lunedì 24 ottobre 2011

Perchè non fu un asteroide, ma delle eruzuoni vulcaniche, a determinare l'estinzione dei dinosauri


Io continuo a restare un po' perplesso sulla posizione dell'ambiente scientifico a proposito della estinzione di massa della fine del Cretaceo. Infatti molti studiosi, specialmente al di fuori delle Scienze della Terra, continuano a pensare all'idea degli Alvarez: l'evento K/T è dovuto alla caduta dell'asteroide che si è abbattuto sullo Yucatan. Ma non è così: l'impatto è avvenuto almeno 300.000 anni prima. Tutte le altre estinzioni di massa sono contemporanee con l'eruzione di enormi spessori di basalti, le cosiddette LIP (Large Igneous Provinces). Guarda caso, il K/T, è proprio contemporaneo all'impulso principale delle eruzioni di una LIP, quella dei Trappi del Deccan. Pertanto non ci dovrebbero essere più dubbi in materia. E invece si continua con la storia del meteorite. Tanto di cappello agli Alvarez che avevano proposto questa ipotesi negli anni '70 sfruttando intelligentemente i (pochi) dati a loro disposizione. Ma oggi i dati, in un numero molto maggiora anche perchè la loro raccolta è stata sollecitata proprio dalle loro idee, parlano molto chiaramente: il meteorite non c'entra niente o, al limite, ha avuto una influenza minore.

BIOSTRATIGRAFIA E MAGNETOSTRATIGRAFIA ALL'INTERVALLO CRETACEO - PALEOCENE. la cronologia a foraminiferi all'intervallo K/T è chiarissima e conosciutissima, nonchè facilmente divisibile in 3 fasi: il K/T infatti corrisponde all'estinzione improvvisa di circa i 2/3 dei foraminiferi tropicali e subtropicali. Poi c'è un intervallo in cui rimangono poche specie che è anche arricchito in Iridio; infine appaiono nuove specie tipicamente paleoceniche quando siamo ormai da un po' di tempo nel Daniano inferiore, prima epoca del piano Paleocene.

Importante è anche la stratigrafia magnetica: il K/T è compreso dentro la zona di magnetizzazione C29r, che inizia circa mezzo milione di anni prima: la successiva inversione che ha portato alla magnetizzazione “normale”, la C29n, è avvenuta nel Paleocene Inferiore.
Pertanto  l'età dei sedimenti marini dell'epoca, una volta accertato che le rocce contengano foraminiferi, sono assolutamente facili da determinare.  


LA STRATIGRAFICA MAASTRICHTIANA DEI PRODOTTI DELL'IMPATTO DELLO YUCATAN Tra la fine del 2001 e l'inizio del 2002 nel quadro del progetto ICDP (International Continental Drilling Project) fu scavato un pozzo nel “cratere” del meteorite di Chicxulub, per capirne la stratigrafia. Il report fu pubblicato nel 2004 sulla rivista PNAAS.
Il pozzo, denominato Yaxcopoli-1, ha dato risultati che i sostenitori dell'ipotesi del meteorite come killer dei dinosauri non hanno ancora digerito (alcune volte penso che non ne sappiano niente, perchè è un po' difficile ignorarle se conosciute).
La stratigrafia è conservata in modo eccellente o quasi. Si vede come il cratere del meteorite si sia formato sopra una serie di sedimenti indiscutibilmente di età Maastrichtiano superiore, riferibili ad un ambiente costiero (alternanza di ambienti marini, lagunari e deltizi). Sopra di essi è chiarissima la sovrapposizione dei materiali dovuti all'impatto, che sono divisi in due parti: circa 85 metri di ejecta del cratere (in buona parte costituiti da materiali delle litologie sottostanti, ma a dimostrare l'intensità dell'impatto ci sono anche elementi del basamento paleozoico). Ovviamente, essendo materiale dovuto alla formazione del cratere, non possono mancare le smectiti, minerali argillosi che si pensa siano dovuti alla alterazione di vetri formatisi durante la catastrofe.

La seconda parte del gruppo dei depositi dell'impatto è costituita da strati gradati, con grani più spessi alla base dello strato che diventano via via sempre più fini; testimoniano la forte erosione dei bordi del cratere e hanno uno spessore di circa 15 metri.
Sopra il gruppo dei depositi correlati all'impatto c'è una cinquantina di centimetri di un calcare dolomitico. Se l'impatto fosse stato a livello del K/T questi sedimenti avrebbero dovuto avere un'età quantomeno paleocenica inferiore, ma la sorpresa (che poi qualcuno si aspettava) è che invece l'età risulta, dai foramniniferi, tipicamente Maastrichtiana superiore.

YAXCOPOLI-1 E LE AREE LIMITROFE. Dicevo che la cosa era prevista perchè già nel 1995 sulla rivista “Geology” era apparso un articolo di Keller ed altri Autori dal titolo "Yucatán subsurface stratigraphy: Implications and constraints for the Chicxulub impact", in cui si evidenziava la presenza in alcuni siti di spessori sedimentari riferibili al Maastrichtiano al di sopra dei depositi dell'impatto, che quindi non potevano collocarsi al limite Cretaceo – Paleocene.

Qualcuno ha sostenuto che, almeno nella zona di Yaxcopoli-1, i sedimenti contenenti foraminiferi maastrichtiani fossero materiale risedimentato. Ma così non è perchè l'ambiente di sedimentazione era caratterizzato da bassa energia, incapace di risedimentazioni di un certo livello (mancano clasti di una dimensione apprezzabile, cosa che sarebbe stata normale per un fenomeno di risedimentazione) e anche perchè, non certo casualmente, l'assemblaggio dei foraminiferi è tipico ed esclusivo delle ultime fasi maastrichtiane.

Inoltre proprio in corrispondenza del livello K/T c'è anche qui un livello più scuro, proprio come a Gubbio ed in altre località del mondo. Che sia riferibile proprio al K/T lo dimostrano sia la biostratigrafia a foraminiferi sopra e sotto, che dei particolari nei rapporti isotopici del Carbonio e una certa anomalia nell'Iridio. Purtroppo il Paleocene inferiore è un po' disturbato; ma i dati parlano chiaro: l'evento K/T ha lasciato tracce indelebili anche nella carota del pozzo Yaxcopoli-1 ed è abbondantemente posteriore alla caduta del meteorite (a proprosito, negli ejecta dell'impatto non ci sono particolari anomalie dell'Iridio.

Oltretutto potrà sembrare strano ma nei sedimenti mondiali nell'ultimo mezzo milione di anni del Cretaceo al di fuori dell'area vicina all'impatto, non mi pare che questo abbia lasciato tracce evidenti.

 ALLA RICERCA DEL VERO KILLER. Ma allora, chi è stato il killer dei dinosauri, dei foraminiferi e di tante altre forme di vita? Ci sarebbero degli indizi piuttosto pesanti: è stato accertato come i picchi nelle estinzioni di massa corrispondano tutte alla messa in posto di importanti coperture basaltiche. È stato il caso della provincia magmatica nord-atlantica alla fine del Triassico, della eruzione dei basalti dell'Emeishan di 258 milioni di anni fa, corrispondenti alla Estinzione Guadalupiana a metà del Permiano, per non parlare della “Madre di tutte le estinzioni”, quella della fine del Paleozoico, contemporanea alla eruzione della massima copertura basaltica oggi visibile sulla Terra, quella dei Trappi Siberiani.

Bene, anche alla fine del Cretaceo – guarda caso - c'è stata la messa in posto di una grande LIP: quella dei Trappi del Deccan. Però la cosa, se pure certa, non era dimostrabile con precisione in quanto mancavano le sicurezze sulla datazione di queste lave: le indagini radiometriche fornivano un risultato “compatibile” ma con una incertezza toppo ampia: i metodi radiometrici hanno sempre una forbice, che in questo caso era circa 300.000 anni. Certo, 300.000 anni sono lo 0,5% del tempo intercorso fra quegli eventi ed oggi, e quindi per molte questioni l'approssimazione è sufficiente ma in questo caso specifico no.

DATARE ESATTAMENTE I TRAPPI DEL DECCAN. Occorreva quindi una prova diversa, e la micropaleontologia a foraminiferi poteva esserlo. Però nella zona principale delle colate trovare depositi tra un trappo e l'altro è impresa molto difficile. Per fortuna in una zona laterale dei ricercatori hanno potuto stabilire dei dati precisi. Siamo a Rajahmundry, nell'India sudorientale, dove due colate proveniente dalla zona principale dei Trappi ha percorso ben 1500 km ed è arrivata in mare sulle coste della baia del Bengala. Tra i due eventi ci sono parecchi metri di sedimenti che fanno chiaramente parte del Daniano inferiore, subito dopo il K/T. Da notare che la colata superiore è stata deposta quando il campo magnetico terrestre si era di nuovo rovesciato ed infatti se la colata inferiore è nell'intervallo C29r, quella superiore appartiene all'intervallo C29n, tipicamente paleocenico.

Alla fine di questo ed altri studi la cronologia delle effusioni del Deccan dovrebbe essere questa:

- una prima fase intorno a 67,5 milioni di anni fa, nel Maastrichtiano superiore
- una seconda fase, in cui viene messo in posto circa l'80% delle lave, tutta nell'intervallo C29r
- una terza ed ultima fase appartiene al Daniano inferiore, nell'intervallo magnetico C29n

È anche importante notare come ci sono importanti testimonianze che in corrispondenza dell'inizio dell'attività magmatica, a partire da circa 400.000 anni prima del K/T, ci sia stato un forte incremento dei gas – serra in atmosfera, la cui provenienza appare evidente: l'Anidride Carbonica emessa dalle eruzioni del Deccan in grande quantità, insieme ad enormi quantità di anidride Solforosa.

Infine voglio ricordare una cosa: quando andai da studente a Gubbio nei primi anni '80 era chiaro che il livello corrispondente al K/T era simile ad altri due livelli, il Selli ed il Bonarelli. Però non era chiara l'origine. Adesso si vede come K/T, Selli e Bonarelli siano tutti e tre legati ad intervalli di magmatismo tipo LIP e a momenti di estinzioni di massa. Altrimenti bisognerebbe pure dire che il K/T è molto diverso come origine dai prim due, il che, ancora una volta, mi pare una cosa un pochino forzata.

mercoledì 19 ottobre 2011

La navigazione di Primati e Roditori in mezzo all'Atlantico per arrivare dall'Africa in America Meridionale

È notizia di pochi giorni fa che sono stati ritrovati nell'Amazzonia Peruviana dei fossili di roditori caviomorfi di 41 milioni di anni fa. La distribuzione della maggior parte delle specie animali e vegetali è stata chiaramente influenzata dalla tettonica a zolle: al distacco di due masse continentali si assiste anche alla differenziazione in specie diverse di una specie la cui popolazione insisteva su entrambe le masse. Si formano così due “sister groups” in quella che viene definita “vicarianza tettonica”. Però alcune radiazioni come quella dei Roditori e dei Primati in Sudamerica non si possono spiegare così, ma solo attraverso migrazioni transoceaniche, Come sono avvenute queste improbabilissime migrazioni?

Quando ancora al movimento dei continenti pensavano in pochi studiosi (per lo più geologi dell'emisfero australe), e il creazionismo era stato finalmente abbandonato dalla Scienza, era sostanzialmente accettato che le somiglianze dei viventi fossero dovute a più o meno fortunose traversate oceaniche. L'affermarsi della Tettonica a Placche ha portato nuove idee secondo le quali tali somiglianze fossero dovute alla separazione fra individui della stessa specie rimasti suddivisi fra i due blocchi che si erano separati. Il fenomeno si chiama “vicarianza tettonica”. Però in alcuni casi i conti non tornano, specialmente quando alcune specie condividono tratti che sono venuti fuori dopo la separazione dei continenti, che nel caso di Africa ed America Meridionale risale al Cretaceo Medio.

La mancanza di documentazione fossile potrebbe essere alla base di alcune presunte migrazioni transoceaniche: in altre parole, la mancanza di fossili fino ad una determinata età può indurre a pensare alla comparsa di un certo gruppo in una certa area ben dopo la separazione di due continenti, ma, appunto, questo è il risultato di una semplice mancanza di reperti. In altri casi la questione è diversa: il momento che le due popolazioni condividono tratti e caratteristiche insorte solo dopo la separazione delle due masse il principio della massima parsimonia esige la traversata, altrimenti bisogna pensare che in entrambe le sponde ci siano state le stesse modificazioni, cosa francamente impossible..
La comparsa di Roditori e Primati in America Latina può essere spiegata solo con una migrazione transoceanica dall'Africa i caviomorfi, sono molto più simili a quelli del Paleocene africano rispetto a quelli del Nordamerica. Stesso discorso per i Primati: le scimmie Platirrhine sono chiaramente antropoidi e quindi se provenissero dal Nordamerica (che era leggermente più vicino) bisognerebbe pensare che le caratteristiche antropoidi siano insorte due volte
È anche geneticamente accertato che i due gruppi siano monofiletici e quindi abbiano origine ciascuno da una sola migrazione.

C'è anche chi ha pensato a “viaggi” molto più complessi, per esempio con un passaggio Africa – Antartide e successivo passaggio in America Meridionale, ma questo cozza violentemente contro la logica e i darti ricavati dalla paleontologia delle aree estreme meridionali.
Questi due gruppi di placentati non sono gli unici candidati ad una simile evoluzione.

Alcuni Autori parlano di altri gruppi di animali o piante che avrebbero compiuto la stessa traversata: pesci di acqua dolce (ad esempio i Ciclidi, di cui manca una documentazione fossili prima dell'Eocene, uccelli come i Ratidi e pappagalli, gechi e altri. Per molti sembra proprio che il problema sia la scarsa documentazione fossile (giustificabile ampiamente: non è che molte zone subaeree siano in sedimentazione, un corpo di un animale in una foresta o in una savana prima di potersi fossilizzare di solito viene mangiato e spesso i sedimenti hanno vita breve).
Quanto ai Ratidi, abitano o hanno abitato aree continentali remotissime come la Nuova Zelanda e a dimostrazione che la vicenda dei Ratidi può benissimo fare a meno di un passaggio attraverso l'Atlantico si può citare il bellissimo “racconto dell'Uccello Elefante” contenuto nell'inarrivabile saggio di Richard Dawkins “Il Racconto dell'Antenato”).

Molti Autori evidenziano che addirittura oltre 100 generi di angiosperme, tutti ben più giovani del Cretaceo sono comuni ad entrambe. Ma per le piante comunque il viaggio nelle correnti marine o nell'aria di un seme è molto più semplice, visto che ha l'indiscutibile vantaggio di poter stare a riposo; un animale ha sempre bisogno di mangiare e – soprattutto – di bere. 

Le possibilità teoriche per attraversare l'Atlantico sono 3: il salto attraverso delle isole e la deriva su zattere di vegetali.

Il ponte continentale: gli animali avrebbero approfittato di una striscia di terraferma che congiungeva i due continenti. Ipotesi geologicamente insostenibile: nell'Eocene l'Atlantico meridionale e quello centrale erano già aperti da un bel pezzo; l'ultimo collegamento, è esistito fino al Paleocene prima dell'apertura dell'ultima parte dell'Atlantico Settentironale, era tra l'Europa Settentrionale e il Nordamerica. È possibile però all'epoca l'esistenza all'altezza dell'odierno Brasile Meridionale di una lunga striscia di terra provocata dal punto caldo attualmente centrato nei dintorni di Tristan Da Cunha (quindi più che un ponte si potrebbe raffigurare come un molo di attracco). Si trattava della allora parte estrema del sistema trasversale all'Atlantico individuabile dalla coppia di dorsali Rio Grande e Walvis. Dal lato africano la dorsale di Walvis è ancora ben strutturata, mentre quella del rio Grande lo è molto di meno.

L'ipotesi del salto attraverso varie isole è stata resa possibile grazie ai dati raccolti in alcuni carotaggi del DSDP (Deep Sea Drilling Project) e dei programmi successivi, che a partire dal 1967 a carotare i fondi oceanici, ottenendo complete stratigrafie della copertura sedimentaria e in diversi casi anche della crosta sottostante. Per esempio Peter Barker, durante una spedizione del 1983 ha notato chiari segnali in base ai quali nell'Eocene i basalti della Dorsale del Rio Grande sono stati messi in posto in condizioni subaeree. Ovviamente con i soli dati dei carotaggi la copertura di rilevamenti è meno che insignificante da un punto di vista cartografico, e quindi ai carotaggi sono stati sempre stati affiancati altri tipi di rilevi, sismici e/o acustici.

Osservazioni anatomiche genetiche hanno documentato salti  tra un'isola e l'altra in vari arcipelaghi (ad esempio Caraibi e Galapagos) e ci son pure testimonianze dirette di avvenimenti del genere grazie a zattere vegetali in occasione di uragani.
Attualmente in Atlantico non esiste niente del genere, cioè una serie di isole che con una certa continuità vada da una sponda all'altra dell'oceani
L'impressione generale è che l'Atlantico del Paleogene fosse molto diverso dall'attuale e non solo semplicemente perchè era molto più stretto: oggi in tutto l'Oceano le isole ad una certa distanza dalle coste sono pochissime e constano in apparati vulcanici non troppo antichi nelle vicinanze della Dorsale Medio - Atlantica; nel Paleogene invece è possibile che l'oceano fosse costellato di isole vulcaniche di forma allungata derivate dalla attività dei vari “punti caldi” che probabilmente avevano all'epoca una attività molto maggiore di oggi. Un altro candidato è un punto caldo ora a largo della costa settentrionale brasiliana.

L'ipotesi della navigazione transoceanica su zattere è affascinante e praticamente impossibile, anche se nel caso di cui parliamo venti e paleocorrenti marine erano a loro favore. Come fa però argutamente notare Richard Dawkins il numero di zattere vegetali in milioni di anni di storia può essere stato enorme e anche se è praticamente impossibile raggiungere l'altra sponda dell'Atlantico è anche statisticamente possibile che almeno una coppia di Miomyidi (nel caso dei roditori) sia riuscita a compiere la traversata. In teoria ci sarebbe un ostacolo insormontabile alla deriva per settimane nell'Atlantico: la sete. Non potendo bere acqua di mare, cosa possono aver bevuto questi piccoli navigatori dell'Eocene? La risposta è che essendo molto piccoli il loro fabbisogno era sufficientemente basso da poter bastare l'acqua piovana.
In quanto alle paleocorrenti, è abbastanza assodato che fossero tutte occidentali, quindi in linea con le possibili migrazioni.

A questo punto la cosa più probabile è una combinazione di deriva per piccoli tratti fra un'isola e l'altra (ammesso che queste isole potessero fornire rifugio cibo e acqua per i naufraghi), ammettendo comunque la possibilità di tratti piuttosto lunghi. Riferendosi appunto alla estrema improbabilità di un viaggio simile il monofilletismo, sia nei caviomorfi che nelle platirrhine dimostra appunto che l'avvenimento è avvenuto solo una volta per ogni ordine.

giovedì 13 ottobre 2011

Alcuni crateri da impatto visibili sulla Terra

Sulla superficie terrestre i crateri da impatto hanno una vita difficile perchè sottoposti ad erosione. Alcuni sono stati riconosciuti ie n tempi recenti solo grazie alle foto satellitari, che tuttavia non bastano per confermarne la natura. Ne voglio presentare alcuni particolarmente significativi.

Rispetto ad altri pianeti del Sistema Solare è difficile vedere crateri da impatto sulla superficie terrestre perchè i movimenti tettonici e i cicli sedimentari tendono a obliterarli. Specialmente quelli più antichi possono essersi conservati solo in regioni tettonicamente “calme” da parecchio tempo. È così per esempio per alcuni crateri molto antichi che si trovano in Canada, come quello della Deep Bay, di età compresa fra i 100 e i 140 milioni di anni, o il Mistastin Lake crater, di appena 38 milioni di anni ma ampiamente deformato dai ghiacci che hanno ricoperto recentemente il Labrador e il doppio cratere paleozoico di Clearwater Lake. Altri si trovano in Africa, come il Bosumtwi, che racconta di un impatto di oltre un miliardo di anni fa avvenuto nell'odierno Ghana e l'Aourunga nel Ciad, largo ben 17 kilometri o l'impressionante Gosses Bluff, in Australia, dal diametro di quasi 25 kilometri e tanti altri.

Tralasciando il “solito” cratere dello Yucatan, estremamente famoso e a cui parecchi ascrivono l'estinzione di massa della fine del Cretaceo (chi mi segue sa che sono convinto che la colpa sia delle eruzioni del Deccan, analogamente alle altre estinzioni di massa, avvenute in corrispondenza della produzione di vasti ricoprimenti basaltici) vorrei far vedere alcuni crateri “veri” e uno ancora “presunto”.
Cominciamo da quelli veri. Ne scelgo due in particolare, uno perchè è “giovane e bello”, assolutamente ben conservato e uno perchè è ampiamente deformato.
Cominciamo dal Meteor Crater (il nome vero sarebbe Barringer Crater, dal nome di un ingengere minerario la cui famiglia mi risulta essere ancora proprietaria della zona). È recentissimo, avendo meno di 50.000 anni ed essendo nel deserto si è conservato egregiamente (ma negli ultimi 50.000 anni l'Arizona è sempre stata deserto? Mmhh non saperei).
Diciamo che assomiglia parecchio ad un cratere sulla Luna o su Marte, basta vedere la foto.
Passsiamo adesso ad altri crateri, a partire da questo qui sotto:


Questo è iil Bigachl. Scelgo questo cratere per la sua forma attuale:  Si trova nel Kazakhistan nordorientale e in questa immagine dell'Hearth Observatory della NASA si nota la sua forma curiosa. Ha 5 milioni di anni ma è molto deformato, perchè è capitato in una zona in cui ci sono faglie in movimento, e questo movimenti hanno interessato i suoi bordi al punto tale che attualmente sembra una depressione triangolare. Il tutto – tanto per far notare che movimenti tettonici abbiano interessato la zona negli ultimi milioni di anni.

Ci sono poi alcuni crateri che sono stati scoperti solo grazie alle immagini sartellitari. Incominciamo da questo, il Karakul.


Questo è un caso molto interessante. molto recente (5 milioni di anni), si trova non lontano dal Bigach. ed è piuttosto larghettino: ben 45 kilometri di diametro! Nonostante questo nessuno aveva capito l'origine di questa depressione in una zona molto remota del Tagikistan, nei pressi del confine con la Cina, fino a quando non si sono rese disponibili le foto da satellite. E dire che è una zona anche popolata!

La questione è che non basta avere una struttura circolare per avere la certezza che siamo davanti ad un cratere da impatto: varie strutture vulcaniche, a partire dalle caldere, hanno una forma del genere; anche il diapirismo salino, le doline e altri tipi di collassi hanno la stessa forma (però quando le dimensioni sono maggiori di qualche km si possono escludere manifestazioni tipo doline o sinkhole). Pertanto l'ipotesi di essere in prsenza di un cratere va confermata sul campo con lo studio dei reperti: rinvenimento di materiale di provenienza extraterrestre e/o particolari strutture delle rocce sono particolarmente diagnostiche.

A dimostrazione che le aree più remote sono molto promettenti in questo campo, gli altri crateri da impatto che presento (ben due!) sono nella Repubblica Democratica del Congo: un cratere appena riconosciuto nel suo significato e uno presunto. Anche questi devono la loro scoperta dallo studio delle foto satellitari.
Ecco quello recentemente riconosciuto: il Luizi.


Questa origine per il Luizi, situato nell'estremo Sud-est del Paese, era stata ipotizzata già nel 1990 dal geologo belga Paul Dumont ed è stata confermata quest'anno da un team canadese – congolese (i canadesi sono molto esperti in materia!) sulla base dello studio sul campo e su dei campioni di roccia prelevati e pubblicato dalla rivista Geology nel settembre 2011.
Ma la lista potrebbe non fermarsi ancora: infatti un'altra grande depressione circolare è stata notata in Africa, proprio come per il Karakul e il Luizi grazie alle foto da satellite. 


Alla recente Lunar and Planetary Science conference svoltasi a The Woodlands, in Texas, Giovanni Monegato ha illustrato il risultato delle ricerche di un gruppo dell'Università di Padova: nel mezzo della Repubblica Democratica del Congo, più a nord di Luizi c'è una struttura più o meno circolare la cui larghezza oscilla fra i 36 e i 46 km, la Wembo-Nyama. È formata dalla valle del fiume Unia. Il reticolo fluviale è proprio quello che ci si aspetterebbe per un cratere da impatto in una regione tropicale ed è stato rivelato dalla deforestazione in atto nell'area. Inoltre data la storia geologica, appare difficile essere davanti a una struttura vulcanica o a un diapiro salino, per cui delle tre possibilità quella del cratere da impatto appare la più realistica.
Anche in questo caso però la foto da satellite non basta: occorrerà andare sul campo e verificare la situazione. C'è anche da capire l'età dell'evento, che potrebbe addirittura risultare più recente del Giurassico.

mercoledì 5 ottobre 2011

Montano le polemiche sullo sfruttamento del metano nei gas-shales, sia in USA che in Europa


La fame di energia e il costo elevato dei combustibili fossili relativamente a pochi anni fa ha provocato una corsa a giacimenti alternativi di idrocarburi, da quelli off-shore (con le pessime conseguenze di eventi come l'incidente della Deeepwater Horizon) a giacimenti non convenzionali come i gas-shales e le oil-sands. Negli USA gli scisti gassiferi sono materia di grandi polemiche fra l'industria e gli ambientalisti che oltre a volere una riduzione nell'uso dei combustibili fossili accusano i petrolieri di immettere nel sottosuolo quantità ingenti di sostanze inquinanti. Il problema sta arrivando in Europa, dove stanno già montando i primi contrasti politici sulla questione ambientale, in particolare nei riguardi della fratturazione idraulica delle rocce attualment enecessaria per lo sfruttamento di questi giacimenti.


Giusto un anno fa avevo parlato dei gas-shales, un nome che in italiano tradurre è un po' difficile, qualcosa come “scisti gassiferi” (il termine “scisti bituminosi” da me usato nel post in questione mi piace veramente poco). La cosa negli Usa si fa sempre più importante: ci sono centinaia di migliaia di posti di lavoro, ricchi proventi da royalties e un risparmio nelle importazioni di gas (e con i consumi che hanno gli statunitensi non è davvero un particolare di trascurabile importanza!).
La situazione è abbastanza tranquilla nonostante che gruppi ambientalisti minaccino gravi catastrofi, a partire dall'inquinamento delle acque: per le tecniche rimando all'appena linkato mio post precedente. 
Al solito mi pare che ci siano le solite manfrine con da una parte i filo – petrolieri a dire che tutto va bene e dall'altra gli ecologisti a dire che tutto va male. 
Personalmente ho seri dubbi che vada tutto bene anche perchè iniettare liquidi contenenti acidi non mi pare una cosa particolarmente environmentally frendly.... E intanto le pagine dei giornali si riempiono di articoli in cui si legge tutto e il contrario di tutto: "le operazioni di fratturazione delle rocce per ricavare gas inquinano le acque delle falde", ma anche no; "questa è una risorsa energetica più pulita di petrolio e carbone, giusto sporca un po' le acque della zona" ma anche "questa è una attività che immette tanti gas-serra in atmosfera" e ci sono persino idee contrastanti sul fatto che porti davvero ricchezza alle economie rurali interessate.

Parlando dell'inquinamento, secondo una indagine della Duke University le falde acquifere conterrebbero rilevanti quantità di metano. Era uno dei rischi previsti, quello che venisse liberata una parte del metano contenuto nella roccia durante le operazioni di rottura degli scisti e/o di cattura del gas. Mi sorprende invece che non siano ancora presenti le sostanze inquinanti iniettate per spezzare meglio le rocce (forse i pozzi dell'acqua sono ancora troppo superficiali e le acque inquinate non sono ancora riuscite ad arrivarci?). Comunque già per la sola questione metano il rapporto è stato duramente criticato dalle industrie estrattive con critiche che vanno dalle accuse di mistificazione a quelle di voler far sì che l'America rimanga al buio.
L'epicentro delle polemiche è la Pennsylvania e non potrebbe essere diversamente visto che è lo stato maggiormente interessato alla questione: oltre al famosissimo e gettonatissimo dall'industria petrolifera Marcellus Shale, ci sono altre 2 formazioni sopra e sotto questa con grandi possibilità di sfruttamento. Fra l'altro la Duke University non è in Pennsylvania la cui locale università è invece tacciata dagli ambientalisti di essere d'accordo con i petrolieri.

La questione riguarda anche i cosiddetti “oil shales” che anziché gas contengono petrolio e sono diffusi più a ovest, fra Utah, Colorado e Wyoming. In queste rocce l'estrazione è ancora bloccata per l'eccessivo rilascio di CO2 associato. Un team della American Chemical Society ha recentemente vinto un premio per produrre energia elettrica da queste rocce catturando contemporaneamente la CO2. Quanto alle oil sands, le sabbie petrolifere del Canada di cui avevo parlato qui, per fortuna sono posizionate in una nazione dove tutto sommato l'ambiente è rispettato e quindi stanno facendo di tutto per diminuire l'impatto ambientale della estrazione, anche se recentemente sono sorti forti dubbi sulla completa comprensione delle modifiche all'ecosistema indotte da queste attività e quindi è possibile che sorgano nuove polemiche anche qui. 

E veniamo all'Europa. Rocce che potenzialmente nascondono giacimenti di metano sono diffuse in quasi tutto il continente: sedimenti paleozoici tra Inghilterra, Svezia, Germania, Polonia e Ucraina, calcari scuri mesozoici in Austria e persino rocce del Terziario in Ungheria. 
Anche la Francia non è priva di rocce potenzialmente utili ed è qui che si è gioca tala prima partita, tra le pressioni dell'industria e le resistenze degli ambientalisti.
Siamo nel sudovest francese: il governo aveva concesso 3 permessi di ricerca, due ad una compagnia texana minore e il terzo al gigante transalpino Total. Però dopo che questi permessi erano stati concessi, il parlamento francese ha vietato l'uso del classico sistema usato in America della fratturazione idraulica.  Quindi alle due compagnie è stato chiesto di presentare soluzioni alternative per lo sfruttamento della risorsa, cosa che ovviamente allo stato dell'arte attuale è impossibile. Concessioni revocate, pertanto, anche se la Total sta cercando soluzioni alternative che però per adesso non si possono considerare operative, come ha dichiarato il Ministro dell'Ambiente Nathalie Kosciusko-Morize 

Attualmente però la partita più importante si svolge attualmente in territorio polacco. La posizione della UE è abbastanza chiara e il Commissario all'Energia Gunther Oettinger lo ha ripetuto più volte: occorre sul problema una politica comune fra tutti gli Stati membri (anche perchè – ovviamente – le questioni ambientali hanno il potere di provocare impatti sovranazionali). Il governo polacco sa che la fratturazione idraulica non sia al momento una tecnologia per la quale la Commissione Europea nutra una grande simpatia e questo cozza contro la sua politica energetica nazionale: il sottosuolo della Polonia contiene ampie riserve di gas intrappolato nelle rocce. Quindi Maciej Olex-Szczytowski, che non ho capito se sia un funzionario od un superconsulente del Ministero degli Affari Esteri polacco, ha dichiarato recentemente ad una conferenza sull'argomento che la sua nazione porrà il diritto di veto su qualsiasi limitazione all'utilizzo di tecnologie estrattive in nome della libertà per ogni Stato di adottare la politica energetica di suo interesse e che il regime ambientale richiesto dalla UE sia esagerato in rapporto alle esigenze economiche. Inoltre ha lanciato la solita tiritera degli ambientalisti che si oppongono allo sviluppo e osservato come secondo lui l'UE non possa permettersi di non sfruttare risorse che le darebbero una maggiore autosufficienza energetica.

Da notare che nell'estate appena scorsa in Polonia sono stati trovati importanti giacimenti convenzionali di metano con il diretto coinvolgimento di società americane, dei quali quello di Kutno appare molto importante. Questo giacimento è nella continuazione meridionale dei giacimenti ad idrocarburi del Mare del Nord ed è quindi un gicimento convenzionale a tutti gli effetti, ma le riserve stimate nei gas shales polacchi sono di un paio di ordini di grandezza superiori. Per questo a Varsavia c'è un così grande fermento al proposito.