAMO LA POLVERE 

Ciascuno ha i personaggi che si merita. prendiamo la musica.
Noi abbiamo Povia che blatera di scie chimiche, terremoti e altre cazzate del genere. Ricordo fra le altre la ridicola affermazione su un'ipotetica base segreta sperimentale nel sottosuolo de L'Aquila (riconducibile agli innocui laboratori di fisica delle particelle situati nelle viscere del Gran Sasso), per non parlare di quando si è messo a fare il geofisico. Poi abbiamo diversi personaggi del mondo dello spettacolo in battaglia contro gli airgun che distruggerebbero il fondo dei mari italiani (anche io sono “piuttosto contrario” all'estrazione di petrolio nei mari italiani, almeno per ora... ma perché l'opposizione al programma di perforazione deve essere condotta in questa maniera così idiota???).

Gli inglesi invece hanno Brian May, leggendario chitarrista di un'altrettanto leggendario gruppo rock della storia, i Queen (per la cronaca possiedo molti vinili originali di questo gruppo).
May ha un PHD in astrofisica ed ha alle spalle persino una pubblicazione su Nature: Hicks, May & Reay, 1972: MgI Emission in the Night Sky Spectrum. Nature 240, 401 – 402
Poi abbandonò la carriera di astrofisico per quella musicale, ma nel 2006 è tornato ai vecchi amori. E ha anche scritto un libro Bang!: The Complete History Of The Universe, insieme a due scienziati del calibro di Patrick Moore e Chris Lintott.
Oggi è segnalato come un “collaboratore del team scientifico” che studia le immagini e i dati che la sonda New Horizon sta inviando e invierà per mesi (ha raccolto molti più bites di quelli che riesce a trasmettere).

RIFLESSIONE FINALE

Insomma, anche stavolta, per dirlo con un celebre pezzo dei Queen, gli inglesi possono dire siamo i campioni e che qualcun altro morde la polvere, in questo caso la polvere dell'ignoranza, che è uno dei peggiori problemi italiani. E l'ignoranza fa si che, come nota un mio amico professore di liceo (un montanaro veneto testardo come solo un montanaro veneto sa essere) nel cercare di inculcare il metodo scientifico agli allievi e non solo, "per la mentalità italiana tutte le opinioni sono accoglibili, non importa se dette da uno scienziato o dagli avventori di un bar"
Così vengono fuori di Bella, Giuliani, Stamina e Wanna Marchi, ed i convegni sulle scie chimiche patrocinati dagli enti locali in nome della democrazia...
Nonostante le tante eccellenze sconosciute ai più che abbiamo: rimanendo nella geologia e nella mia città, quanti a Firenze sanno che il gruppo di Geologia Applicata del Dipartimento di Scienze della Terra è stato anche nel 2014 premiato come centro di eccellenza mondiale nello studio delle frane?
Tranquilli che se invece di fare il professore universitario in un Paese che frana (non solo metaforicamente...) il Casagli era un attore di film di terzo ordine lo conoscevano tutti (autorità comprese).... ed entrava pure gratis in discoteca

Da ultimo allego alcuni link ad alcuni post sull'argomento "ricadute pratiche della ricerca astronomica pura":



2. La lettera con cui nel 1970 l’allora direttore scientifico della NASA, Ernst Stuhlinger, rispose ad una suora attiva in Zambia che gli aveva contestato i soldi spesi per il programma Apollo

3. La corsa alla Luna, il Teflon e i microchip

4. Gravità zero racconta gli studi di Brian May al telescopio nazionale italiano Galileo

5. gli airbag




domenica 19 luglio 2015

Gli effetti sul clima delle maggiori eruzioni vulcaniche e la crisi degli anni dopo il 535 d.C.


Le eruzioni vulcaniche più importanti immettono nella stratosfera un grande quantitativo di aerosol di zolfo e di polveri, che schermando la radiazione solare provocano, rispetto a quello indotto delle variazioni periodiche del ciclo solare, un impatto sul clima molto marcato e improvviso: un raffreddamento sensibile che dura al massimo di 2 o 3 anni tranne in casi davvero eccezionali. In questo post ho raccontato come e perchè ho acquistato su una bancherella "Catastrofe" di David Keys. Il libro è stata la prima occasione per me di sentire parlare degli oscuri eventi del decennio 535 - 545 d.C., anche se Keys ha sbagliato clamorosamente il vulcano colpevole, successivamente identificato con l'Ilopango. Ritorno sulla questione perchè un nuovo, ottimo, lavoro pubblicato su Nature ha tracciato l'influenza sul clima delle più importanti eruzioni vulcaniche degli ultimi 2500 anni e ha definitivamente imposto questo aspetto all'attenzione degli storici, categoria in genere molto sensibile a battaglie e rivolgimenti politici, ma refrattaria alla Scienza e a collegare eventi naturali alla storia, come se l'Umanità vivesse in modo avulso da ciò che la circonda. Questo lavoro addita sempre l'ilopango fra i colpevoli di quella crisi, ma suggerisce che la sua eruzione sia avvenuta nel 540, complicando quindi la già tragica situazione innescata nel 535 per il quale si indica un vulcano in Nordamerica, ma è ancora da appurare quale.

Le variazioni del clima terrestre sono governate da una serie di fattori
1. fattori geologici (emissioni dai vulcani, posizione dei continenti e delle catene montuose)
2. fattori atmosferici (quantità di copertura nuvolosa, tenore di gas – serra)
3. fattori astronomici (parametri orbitali e cicli solari). Negli ultimi 2 milioni di anni queste variazioni sono diventate più sensibili a causa della formazione di grandi calotte polari permanenti anche nell'emisfero boreale (in Antartide erano già presenti da oltre 30 milioni di anni). 

Lo spostamento lungo un asse N/S del centro dell'anticiclone delle Azzorre cambia il clima intorno all'Atlantico centrale e settentrionale lungo l'arco dell'anno: raggiunge il punto più a nord tra Giugno e Luglio e quello più a sud tra Gennaio e Febbraio, seguendo con un leggero ritardo il parallelo in cui il Sole si trova allo zenit; questo movimento è provocato dalle differenze stagionali nell'angolo di incidenza dei raggi solari e quindi della posizione dell'area di massimo riscaldamento. Ed è la dimostrazione di come variazioni anche minime dell'insolazione possano provocare dei cambiamenti importanti; 
Il clima in Europa è governato dalla NAO (North Atlantic Oscillation), un coefficiente definito nel 1997 in base alla differenza fra la pressione normalizzata a Gibilterra e a Stykkisholmur in Islanda (1). La NAO influenza la quantità di piogge in Europa meridionale dalla penisola iberica all'Italia e anche lo spessore degli anelli di crescita degli alberi e pertanto proprio studiando la dendrocronologia si possono avere buone indicazioni delle alternanze climatiche del passato. È stato dimostrato che la NAO segue un ciclo di durata simile a quello solare, anche se probabilmente è leggermente sfalsato (2). La quantità di pioggie in europa meridionale ' quindi collegata all'intensità della radiazione solare e quando questa è meno elevata in genere le temperature sono più basse  e le precipitazioni maggiori

ALLA RICERCA DI CONNESSIONI FRA ERUZIONI MAGGIORI E CLIMA

Le variazioni dell'intensità della radiazione solare nel corso del ciclo annuale dovuto alla rotazione della Terra e in quello undecennale del Sole, sono fondamentali per determinare il clima del nostro pianeta. Però i vulcani sono un importante driver climatico perché con le loro polveri schermano i raggi solari e quindi determinano una diminuzione della forza della radiazioneLo dimostra un interessante lavoro appena pubblicato on line su Nature e di cui si è fatto un gran parlare in questi giorni (3). Sono state esaminate alcune carote di ghiaccio di Groenlandia e Antartide, in particolare il contenuto nel ghiaccio di composti provenienti da eruzioni vulcaniche (ossidi di zolfo e polveri)  e le temperature ricavate dal rapporti fra gli isotopi 16 e 18 dell'ossigeno. Questi dati sono stati incrociati con l'andamento della crescita annuale degli anelli degli alberi, che dipende essenzialmente dalla temperatura estiva: più è alta più crescono.

Questo lavoro ha sfruttato dati nuovi (e soprattutto più precisi). Infatti fino ad oggi c'è un certo scarto fra la tempistica fornita dalle carote di ghiaccio e quella della dendrocronologia. In particolare la discrepanza media era di 7 anni per il primo millennio, ma le cose andavano a posto per le eruzioni avvenute dopo il 1250: era quindi probabile un errore nella datazione dei ghiacci.
È stata quindi effettuata una nuova calibrazione delle carote di ghiaccio sfruttando come marker due annate in cui c'è stato, per motivi ancora non chiari, un forte aumento del carbonio 14 e del berillio 10, il 775 e il 994 d.C., che ha consentito di ottenere una buona sincronia fra carote di ghiaccio e anelli di crescita degli alberi per gli ultimi 2500 anni.

La ricerca ha trovato ben 283 eventi eruttivi dal 500 a.C. e ne ha localizzati 81 nella fascia equatoriale, 140 nell'emisfero settentrionale e 62 in quello meridionale. Sono distinti in base a dove è registrata la presenza di zolfo: se la troviamo sia in Groenlandia che in Antartide l'eruzione è attribuita alla fascia tropicale, se la troviamo solo in Groenlandia l'eruzione viene indicata come avvenuta nell'emisfero settentrionale e se la troviamo solo in Antartide l'eruzione viene indicata nell'emisfero meridionale.

Da notare che le 81 eruzioni equatoriali pur essendo appena un terzo degli eventi rappresentano ben il 60% della forzatura che i vulcani hanno totalmente esercitato sul clima. Ben 5 eruzioni hanno spedito nella stratosfera più composti dello zolfo rispetto all'eruzione del Tambora del 1815, nel 426 e 44 a.C. , nel 535, 1257 e 1458 d.C.. La maggiore importanza della forzatura quando le esplosioni sono localizzate nella fascia equatoriale è spiegabile con la circolazione atmosferica: nelle zone tropicali l'aria risale verso la stratosfera, da cui discende nelle zone polari, per cui polveri ed aerosol si disperdono nella stratosfera meglio dove l'aria tende a risalire.  Almeno due degli eventi centrati nell'emisfero settentrionale sono sicuramente attribuibili ad eruzioni lineari di vulcani islandesi, il Laki nel 1783 e l'Eldgjá intorno al 940 d.C..

Il ruolo delle polveri e degli aerosol stratosferici nella schermatura dei raggi solari è stato determinante perché ha innescato delle serie di estati fresche (2 o 3 ma talvolta anche di più) a seguito delle maggiori eruzioni. Un altro aspetto interessante è che le 15 estati più fredde degli ultimi 2500 anni (cioè quelle che corrispondono ai minimi nella cresciuta degli anelli degli alberi) si collocano appena dopo la comparsa dei segnali di una grande eruzione. Le vediamo in questa tabella. 
In particolare le 4 più fredde sono state quelle del 43 a.C, 536, 543 e 627 d.C.. Lo stesso vale per le decadi: tutte le 15 più fredde sono al seguito di un evento importante registrato (notiamo che le tre del VI e VII secolo sono avvenute durante un periodo più freddo di suo). 

C'è poi un secondo effetto apparentemente contrastante: il riscaldamento della stratosfera ai tropici perché in quelle zone gli aerosol catturano il calore (e infatti è noto che l'SO2 nella bassa atmosfera si comporti da gas – serra), per cui dopo il raffreddamento anomalo abbiamo un riscaldamento altrettanto anomalo. Lo scrivono su Nature Communications altri ricercatori (4): all'inizio è vincente la schermatura della radiazione solare ad opera di polveri e aerosol di zolfo. Ma gli aerosol di zolfo ne fanno un'altra quando rimangono da soli perché le polveri sono precipitate in basso: si comportano da gas – serra, specialmente sopra alla fascia tropicale. Per cui aumenta la temperatura e si rafforza il vortice nell'Atlantico settentrionale con cui la Corrente del Golfo inverte il cammino e si dirige verso sud. 
Questo riscaldamento susseguente al raffreddamento è il secondo effetto delle eruzioni vulcaniche maggiori.

I VULCANI COME AUTORI DELLA CRISI INIZIATA NEL 535 d.C. 

In testa alla classifica ci sono gli anni tra il 536 e il 545 e non vi è dubbio che si stato il decennio peggiore degli ultimi 2500 anni: il clima particolarmente ostile e la estrema riduzione di temperature e crescita degli alberi sono una micidiale coincidenza di ben 3 grandi episodi vulcanici in pochi anni e della fase fresca e piovosa in corso, posta fra l'optimum climatico romano e il periodo caldo medievale. La prima è avvenuta tra la fine del 535 e l'inizio del 536, nell'emisfero settentrionale; in particolare la geochimica delle polveri indica come probabile origine un vulcano dell'America Settentrionale. Le osservazioni storiche in Europa e Cina parlano di 18 mesi di Sole oscurato dal marzo del 536 all'agosto del 537; l'estate fu freddissima, circa 2 gradi sotto la media (già non esaltante) dei 30 anni precedenti. Il secondo evento si colloca tra il 539 e il 540, ed è classificato come tropicale perché è presente sia nei ghiacci del polo nord che in quelli del polo sud; le temperature estive scesero di nuovo ai valori del 536 e rimasero comunque fredde fino al 550, complici sia un terzo evento nel 544 sia le condizioni climatiche di quei secoli, simili a quelle della piccola era glaciale.

Per l'evento del 535 il più grande il maggiore indagato oggi è l'Ilopango, un vulcano ad el Salvador (ne avevo parlato un annetto fa), anche se gli autori di questo lavoro preferiscono legare l'eruzione salvadoregna all'evento del 540, attribuendo quello del 535 ad un vulcano nordamericano. Però ancora quale sia questo vulcano non è dato sapere.

Quindi abbiamo la conferma del ruolo fondamentale di alcune forti eruzioni vulcaniche del VI secolo d.C. negli accadimenti politici e sociali (pestilenza inclusa) che hanno contribuito alla forte decadenza della civiltà in Europa (e dell'impero bizantino) avvenuta in quel periodo. 

TRE CONSIDERAZIONI FINALI

1. ho detto “eruzioni” e non “esplosioni perché almeno due degli eventi considerati da Sigl e compagni sono le grandi eruzioni islandesi del X secolo e del 1783, nelle quali non ci fu una esplosione, ma una immensa produzione di lave basaltiche (oltre 15 km cubi in pochi mesi) 

2. La cosa importante – che qualcuno comunque non capirà – è che le eruzioni vulcaniche più forti hanno un forte potere di condizionare il clima e anche la civiltà umana, ma limitatamente agli anni immediatamente successivi al fenomeno (e più eruzioni importanti in rapida successione sono capaci di fare davvero grossi danni, come dimostrano gli anni tra il 535 e il 550): le eruzioni non sono la causa dell'alternanza di periodi caldi e freddi a larga scala, che sono dovuti a variazioni pluricentennali dell'attività solare. Cioè, non sono state loro ad aver innescato il periodo fresco del basso medioevo né la piccola era glaciale, anche se molto probabilmente le temperature più basse e la maggiore umidità di questi periodi hanno provocato delle conseguenze maggiori: le variazioni oloceniche in cui si alternano periodi più caldi e periodi più freschi con cadenza pluricentenaria sono dovute a pulsazioni dell'attività solare. 

3. il fenomeno del 535, almeno nel Mediterraneo, era noto perché ben descritto nei testi originali di Autori bizantini, ma gli storici, troppo dediti a battaglie ed evoluzione politica, hanno sempre fatto finta di nulla oppure è mancata loro la capacità di collegare gli eventi umani a quelli naturali. Ritengo la cosa estremamente grave e sintomo di una certa limitatezza culturale, ma spesso per i letterati (e specialmente per gli storici) la Scienza e la tecnologia sono “cose minori”, almeno in Italia. E i risultati si vedono....

Articoli citati:

(1) Jones et al. (1997). Extension to the North Atlantic Oscillation using early  instrumental pressure observations from Gibraltar and South-West Iceland. International Journal of Climatology, 17, 1433 – 1450 

(2)Scaife et al. (2013) A mechanism for lagged North Atlantic climate response to solar variability Geophysical Research Letters 40, 434–439

(3) Sigl et al, 2015 Timing and climate forcing of volcanic eruptions for the past 2,500 years Nature, doi:10.1038/nature14565 (l'articolo è per adesso solo on line, non è ancora uscito il cartaceo)

(4) Swingedouw et al. 2015 Bidecadal North Atlantic ocean circulation variability controlled by timing of volcanic eruptions Nature communications DOI: 10.1038/ncomms7545

lunedì 13 luglio 2015

I vulcani nell'oceano ad Est dell'Australia: tutti a guardare Plutone domani, ma intanto anche sulla Terra si continua a scoprire qualche caratteristica della superficie


Il 14 luglio è conosciuto per la presa della Bastiglia nel 1789 e verrà ricordato per l'impresa della sonda New Horizon che passerà a poche migliaia di km sopra Plutone. Ma la cosa più divertente è che mentre il mondo (non solo quello scientifico) si prepara per le immagini che stanno già arrivando da un mondo lontanissimo (almeno dal punto di vista del sistema solare) grazie alle quali si spera di scoprire qualcosa della sua superficie, ci rendiamo conto di conoscere ancora poco della superficie del nostro pianeta. 
Vabbè che si parla del fondo marino, non certo visibile dalla superficie, però.... sentirsi dire nel 2015 che sono stati scoperti ben 4 vulcani (e piuttosto grossi...) nel mare davanti all'Australia lascia parecchio attoniti e la coincidenza con il fly - by di New Horizon su Plutone appare quasi irriverente.

Allora... andiamo con ordine.

Nei mari ad ovest dell'Australia sono state scoperte alcune strutture  geologiche durante le (per adesso ancora senza esito) ricerche dello sfortunato volo MH370 della Malaysia Airlines. Ma la notizia – bomba è la scoperta dalla parte opposta, nel mare prospiciente a Sidney (la più importante città australiana), di ben 4 vulcani ad appena 200 km di distanza dalla costa, e dei quali nessuno sapeva niente. Sono quattro caldere, quindi in tutti questi casi alla fine dell'attività si è svuotata la camera magmatica e la sua volta ha ceduto.
La storia è molto semplice. Il Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (il CNR australiano), meglio conosciuto con la sigla CSIRO  ha da poco acquisito una nuova nave, la RV Investigator. Basata a Hobart, in Tasmania, è stata commissionata allo scopo di studiare gli oceani che circondano il continente – isola, curando in particolare gli aspetti geologici, geofisici, ambientali e della pesca.
Era in corso una missione allo scopo di capire la biologia delle larve delle aragoste, in particolare le zone dove si raccolgono, nelle profondità dei fondi oceanici. Naturalmente la nave mentre si muove esplora con la propria strumentazione il fondo dell'oceano. 
E qui, appunto, viene il bello. Il fondo dell'oceano da quelle parti è a circa 5000 metri sotto il livello del mare e le attrezzature precedenti di cui disponeva il CSIRO non erano in grado di esplorare zone più profonde di 3000 metri. Così, praticamente all'inizio della sua attività, la RV investigator si è subito resa protagonista di una eccezionale scoperta.

Dalle prime stime questi vulcani dovrebbero avere più di 50 milioni di anni. Il gruppo si estende per 20 km lungo una fascia larga 6 km. La caldera più grande ha un diametro di un km e mezzo e un'altezza di 700 metri dal fondo del mare.


Ora vediamo di capire perchè ci sono questi vulcani.
Qualche anno fa parlai della storia geologica della Nuova Zelanda. Dal Cretaceo superiore tra quella che diventerà l'Australia si stava separando da quella che diventerà la Zealandia, il continente sepolto sotto il mare di cui la Nuova Zelanda e  la Nuova Caledonia sono le uniche parti emerse. Tra loro si formò una dorsale oceanica che avrà vita piuttosto breve, come si vede da questa carta presa da 
Norvick e Smith (2001), Mapping the plate tectonic reconstruction of southern and southeastern Australia and implications for petroleum systems. The APPEA Journal, 41(1), 15–35.
Si individuano ad Ovest l'Australia e l'Antartide ancora unite mentre ad Est le parti che formano la Zealandia.

Questi vulcani potrebbero quindi essersi sviluppati in corrispondenza di questa dorsale o in un ambiente di rift che ha preceduto la formazione della dorsale.



mercoledì 8 luglio 2015

Individuare le georisorse disponibili intorno alla catena alpina: il progetto GeoMol


Il progetto GeoMol – Assessing subsurface potentials of the Alpine Foreland Basins for sustainable planning and use of natural resources, promosso dal ministero per l'ambiente del land della Baviera in collaborazione con varie istituzioni, fra le quali per l'Italia l'ISPRA e le regioni Lombardia ed Emilia – Romagna, ha voluto esplorare le georisorse esistenti in alcune aree – campione nei grandi bacini sedimentari che circondano le Alpi: la Pianura padana a sud e il bacino delle Molasse Svizzere a N, con una ulteriore applicazione in un'area nel bacino Pannonico tra Ungheria, Slovenia e Austria che non fa parte del progetto principale. I dati scientifici sono stati inseriti in due software specifici consultabili on line sul sito, uno su mappa e uno in 3DIl tutto è pubblicato in un report (1) scaricabile liberamente. Una operazione del genere dimostra come nei bacini intorno alle Alpi il sottosuolo possa essere sfruttato per la geotermia e per lo stoccaggio di gas. Con i vantaggi a cascata in termini di ambiente, bilancia commerciale e posti di lavoro.

Lo scopo del progetto Geomol era l'individuazione delle georisorse dei grandi bacini sedimentari intorno alla catena alpina prendendo in esame delle aree campione, visibili nell'immagine qui accanto.
A Sud della catena alpina c'è la pianura padana: sopra un basamento paleozoico si trova una serie sedimentaria la cui deposizione è iniziata nel Triassico. La successione è davvero spessa: in alcune zone solo nel Pliocene si sono deposti 5 km di sedimenti. Questo bacino oggi è stretto fra le Alpi e gli Appennini che lo hanno in parte deformato, quindi la sua struttura tettonica è complessa.
Il bacino delle molasse, sviluppatosi a partire da 35 milioni di anni fa (fine dell'Eocene) lungo il margine settentrionale della catena è un'area arcuata e lunga un migliaio di km e larga tra 30 e 100, grossolanamente dalla Savoia alla Boemia. Questi sedimenti, che raggiungono i 7 km di spessore, provengono dall'erosione della catena in formazione: si sono deposti su di un basamento cristallino paleozoico simile alle rocce che compongono le vecchie catene erciniche affioranti come Massiccio Boemo, Vosgi, la foresta Nera e Massiccio Centrale Francese, parzialmente coperto da una serie marina tra Mesozoico e Terziario inferiore.
Anche le molasse sono state oggetto di deformazioni da quando si sono formate ad oggi, ma in maniera più ridotta rispetto a quanto è avvenuto a sud.

Nella fase iniziale del progetto sono stati esaminati i dati geologici disponibili: carte e sezioni a varia scala, una gran quantità di profili sismici e dati di sondaggi e stratigrafie di pozzi. I pozzi sono serviti soprattutto ad individuare esattamente il significato delle discontinuità emerse dai profili sismici per calibrarli, come si vede dalla figura qui accanto.

LE GEORISORSE NEI BACINI INTORNO ALLE ALPI

Una georisorsa è un qualsiasi potenziale di utilizzo del sottosuolo: falde acquifere, miniere, pozzi per gli idrocarburi sono gli esempi più classici, ma sono georisorse anche acque termali, corpi geotermici e le zone adatte per stoccare gas nel sottosuolo. Sono raffigurate in questa immagine del servizio geologico olandese.


Per valutare le georisorse delle aree campione sono stati indicati alcuni parametri:
- le caratteristiche dei sedimenti dei bacini, la cui successione è nota
- l'assetto strutturale
- la distribuzione delle temperature

A livello minerario le cose non vanno bene, nel senso che le uniche risorse possibili sarebbero gli idrocarburi (ma la maggior parte degli oltre 250 serbatoi scoperti è ormai già stata sfruttata quasi totalmente, e non è considerata realistica l'ipotesi di nuove scoperte importanti) e il carbone (le cui ultime coltivazioni sono state abbandonate entro il 2000 per i costi di estrazione troppo alti; le riserve sarebbero consistenti numericamente ma a causa delle elevate emissioni di CO2 connesse al suo utilizzo, non vengono considerate utili.
Riveste invece una grande importanza la produzione di acque a scopo termale, idropotabile, irriguo ed industriale

La georisorsa più importante secondo GEOMOL è la geotermia (ecco perché è stato lo studio delle temperature è stato un obbiettivo fondamentale del progetto). Il calore interno terrestre è dimostrato dalle elevate temperature che le maestranze dovettero sopportare quando furono traforate le prime grandi gallerie transalpine come il Sempione e dalla presenza di acque termali calde. Il gradiente geotermico varia da zona a zona (un valore “medio” è di circa un grado ogni 30 metri). Sono stati usati vari metodi per misurarlo.
Parlando di geotermia in Italia vengono automaticamente in mente Larderello e i suoi soffioni. Nelle zone circumalpine non ci sono vulcani né magmi intrusi nella crosta superiore ancora caldi come in Toscana, però la geotermia si può fare con temperature molto più basse: già tra i 20 e i 40 °C le acque vengono usate a scopo termale o per il riscaldamento con pompe di calore. Oltre questa temperatura si possono utilizzare gli scambiatori di calore e già a 100°C si può pensare al riscaldamento industriale o alla generazione di energia.

Il potenziale geotermico indica la capacità del sottosuolo a rendere utilizzabile questa risorsa, rinnovabile e che presenta (a parte alcuni casi come Larderello .....) livelli di produzione di gas – serra molto bassi. I vantaggi sono evidenti: oltre al contrasto dei cambiamenti climatici, il minore ricorso ai combustibili fossili riduce l'inquinamento atmosferico che deriva dal loro uso, trasporto e trasformazione; e si deve pure considerare i riflessi sulla bilancia commerciale, vista la quasi totale dipendenza dall'estero in questo settore. Vediamo qui la carte delle variazioni della profondità della isoterma dei 100°C nell'area a E del lago di Costanza, che dimostra la possibilità di raggiungere con le perforazioni profondità interessanti per sfruttare il calore terrestre.
La presenza di faglie in cui risalgono dal profondo fluidi a temperatura più alta è la situazione più favorevole.
C'è anche l'ipotesi di aumentare la permeabilità di rocce interessanti dal punto di vista geotermico che ne difettano in modo da poterle sfruttare meglio.

Nella zona bavarese del bacino delle Molasse già nel 1938 furono trovati liquidi idrotermali ad alta profondità durante l'esplorazione a scopo di ricerca di idrocarburi. Lo sfruttamento delle risorse geotermiche attualmente ha il suo epicentro nella Baviera, con qualche impianto nelle zone confinanti di Svizzera e Austria. Vi sono impianti per tutti gli usi, anche geotermoelettrici, ma l'uso termale è di gran lunga il più importante. La carta mostra la loro distribuzione.
In pianura padana, nei dintorni di Mantova, sono utilizzati a scopo riscaldamento fluidi geotermici a 60°C rinvenuti durante esplorazioni petrolifere a 5000 metri di profondità.
La difficoltà specialmente nella pianura padana è la profondità delle riserve geotermiche, che innalza i costi.
Un'altra tecnica poco conosciuta, applicata in Norvegia in qualche migliaio di casi, è quella di immagazzinare nel terreno acque calde estive per usarle d'inverno a scopo riscaldamento e acque fredde invernali a scopo condizionamento in estate.

Un'altra georisorsa è la presenza nel sottosuolo di formazioni in cui possono essere stoccate ingenti quantità di gas da riutilizzare a scopo energetico (metano, gas naturale, aria compressa): lo stoccaggio dei gas in profondità è un buon sistema per costituire importanti riserve strategiche e consente di poter acquistarlo quando i prezzi sono più convenienti. Tecnicamente parlando sono possibili due soluzioni: caverne nel sale o rocce porose. Intorno alle Alpi non ci sono caverne di sale e quindi c'è solo la seconda possibilità.
Inoltre è teoricamente possibile sequestrare in profondità il CO2 atmosferico, per diminuirne il tenore nell'aria, che sta arrivando a livelli drammaticamente alti.

Per stoccare gas più leggeri dell'acqua come metano o CO2, che tenderebbero ad andare verso l'alto, un aspetto fondamentale è la necessità di avere sopra la roccia – serbatoio un tappo di rocce impermeabili: per cui depositi del genere sono possibili solo in rocce porose sotto ad un importante banco di argille o marne impermeabili. Quindi l'assetto tettonico è importante perché molto spesso sono le faglie a determinare le zone che possono essere sigillate, come si vede in questa figura.
I campi petroliferi esauriti vengono “a fagiolo”: hanno una porosità ottimale, se confinati in mezzo a rocce impermeabili offrono buone doti di sigillatura e i costi di attivazione sono bassi perchè ci sono già i pozzi e i sistemi di trasporto del materiale, sui quali basterebbe semplicemente operare per invertire il verso del flusso. È una soluzione già ampiamente praticata in varie nazioni: gli USA sono leader del settore, e anche in Italia ci sono già almeno una decina di impianti del genere.

Spero che a nessuno venga in mente di utilizzare invece queste zone per lo stoccaggio di liquidi inquinati in profondità, attività in cui gli USA sono maestri ma della quale nel rapporto per fortuna si parla poco: quello che è da temersi, soprattutto, sono i rischi connessi all'inquinamento permanente del sottosuolo.

Nelle zone in cui si pratica attività di stoccaggio nel sottosuolo alle volte si manifesta un rischio sismico elevato: è successo in diversi luoghi negli USA e anche in Spagna. Questo rischio pone dei grossi interrogativi (e dei possibili limiti) all'uso di questa georisorsa ed è da considerare con molta attenzione. Comunque il rapporto è stato scritto prima dell'uscita dei lavori in cui sono evidenziate le ragioni della sismicità indotta e perché da qualche parte avviene e altrove no, come ho scritto in questo post.

Ci sono anche dei geopontenziali negativi: vulcanismo, sismicità potenzialmente elevata, aree sottoposte a rischio frane o alluvioni, paludi, aree salmastre.
Nel bacino delle Molasse il rischio sismico è per fortuna piuttosto basso, anche se non sono esclusi eventi che possono comportare crolli importanti in alcuni edifici: nella storia sono rari ma danni e persino morti ne hanno fatti. Sono effetti del risentimento di sismi che si scatenano fuori da esso o ai suoi limiti, dovuti a questioni tettoniche nella catena o nel graben del Reno.
La pianura padana invece era storicamente a rischio, basta leggere il catalogo dei terremoti italiani: questa lettera dei geologi ferraresi lo evidenziava 40 annifa e gli eventi del 2012 lo hanno confermato in pieno. Per cui il rischio sismico è stata considerato solo nell'area pilota italiana, con lo scopo di localizzare le strutture attive (soprattutto le faglie), visibili in questa carta.

RISULTATI FINALI

Nella seconda parte del progetto GeoMol sono stati generati una serie di modelli tridimensionali di varie superfici, strutture e caratteristiche delle aree campione (questo ad esempio è il profilo del limite superiore del complesso dei sedimenti triassico – giurassici nella zona studiata della pianura padana). I modelli hanno consentito uno screening che ha individuato le zone in cui è più facile sfruttare le georisorse (ricordo che – comunque – per definire le cose con precisione occorrano studi locali molto più approfonditi).
Alla fine del lavoro il risultato è sintetizzato in una tabella dove vengono valutati i vari geopotenziali che offrono le varie unità geologiche che compongono il sottosuolo come questo, realizzato per l'area Brescia – Mantova - Mirandola.

RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Indubbiamente nei bacini che circondano le Alpi la geotermia è la georisorsa più interessante, ma non è l'unica. Una metodologia simile inoltre è molto utile per l'individuazione delle strutture sismiche più importanti.
La mia riflessione finale è che puntare su azioni come questa significa creare posti di lavoro tecnologicamente avanzati per geologi, ingegneri e aziende del settore, oltre a diminuire inquinamento e dipendenza dalle importazioni di idrocarburi.
Direi che un investimento del genere debba essere fatto e non solo in pianura padana: oggi in Italia quando si discute di georisorse sembra che fra queste ci siano solo gli idrocarburi, ma quante aree del territorio italiano potrebbero contenere delle georisorse di cui oggi non si parla? In particolare il potenziale geotermico nella penisola sarebbe enorme, molto maggiore di quello della pianura padana, Penso solo a quanto nel si risparmierebbe nel settore del riscaldamento domestico in bilancia commerciale ed emissioni di gas – serra e si guadagnerebbe in posti di lavoro usando geotermia e efficentamento energetico degli edifici.
Eppure si preferisce continuare ad importare idrocarburi...


(1) GeoMol Team (2015): GeoMol – Assessing subsurface potentials of the Alpine Foreland Basins for sustainable planning and use of natural resources – Project Report, 188 pp. (Augsburg, LfU)