lunedì 16 giugno 2014

Scienza per immagini: come i pesci hanno imparato a respirare l'aria e conquistato le terre emerse


Alle volte vedi delle cose inaspettate. E avere lo smartfone (lo “smarte-fonne” in fiorentino) sempre con se oltre a ricevere e fare telefonate è utile per immortalare delle situazioni particolari. Questo che sto per raccontare è un esempio in cui avere un cellulare capace di fare un bel filmato si è rivelato utilissimo dal punto di vista della divulgazione scientifica, e un'occasione per parlare della transizione tra pesci e vertebrati terrestri.

Siamo a Firenze, il giorno in cui le ville medicee sono aperte perché entrate a far parte del “patrimonio universale dell'Unesco” (il centro di Firenze è stato incluso nella lista già dal 1982, uno dei primi siti a fregiarsi di questo riconoscimento).
Per la precisione siamo nella villa di Poggio Imperiale, a cui si accede da un viale dritto in salita direttamente da Porta Romana. Villa dalla storia intensa, successivamente cara a Pietro Leopoldo, il primo "vero" sovrano Lorena, uno dei migliori regnanti d'Italia di ogni tempo (è ancora presente nella villa il suo studio personale).
Nel giardino della villa c'è una vasca con delle ninfee e dei normalissimi pesci rossi.
Quello che mi ha incuriosito è che i pesci stavano più o meno tutti sulla superficie, come si vede da questo filmato ripreso nell'occasione. Prima di proseguire a leggere guardate il filmato e pensate perché.



Il motivo è evidente: l'acqua ferma e senza ricambio, con i residui dei vegetali (e forse pure di qualche pesce) in decomposizione, conteneva ormai pochissimo ossigeno sia a causa della respirazione degli animali ma anche per la dissoluzione della materia organica, la quale, essendo - banalmente - un processo di ossidazione si somma alla respirazione animale nel consumo di ossigeno.
Insomma, quale che fosse il motivo, i poveri pesci erano costretti ad arrivare in superficie per respirare aria.

Questo è ciò che è successo quando, nel Devoniano, i primi tetrapodi, sono riusciti a conquistare le terre emerse. Ne avevo parlato anni fa in occasione della scoperta di una rana senza polmoni. Ricordo che “tetrapodi” è un buon termine con cui si possono definire i vertebrati che vivono sulla terraferma e quelli marini “di ritorno”, cioè con antenati terricoli come le balene. Per Tetrapodi quindi si intendono tutti i mammiferi, uccelli, rettili ed anfibi. Ma nel Devoniano sono esistiti dei tetrapodi che erano ancora pesci; ne consegue che gli arti non si sono evoluti sulla terraferma, ma ancora in condizioni acquatiche.

I protagonisti della conquista delle terre emerse non sono stati i pesci con le pinne a raggi come i carassi  e la stragrande maggioranza dei pesci attuali (gli attinopterigi), ma quelli dotati di pinne carnose, parenti quindi dei Celacanti e dei dipnoi, i Crossopterigi. La figura qui accanto disegna una pinna "classica" dei Crossopterigi, in cui si vedono gli embrioni di quelle che diventeranno le terminazioni degli arti dei tetrapodi, mani e piedi.
Se volete saperne tutto sull'origine dei tetrapodi direi che basta andare su Paleostories, il blog del brillantissimo Marco Castiello, che nonostante la sua giovane età non può più essere definito “di primo pelo”, essendo ormai non più una promessa per la blogosfera scientifica italiana, ma una certezza.  Sull'argomento “dai pesci ai tetrapodi” ha scritto una serie di post particolarmente esaurienti, a partire da questo (sono in tutto 5). Per l'appunto non ha messo i link tra un post e l'altro e questo è un po' scomodo per la lettura....  ma sono tra le cose più chiare che abbia letto in proposito. Spero che Marco metta i link tra un post e l'altro quanto prima....

Come ha scritto Marco nel primo post della serie, 
"tutti pensano di sapere che gli arti dei tetrapodi si siano evoluti per permettere agli animali di camminare sulla terraferma, in modo da occuparne gli ambienti. I tetrapodi quindi (così racconta il mito) si sono evoluti da pesci che hanno sviluppato piano piano delle zampe con lo scopo di avventurarsi fuori dall’acqua".
Ebbene, niente di tutto questo, perché, come scrive nel quinto post della serie "oggi molto paleontologi pensano che gli arti dei tetrapodi si siano originati in ambiente acquatico per migliorare il movimento in certi ambienti irregolari e che richiedevano una certa interazione, come gli intricati labirinti di mangrovie, e non con la finalità di camminare sulla terraferma".

Aggiungo “per respirare”: gli antenati dei tetrapodi vivevano in zone di laguna e di delta dove la decomposizione di materiale vegetale portava a frequenti fasi in cui di ossigeno ce n'era poco. Fattostà che questi pesci hanno probabilmente approfittato delle pinne carnose prima e dei primi arti rudimentali poi, anche per sollevarsi a respirare meglio dall'aria, introducendola nella bocca. 
A poco a poco l'implementazione della respirazione buccofaringea ha portato alla formazione del sistema polmonare, insieme a zampe e corpo più robusto, una caratteristica necessaria per la conquista della terraferma, dove le branchie non servono più.

Esempi fondamentali della transizione pesci - tetrapodi sono Tiktaalik, una versione “precoce” di un pesce sulla via di diventare un tetrapode e Acantostega, un vero e proprio pesce a quattro zampe, descritto da Marco nel terzo post.

Tiktaalik è oltretutto un esempio della predittività (sia pure alla rovescia) dell'evoluzione.
Questa potrebbe essere una conversazione che stilizza la sua scoperta.

Domanda di un curatore di un museo di paleontologia: ho la possibilità di organizzare una spedizione per cercare gli antenati dei tetrapodi. Ma quali luoghi sembrano più adatti o, meglio, in quali ambienti potrei trovare questi fossili e in che periodo?
Risposta di un paleontologo: vanno ricercati in sedimenti lagunari del Devoniano medio e superiore
curatore del museo: ma dove potremmo trovare dei sedimenti del genere?
geologo: direi in certe zone della Groenlandia

il curatore del museo allora decide di organizzare lì una spedizione
E durante la spedizione fu trovato il Tiktaalil che, piaccia o no agli antievoluzionisti, è proprio una via di mezzo fra un pesce con le pinne carnose ed un tetrapode. Si stanno arrampicando sugli specchi per dimostrare il contrario ma prima o poi cadranno di sotto.

Acanthostega è anch'esso estremamente interessante: è un tetrapode, inequivocabilmente, ma è un pesce: la sua struttura infatti non era capace di sostenere il peso corporeo sulla terraferma.


È interessante quindi come gli antenati dei tetrapodi hanno cambiato la respirazione da branchiale a polmonare, attraverso la respirazione buccofaringea e come il filmato della vasca nel giardino della villa del Poggio Imperiale fa vedere il perchè.

A proposito, noi tetrapodi terrestri abbiamo ancora le branchie. Solo che si chiamano orecchie....

sabato 7 giugno 2014

Le difficoltà dell'Università italiana di oggi sono lo specchio dei reali problemi del Paese - commento ad un articolo di Nicola Casagli


Se ad uno dei soliti quiz televisivi di oggi in cui nel migliore dei casi vince chi ha più intuito, non chi sa di più, venisse posta la domanda “qual'è il maggior problema delle università italiane” le risposte potrebbero essere “pochi finanziamenti”, “i baroni”, “scarsa qualità”, “il costo”. Cominciamo a escludere la “scarsa qualità”, visto come i nostri laureati abbiano mercato all'estero, anche e soprattuttto in Paesi come Germania, Inghilterra, USA, Francia etc etc, cioè nazioni con una indubbia ed importante storia accademica. Purtroppo in alcune aree baronaggio e nepotismo probabilmente continuano a regnare, non so. Finanziamenti e costi sono una questione diversa, di cui non si può parlare in poche righe e di cui oltretutto sarei assolutamente poco competente.
Ma la risposta esatta la conosce solo chi c'è dentro e a chi, esterno, conosce il problema, ed è la burocrazia. Ce lo dimostra il prof. Casagli che su ROAR ha scritto un articolo da buon toscano “un po'” polemico e irriverente sul peso che la burocrazia ha nell'università italiana e sulla perdita di tempo enorme che causa.

Il "pezzo" si trova sul sito della rivista "ROAR": e vi invito a leggerlo. Oltre a questo "avviso ai naviganti" faccio un breve commento.

Probabilmente con queste note si capisce anche come mai l'Italia universitaria abbia una quantità di personale amministrativo superiore alla media mondiale: districarsi fra ANVUR, VQR, ASN, GAV, AVA, AQ, AP, SUA, CEV, TECO, MEPA, CONSIP, U-GOV, DURC, DUVRI, CUP, CIG,  PROPER, PERLAPA ed altre sigle del genere (immagino che per molte di queste procedure ovviamente ci sarà la richiesta di password da ricordare in seguito ed altre facezie del genere) ricorda troppo il mitico "Lasciapassare A38" di Asterix e richiede, come nota giustamente l'Autore, al personale amministrativo l'obbligo “a lavorare con norme astruse e sistemi informatici cervellotici. Gli amministrativi devono fare i giuristi e gli informatici per poter svolgere il loro lavoro. E per questo frequentano continuamente corsi di formazione, dove vengono depressi dalle sempre più illogiche innovazioni introdotte per le finalità più disparate, ma mai per il miglioramento dell'amministrazione dell'Università”. 
Mentre “venti anni fa il personale amministrativo delle Università era impiegato per fare un lavoro normale, che richiedeva competenze normali per cui gli impiegati erano preparati, avevano studiato ed erano stati selezionati nei concorsi: un po' di contabilità, partita doppia, gestione degli inventari, contratti pubblici e poco altro”.

Casagli mostra in questo articolo gli ostacoli burocratici per tenere un corso di laurea e “erogare CFU” (una volta – dice – al posto di questo si insegnava agli studenti), prendere con sè dei collaboratori per qualche progetto temporaneo, comprare dei semplici oggetti per il laboratorio, segnalare i propri articoli per la valutazione della ricerca, utilizzare i finanziamenti, ottenere rimborsi spese, invitare conferenzieri da altre università, anche estere e cose che apparirebbero semplicissime come firmare un contratto.
Si sofferma anche sulle difficoltà di studenti extracomunitari alla luce della Bossi - Fini

La conclusione che faccio io è che queste norme astruse servono come in altri campi per ostacolare gli onesti, mentre ai disonesti non gliene può importare di meno. 
Come dice anche l'autore, apprendendo che il Piano Nazionale Anticorruzione è stato predisposto ai sensi della legge 6 novembre 2012 n. 190 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”: 
cerco di capire qualcosa fra gli 83 commi che formano l'articolo 1 e capisco solo perché l'Italia genera la metà del giro d’affari della corruzione in Europa, con un costo per la collettività di 60 miliardi di euro per anno.
Annota poi una circostanza: il famigerato decreto – Tremonti disponeva provvedimenti per ridurre del 20% in cinque anni il finanziamento ordinario alle Università, con un taglio di 1,5 miliardi di euro. Curiosamente all'Art.14 lo stesso  decreto autorizzava spese per un importo corrispondente per finanziare l'Expo di Milano 2015. I risultati sono noti e sono notizia di cronaca di questi giorni: sono state create enormi difficoltà alle Università italiane e sono stati sprecati 1,5 miliardi con l'Expo ancora in alto mare.

E conclude tristemente: 
Venti anni fa mi ero appena sposato. Io e mia moglie, entrambi precari, possedevamo due auto italiane, un motorino italiano, un computer italiano, un costosissimo telefono cellulare italiano, una TV italiana e un certo numero di elettrodomestici italiani.
Oggi la mia famiglia possiede due auto giapponesi, uno scooter giapponese, quattro computer americani, tre smartphone americani, due tablet americani, due TV sud-coreane e un certo numero di elettrodomestici tedeschi.
La crisi dell’Università riflette la crisi del nostro Paese. Ne è la cartina di tornasole e l'inascoltato campanello di allarme.

Purtroppo in Italia i controlli spesso vertono su aspetti formali e non sostanziali.
E annoto che questo si applica a tanti campi.
Penso all'industria ferroviaria, a quella automobilistica o quella chimica, che in altre nazioni della UE stanno facendo cose egregie mentre qui si disfa quel poco che resta, al turismo che spesso ci evita per le nostre disorganizzazioni. Ma non solo. 
Penso alla oscena quantità di pratiche e permessi da ottenere anche solo per aprire un negozio o un laboratorio artigiano (mentre altri continuano a lavorare in condizioni indecenti senza che nessuno dica nulla, perchè i titolari sono i soliti a cui le regole non interessano). Per non parlare della giungla pericolosissima dello smaltimento rifiuti, dove abbiamo eccellenti dimostrazioni del fatto che le norme asfissianti non hanno impedito immense storture.

E penso che di eccellenze in Italia ne avremmo. Purtroppo negli ultimi decenni è stato distrutto il sistema - paese. 
Ricostruire è un dovere, cercando di lavorare, mettere meno lasciapassari A-38, usando comunque una severità sostanziale e non formale nei controlli (che VANNO fatti!) e senza dare colpe ai cattivoni di Berlino, Bruxelles o Pechino o di quasivoglia altro posto. 

mercoledì 4 giugno 2014

Estinzioni di massa e grandi province magmatiche: i magmi australianni di Kalkarindji e l'estinzione della fine del Cambriano Inferiore, 510 milioni di anni fa



La correlazione fra la messa in posto di una Large Igneous Province, un episodio di anossia dei mari e una estinzione di massa (o una fase ad altro ricambio nelle specie viventi) è ormai assodata per gli eventi anossici del Giurassico e del Cretaceo, ma anche per eventi precedenti. Lo sarebbe anche per l'estinzione di massa della fine del Cretaceo, quella che ha convolto fra gli altri i dinosauri, anche se ancora oggi l'idea che sia stato il meteorite caduto nello Yucatan ha ancora, purtroppo, tanti proseliti. Nell'ultimo numero di Geology un lavoro accerta questa correlazione 510 milioni di anni fa, al passaggio fra Cambriano Inferiore e Cambriano Medio. L'articolo, a firma di  F. Jourdan ed altri Autori, un team internazionale composto da ricercatori australiani, svizzeri e svedesi, si intitola "High-precision dating of the Kalkarindji large igneous province, Australia, and synchrony with the Early–Middle Cambrian (Stage 4–5) extinction". 


Una Large Igneous Province (LIP) (grande provincia magmatica) è una ingente messa in posto di rocce effusive messe in posto su una superficie che si misura in milioni di km2 e della loro controparte intrusiva, con un volume di magmi emessi che si misura in milioni di km3 di magma. Una particolarità fondamentale è che l'attività della LIP avviene in un periodo geologicamente breve, da poche centinaia di migliaia a pochi milioni di anni. 
In molti casi dove è avvenuto questo fenomeno rimane a lungo un residuo di attività vulcanica: esempi classici sono le isole Bouvet e Marion a sud dell'Africa, Reunion nell'Oceano Indiano, Sant'Elena e le Canarie nell'Oceano Atlantico. Ovviamente i movimenti delle zolle hanno portato gli espandimenti principali ben lontani da dove si sono formati.

È un vulcanismo raro nel tempo ma la sua messa in posto produce incredibili sconquassi, fra effetto-serra piogge acide ed altro, a causa delle emissioni di CO2 e di altri simpatici composti come gli ossidi di Zolfo.
Spesso questo vulcanismo precede la divisione di un continente in due masse diverse e proprio per questo il Mesozoico, caratterizzato dalla rottura del Gondwana, è stato punteggiato da episodi del genere, soprattutto intorno all'Africa. 
Le LIP mesozoiche sono note soprattutto per le lave, mentre di quelle più antiche spesso è meglio visibile la parte intrusiva che stava sotto alle lave, ormai erose.

La correlazione temporale fra messa in posto di Large Igneous Provinces, eventi anossici oceanici in cui nelle acque scompare l'ossigeno che normalmente vi è disciolto, ed estinzioni di massa suggerisce che queste enormi eruzioni abbiano svolto un ruolo chiave negli avvicendamenti faunistici globali e nei cambiamenti climatici.

Il continente australiano è composto da rocce molto antiche in quanto non è stato interessato da grossi movimenti orogenici negli ultimi 500 milioni di anni. Rappresenta, anche nei continenti derivati dal Gondwana, un'oasi di tranquillità tettonica. Nonostante questo al suo interno si producono terremoti anche piuttosto forti e non rarissimi lungo delle linee che hanno avuto una grande importanza prima ancora del Cambriano (negli ultimi 40 anni ci sono state almeno 6 scosse con M uguale o superiore a 6).
La quiete tettonica che iniziò ancora prima dell'inizio del Cambriano consente di vedere una abbondanza di rocce del Cambriano ma anche di tempi precedenti. Non può stupire, allora, che il continente dei canguri sia anche uno dei principali territori per la ricerca di prodotti minerari e per la ricerca delle origini della vita sulla Terra.

All'interno di queste antiche rocce ci sono le tracce di diverse Large Igneous Provinces che hanno un'età compresa tra 1780 e 510 milioni di anni. Quella che ci interessa nel frangente è la più giovane (parlare di giovane per un evento di oltre 500 milioni di anni fa dice tutto sulla tempistica della geologia australiana!)
Nel 2006 Linda Glass e David Phillips suggerirono che una vasta serie di rocce magmatiche australiane, fra cui quelle molto note ai geologi locali del Plateau di Antrim nell'Australia settentrionale, facessero parte di una sola, unica grande famiglia. La cosa parve ovvia non solo per la corrispondenza delle età radiometriche, ricavate con vari metodi in vari laboratori diversi, ma anche per diverse caratteristiche geochimiche in comune. Fu istituita quindi la denominazione di Kalkarindji Large Igneous Province, che come si vede dalla carta qui a fianco occupa non la metà del territorio australiane, ma quasi, includendo nella LIP centri eruttivi più lontani da Antrim ma, appunto della stessa età e con comuni caratteristiche geochimiche.
Nel plateau di Antrim sono state riconosciute colate laviche lunghe oltre 200 km che si sono propagate in valli preesistenti come se fossero dei fiumi (il paragone con i fiumi è insito nel nome con cui vengono chiamate queste eruzioni: flood basalts, alluvioni di basalto).
Oggi affiorano ancora in alcune zone spessori di oltre 1500 metri di lave, in colate spesse normalmente fra 20 e 60 metri (ma si arriva anche a 200 metri di spessore per una singola colata!).

La datazione a circa 510 milioni di anni fa suggerì anche a questi Autori un collegamento con l'estinzione di massa del Toyoniano, un piano a cavallo tra il Cambriano inferiore ed il Cambriano medio. Nella scala geologica dei tempi versione 2013 il Toyonano non compare: molti periodi, epoche ed età del Cambriano non hanno nome ma sono definiti da numeri. Il Toynoniano corrisponde alla ”età 4” del “periodo 2” e quindi precede la transizione fra il “periodo 2” ed il “periodo 3” e tra il Cambriano inferiore e il Cambriano Medio.

È significativo che questa LIP sia associata, come succederà nel prosieguo della storia della vita sulla Terra, ad un passaggio faunistico significativo, cioè ad una estinzione di massa (da cui la concomitanza di una divisione importante nella cronologia geologica).


La messa in posto di questa provincia magmatica è stata correlata alla separazione fra l'Australia e una serie di blocchi che ora fanno parte dell'Asia, come il Tarim, la Cina Meridionale e la Cina Settentrionale. In questa carta l'area interessata è quel punto nero sulla destra. Quindi è un altro casi di Large Igneous Province che precede la frattura e la divisione in due continenti diversi di una preesistente massa continentale. 
Fra le caratteristiche che condivide questo evento con quelli successivi ci sono anche le perturbazioni nel rapporto fra gli isotopi del Carbonio d13C e una diminuzione globale del livello marino. Quella della diminuzione del livello marino prima della messa in posto di una LIP è una questione veramente strana, eppure è stata rilevata in tante occasioni.

Durante questa estinzione sarebbero scomparsi almeno il 45% dei generi animali, 35 milioni di anni dopo l'inizio del Cambriano. Il condizionale è d'obbligo vista la frammentarietà dei dati a disposizione che comunque sono tutti coerenti in questa direzione. È evidente che una estinzione in tempi così vicini alla cosiddetta “esplosione del Cambriano” abbia avuto riflessi particolarmente forti sulla storia successiva.

In questa tavola, sempre tratta da Jourdan et al 2014, si vede una correlazione fra le grandi province magmatiche e le estinzioni di massa. Una correlazione davvero troppo precisa per continuare a parlare del meteorite dello Yucatan come grilletto per l'estinzione dei dinosauri, visto che all'epoca era in piena attività la LIP del Deccan...
La linea continua è il tempo zero delle varie estinzioni di massa e come si vede l'attività delle Large Igneous Provinces è quasi sempre contemporanea agli eventi biotici.

lunedì 2 giugno 2014

Una firma per riportare al loro posto le collezioni del Museo Geologico Nazionale


Il giorno della Festa della Repubblica pubblico volentieri questo appello di Myriam D'Andrea, che è la responsabile delle collezioni geologiche dell'ISPRA. Un appello in una data significativa che riguarda un aspetto significativo di una delle istituzioni scientifiche più importanti del nostro Paese. 
L'ISPRA è quel calderone in cui sono entrate nel 2008 varie competenze, a partire nella questione che qui interessa, dal vecchio Servizio Geologico d'Italia. Chiaramente questa storia è stata vista come un declassamento della Geologia da parte di tutto l'ambiente delle Scienze della Terra. 
Precedentemente era già stato svuotato il palazzo che ospitava il Servizio Geologico, lo storico Palazzo Canevari (dal nome dell'architetto che lo costruì sui muri di un antico convento), posto a Roma in Largo di Santa Susanna 13, messo in vendita per ricavare risorse finanziarie. La conseguenza è che le collezioni dell'annesso museo giacciono raccolte in una serie di casse, mentre il palazzo è desolatamente vuoto e senza un compratore. Miryam D'Andrea chiede alla comunità geologica e non solo una firma per riportare le collezioni nel palazzo, e farne un luogo di irradiazione della cultura scientifica. 
Firmate, grazie.

Ecco il testo dell'appello:

Gentile collega, amico/a,
ci stiamo battendo, con un gruppo di impenitenti ottimisti, per far riconquistare ai cittadini di Roma, d’Italia (e a quelli del resto del mondo) le Collezioni geologiche dello Stato italiano, che contengono - tra l’altro - le Collezioni di marmi antichi tra le più prestigiose al mondo (oggi tutte imballate e non visibili, se non in parte e solo on line).
Tra le varie iniziative intraprese in tal senso abbiamo inserito (in questi giorni) la sede storica delle Collezioni e del Servizio Geologico d’Italia, in largo S. Susanna a Roma, tra i “Luoghi del Cuore” del FAI.
Ti chiedo di perdere un minuto e di votare a questo link dell'iniziativa "I luoghi del cuore" del FAI, Fondo Ambiente Italiano.

Divulga l’iniziativa e invita a votare altri sensibili a questo tipo di “sottrazione“ della conoscenza e del godimento dei beni culturali, e di questo, in particolare, che se passa altro tempo rischia di andare oltre ogni possibile memoria.
Un cordiale saluto
Myriam D’Andrea


Nella e-mail c'è anche un allegato. Se qualcuno volesse metterlo su un cloud liberamente scaricabile me lo segnali che glielo mando.
Faccio un breve sunto della questione.
 
Qui accanto vediamo il busto di Quintino Sella, ingegnere e noto per essere stato uno dei principali protagonisti della vita politica del neonato Regno d'Italia, la cui lungimiranza in fatto di Scienze della Terra non ha avuto, purtroppo, pari nella storia successiva dello Stato Italiano. A lui dobbiamo l'istituzione del Servizio Geologico d'Italia: giudicava necessario che il nuovo Stato si dotasse, al pari di altri Stati europei, di un Servizio Geologico, e che questa istituzione avesse una sede unica e centrale ad hoc. Fra le necessità c'era la raccolta dei materiali lapidei e minerari del territorio nazionale, in particolare i campioni di roccia provenienti dalle campagne di rilevamento della prima Carta  Geologica d’Italia, a cui diede un "forte incoraggiamento"
Allo scopo fu scelta un'area a Roma, in Largo di S.Susanna 13. 
 
Il palazzo dell'allora "Regio Ufficio Geologico", erede del "Corpo delle Miniere" fu edificato fra il 1873 e il 1881 nel luogo ove sorgeva il Convento di S. Maria della Vittoria del XVII sec.; fu realizzato su progetto dell’Ing. Raffaele Canevari che riutilizzò le strutture murarie preesistenti e le affiancò con strutture in ghisa. L’inaugurazione avvenne il 3 maggio 1885 e costituì un evento di grande risonanza nazionale: intervenne lo stesso Re Umberto I unitamente ai maggiori esponenti della cultura e della politica del tempo.
Quotidiani e periodici nazionali riservarono un ampio spazio all’avvenimento, non tanto per il Servizio Geologico, quanto per il Museo: il quarto del genere in Europa, dopo quelli di San Pietroburgo, Berlino e Londra. 
Nel 1991 fu posto il vincolo architettonico, essendo il palazzo tra i primi esempi di “stile liberty” nell’edilizia pubblica.

Il museo con i suoi saloni monumentali ospitò le Collezioni geologiche del territorio italiano fino al 1995, quando si decise di ristrutturarlo; si voleva infatti riportarlo, dopo una serie di trasformazioni, all’originaria funzione di polo museale nazionale delle Scienze della Terra. Il che parrebbe una cosa buona e giusta, ma purtroppo la vicenda è andata molto male.


L’edificio fu sgombrato per permetterne la ristrutturazione; l'obbiettivo non era solo il ripristino del complesso museale, ma, con una razionale suddivisione degli spazi, creare aree destinate a congressi, informatica e sperimentazione.
Però la vicenda non ha – almeno per ora -  un lieto fine perché non solo dopo 10 anni la ristrutturazione non si era ancora conclusa, ma il 29 dicembre 2005 l'edificio stesso fu alienato in favore della Soc. FINTECNA, in conseguenza della precedente cartolarizzazione avvenuta nel 2003.
Insomma, il Palazzo Canevari doveva essere venduto per fare cassa.
Con un piccolo particolare: nessuno ha indicato che fine avrebbe fatto il materiale ivi contenuto (tanto chissenefrega della Geologia...)

Il risultato dopo tutti questi anni è che il palazzo non è stato venduto e versa in condizioni di abbandono; quanto al Museo, ovviamente non è più disponibile per ricercatori e visitatori, tranne che per la parte visitabile via Web...


Ed ecco cosa ci potremmo trovare: 
- Ci sono quasi 50.000 campioni di rocce e minerali e oltre 5000 reperti edilizi e decorativi comprendenti pregevoli manufatti marmorei: fra questi ultimi spiccano le collezioni di marmi antichi Pescetto e De Santis, di assoluta rilevanza mondiale.
- Le collezioni paleontologiche includono oltre 100.000 reperti di rilevanza scientifica internazionale, provenienti  principalmente da giacimenti in Italia, i più antichi risalenti a 570 milioni di anni fa
- 17 opere rappresentanti le aree di interesse minerario e le principali aree importanti dal punto di vista rischio-geologico
- busti ed effigi di importanti personaggi legati alla storia d’Italia (già promotori della ricerca geologica nel Paese, tra questi Quintino Sella e Felice Giordano), 
- una raccolta delle attrezzature e della strumentazione tecnico/scientifica
- arredi storici oggetto di tutela in quanto appositamente progettati per esporre e conservare le collezioni
- carte “uniche” di grande valore storico
- fotografie aeree.

Insomma, un bengodi della Geologia, che attualmente si trova imballato e stoccato in un magazzino in attesa di una sede in cui essere di nuovo esposto e fruibile sia per la ricerca che per il pubblico godimento.

La biblioteca invece dovrebbe essere finita all'ISPRA (almeno quella).

A questo punto la comunità delle Scienze della Terra chiede semplicemente che il Palazzo Canevari sia riportato alle sue originarie funzioni di contenitore scientifico-culturale, potendo costituire non solo un valido  punto di riferimento in Italia nel campo delle Scienze della Terra, ma potendo altresì rappresentare una prestigiosa sede congressuale riconosciuta ed apprezzata a livello internazionale.

Prego quindi i lettori di Scienzeedintorni di firmare la preferenza per il museo geologico sul sito del FAI e, anche, di diffondere l'iniziativa.